Welfare

«Siamo chiamati a un nuovo Risorgimento»

L’appello di don Mimmo Battaglia contro lo smantellamento dello stato sociale

di Redazione

Grande preoccupazione sulle risorse destinate al sociale, sulla mancanza di fondi delle pubbliche amministrazioni, sugli stipendi non pagati agli operatori di Comunità. Li esprime Don Mimmo Battaglia, presidente Fict (Federazione italiana delle comunità terapeutiche), in una lettera aperta intitolata “La speranza di un nuovo Risorgimento”.

 Di seguito il testo della lettera di Don Mimmo Battaglia:

 Non sono forse abbastanza chiare, alla politica, le funzioni degli operatori sociali. Gli stessi che contribuiscono a evitare che diventi rabbia distruttiva il grido di dolore che si alza dalle strade di periferie abbandonate e interi paesi controllati dalle criminalità organizzate, dalle fabbriche che chiudono, dalle famiglie sofferenti, dalle dignità calpestate e dai diritti negati.

Eppure, secondo l’Istat, 15 milioni di persone in Italia «sperimenta il rischio di povertà o esclusione sociale» (e il 57% vive nel Meridione): siamo cioè agli ultimi posti tra i Paesi europei, ben sotto la media Ue, dentro una crisi che sembra non aver fine e colpisce soprattutto i giovani affondandoli nella precarietà strutturale, le donne sempre più escluse dal mondo del lavoro e gli anziani sempre più poveri e abbandonati. Così offriamo l’idea di un Paese in decadenza, nel quale si smantella lo stato sociale e, com’è già stato annunciato, verrà azzerato entro il 2013 il fondo per le politiche sociali. Perché, se il sistema del Welfare non è più sostenibile con fondi pubblici – come ci stanno dicendo e ce ne stiamo convincendo – l’evasione fiscale però resta di 38,41 euro ogni 100 versati all’erario.

L’idea che un minimo di dignità della vita, anche per i più poveri, non sia questione di giustizia, ma di gentile concessione dei più ricchi, sta aprendo al principio del minor costo per risolvere i problemi di poveri, tossicodipendenti, disabili ed anziani. E porta a creare soluzioni assai poco rispettose della vita umana: “Se prevenire è meglio di curare”, sopprimere costa ancora meno. Presto verrà barattata la giustizia con la questua. E chi si occupa di sociale è molto preoccupato perché già sperimenta, da tempo, il rarefarsi delle risorse, la mancanza di fondi delle pubbliche amministrazioni, gli stipendi non pagati, a fronte di bisogni crescenti che nascono da una povertà economica sempre più diffusa. Eppure la maggior parte degli operatori sociali (psicologi, educatori, assistenti) continua a recarsi ogni mattina al lavoro, anche se spesso sono questi stessi i nuovi poveri che vivono con 700/800 euro mensili (quando va bene).

Il modello di welfare verso il quale precipitiamo, è la risultante di politiche miopi che nell’ultimo decennio hanno colpito al cuore un sistema di politiche sociali che pur con i suoi limiti, rappresentava un modello per molti Paesi europei. Politiche che conducono ad una idea di federalismo sempre più settoriale e sempre meno solidale e alimenta aspre divisioni tra nord e sud, attraverso un localismo sempre più spinto.

Ecco perché siamo chiamati ad un nuovo Risorgimento. Perché oggi sono in discussione, seppure in modo diverso, gli stessi valori di 150 anni fa. L’unità del nostro Stato, la dignità di ogni italiano, il sacrosanto diritto di ognuno a determinare il proprio futuro. Il nemico è diverso, non è più lo straniero che pretende di occupare la nostra terra, ma non per questo è meno pericoloso. È nemico subdolo, capace di mimetizzarsi dietro pseudovalori, spacciando per equità e giustizia ciò che è solo convenienza di parte. È elegante, sorride, ghermisce i nostri cuori, è capace di parlare alla nostra vanità, ma che si arricchisce sulle nostre fatiche, lucrando sulla nostra precarietà e ingrassando sulla nostra povertà.

Il nuovo Risorgimento allora, deve essere il risorgimento dei cuori, delle passioni e della speranza. Un Risorgimento che non ammette vittimismi, che non potrà essere senza scelte radicali di cambiamento culturale che passino dal mutamento di atteggiamento nelle piccole cose della quotidianità. Se ne usciremo rinnovati, se riusciremo a salvare il nostro Paese, allora potremo dire che la crisi economica è stata terapeutica.

 

 

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