Cultura

Il medico condotto va in scena

Parla Tony Servillo. Attore, ma soprattutto uomo

di Maurizio Caverzan

Dice “teatro”, Toni Servillo. E capisci che non sta parlando del palco, del sipario, dei camerini. Soprattutto, non sta parlando di quella nicchia del mondo dello spettacolo un po’ in disarmo, cenerentola che profuma di passato e snobismo. Nelle parole e nella quotidianità di Servillo il teatro è una visione, un mondo, la passione di una vita. Persino un modo di guardare e fare cinema dove in queste settimane lo abbiamo visto nei panni di Giuseppe Mazzini in Noi credevamo di Mario Martone e in quelle di Rosario Russo, l’ex camorrista di Una vita tranquilla che tenta di cancellare il suo passato in Germania, con il quale ha vinto il premio come migliore attore al Festival di Roma. Quell’idea di teatro è un modo di vivere la sua professione, al centro di un movimento, di una curiosità, di un servizio per la comunità di cui si sente parte. A Napoli e nel territorio vicino, dove nel 1987 ha fondato Teatri Uniti con Martone e Antonio Neiwiller. In giro per l’Italia e all’estero, duecento giorni l’anno, quando è in tournée con i suoi spettacoli che propone nelle pomeridiane per i licei o per gli anziani. Quando spiega nelle scuole l’intreccio di Gomorra, oppure quando tiene letture alla radio o nelle città di provincia, da Sassari a Portogruaro, dove porta Molière o Goldoni. «In un anno incontro duecentomila spettatori, 500 ragazzi sotto i diciott’anni a settimana», ci tiene a sottolineare. «Questa è la mia professione vera, di cui i film al cinema sono solo la punta emergente.

Poi c’è quello che io chiamo volontariato culturale. Ed è l’attività cui tengo maggiormente. Come la settimana di seminario teatrale con 25 ragazzi che ho tenuto l’estate scorsa a La Maddalena su Molière. Purtroppo, di tutto questo i recensori snob non si accorgono o non si vogliono accorgere.

Ho accettato questa intervista solo perché lei mi ha parlato di volontariato».

51 anni, nativo di Afragola, Servillo non ha mai pensato di lasciare Caserta dove ha moglie e due bambini che ora non vede da parecchie settimane e che oggi lo raggiungono qui a Milano dov’è in tournée con La trilogia della villeggiatura, spettacolo da 400 repliche che ha portato con successo in tutta Italia e in molte capitali europee.

Lei ha recitato in “Gomorra” tratto dal libro di Saviano, ha interpretato Andreotti nel “Divo”, ora Mazzini. È il profilo di un attore attento a tematiche e personaggi civili…

È così. Nelle mie scelte c’è sempre l’idea di un progetto. Che, per carità, non sempre si realizza in pieno. A tutt’oggi Gomorra è il film che esprime meglio il mio modo di lavorare. Pre-esisteva un grande libro che aveva portato all’attenzione del pubblico meccanismi e comportamenti della criminalità organizzata. Quando un regista di grande visionarietà come Matteo Garrone mi ha proposto il personaggio peggiore del film, un pescecane dal sorriso ambiguo, ho accettato subito anche se sarei comparso poco più di cinque minuti. Abito a Caserta e ho scelto questo progetto, privilegiandolo su un’altra proposta.

Progetto è una parola che usa spesso?

Esprime la mia filosofia di lavoro. Leggo i copioni, mi immedesimo con il regista. Faccio così anche con la letteratura e il teatro. Cerco di capire se le ragioni che hanno spinto gli autori a proporre quei personaggi nella loro epoca sono riproducibili anche nella nostra. C’era un progetto dietro al Divo di Paolo Sorrentino, con il quale ero arrivato al terzo film. Con Gorbaciof di Stefano Incerti volevamo rappresentare una Napoli multietnica, globalizzata, pullulante di figure minori mai raccontate. In Una vita tranquilla di Cupellini il protagonista è un criminale al quale il suo passato non lascia possibilità di redenzione.

E il Mazzini terrorista di “Noi credevamo”?

È un Mazzini nella sua dimensione di azione. Non dico una parola che non sia sua. È venuto Martone a dirmi che da diversi anni pensava a questo film. Volevamo rappresentare la sconfitta della rivoluzione repubblicana, totalmente laica.

Un’epica basata sulla forza delle idee. Concordo con Sofri: il successo di quel film è dovuto al bisogno di molti giovani di credere in qualcosa.

Il suo è un modo di scegliere film e personaggi, ma anche di rifiutarne altri?

Mai accettato una fiction o grosse produzioni cinematografiche. Non capitalizzo il mio talento, ammesso che ce l’abbia. Non sono sul mercato. Faccio il mio lavoro in una dimensione più civile che commerciale. A teatro ho sempre lavorato per enti pubblici. Ma non è una scelta solo mia. C’è una lunga fila di maestri, spesso dimenticati.

Per esempio?

Eduardo De Filippo, Gian Maria Volontè. Attori di forte talento artistico e morale. Che hanno rappresentato un’Italia di grande rigore, opposta e speculare a quella che viene riprodotta oggi dai media. Basta guardare la faccia di Volontè in Porte aperte che Gianni Amelio ha tratto da Sciascia per capire l’oltraggio subito dalla giustizia. O Carlo Cecchi, il più grande attore vivente di teatro.

Che collabora con Teatri Uniti, il vero laboratorio delle sue attività?

La lista di quelli che collaborano con Teatri Uniti è molto lunga, da Fabio Vacchi a Paolo Sorrentino, da Steve Lacy a Giorgio Battistelli, da Iaia Forte a Anna Bonaiuto solo per citarne alcuni. Ma il mio orgoglio è soprattutto il fatto di lavorare con i giovani. E aver prodotto e diretto più spettacoli nei quali il protagonista non sono io. Come nel Misantropo di Molière, dove interpreto Oronte, mentre il ruolo centrale è di Alceste. O come nella Trilogia della villeggiatura, dove la protagonista è Giacinta interpretata da un’attrice che ho scoperto e lanciato io, come altri 7 dei 15 attori che compongono il cast, tutti sotto i 30 anni. Abbiamo creato un laboratorio che si occupa di arte scenica, che produce lavoro in tutti i settori dell’audiovisivo in un territorio considerato depresso e marginale. Ci sono ragazzi che magari non si avviano alla carriera di attore, ma studiano da fotografi di scena, da scenografi, da registi. Poi ci sono le tournée e gli incontri…

A volte mi sento come un medico condotto?

In che senso?

Nel senso che giro l’Italia, tento le diagnosi e suggerisco le medicine a questo grande malato che è il teatro. E, come un medico condotto, so dire quali sono le parti sane e quelle infette.

Faccia la sua diagnosi anche per “Vita”…

Le parti sane sono là dove si semina con passione, dove gli assessorati investono in cultura, come a Prato o a Ferrara, per fare qualche esempio. Città dove si organizzano seminari e si invitano grandi registi. Non dove si chiamano i soliti comici e qualche ballerina per organizzare il consenso. Purtroppo questo i giornali non lo raccontano?

Lei è molto critico con i media nazionali…

Che Paese è quello in cui il referente televisivo principale del cinema, del teatro e della letteratura è Gigi Marzullo? Che Paese è quello in cui gli argomenti delle prime pagine riguardano le attività delle escort, i festini, l’uso di eccitatori sessuali, la prostituzione nei palazzi della politica? Gran parte dei media vive di opinioni ed è sempre più lontani dalla realtà.

Io ho scelto la realtà.


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