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La testa (non) nel pallone

È partito dalla Napoli profonda, ed è arrivato in serie A. Ma non dimentica le sue origini

di Simone Stenti

A differenza di tante altre regioni italiane, da noi si vive di calcio, perché non c’è nient’altro, dalla famiglia al lavoro. Napoli ti offre giusto un pallone e due sacchi d’immondizia per fare la porta». Pasquale Foggia gioca nella Lazio, il suo mestiere di calciatore, in ormai quasi 13 anni da professionista, l’ha portato in giro un po’ in tutta Italia. Ma il suo cuore continua a battere ostinatamente sulle pendici del Vesuvio. Pasquale infatti è cresciuto nel rione Traiano, nel quartierone di Soccavo figlio delle speculazioni urbanistiche degli anni 60, che tra criminalità organizzata, mancanza di servizi e montagne di spazzatura, sarebbe la location perfetta per un bestseller alla Roberto Saviano.

Eppure in questo intrico di vie senz’anima devoto a santo Maradona qualcosa, proprio grazie al pallone, sta cambiando. Pasquale ha infatti voluto far sbocciare un messaggio di speranza, e tre anni fa ha fondato l’Associazione sportiva dilettantistica Pasquale Foggia, una scuola calcio che accoglie 350 ragazzini del quartiere e dintorni: «È nata da un sogno coltivato insieme all’amico imprenditore e attuale presidente, Riccardo Buongiovanni: regalare qualche ora di vita pulita ai bambini del nostro rione».

E ci sono riusciti. «Ora abbiamo squadre dalla categoria Juniores, ragazzi del 1992, fino ai piccolini del 2005.

Una struttura modernissima, col campo in sintetico di ultima generazione.

Tutto autofinanziato. Abbiamo pure cominciato a vincere qualcosina: una Coppa Campania Juniores e l’ingresso nel Guinness dei primati per aver vinto un quarto di finale con la categoria 1993 dopo 46 rigori a oltranza».

Il tuo è un quartiere dove l’acqua deve contenere qualche additivo calcistico, visto che lì sono cresciuti anche i fratelli Cannavaro e Floro Flores dell’Udinese…

E pure Aniello Cutolo, meno celebre, ma che sta facendo benissimo al Crotone, in serie B. Sono tutti precedenti che fanno ben sperare: adesso spero proprio che qualche campione esca anche dalla mia scuola.

Non c’è il rischio che, in un quartiere dove tanti cercano la ricchezza attraverso scorciatoie, passi il solito messaggio del ?mestiere di calciatore? come via d’uscita?

No, perché noi siamo chiari fin dall’inizio: qui i bambini vengono per trovare svago. In questo quartiere alla loro età si hanno già tanti pensieri, soprattutto per la disgregazione delle famiglie. Noi non promettiamo carriere, regaliamo divertimento. Ogni tanto qualche ragazzo forte lo troviamo, ma il calcio non è quello della serie A, e noi non lo illudiamo, non gli facciamo credere di essere un campione. A 12, 13 anni sono ragazzi fragili, e il rischio di rovinarli con messaggi sbagliati è elevatissimo.

Il difficile sarà piuttosto convincere i genitori che il loro figlio non diventerà un campione…

Purtroppo, stando a stretto contatto con loro, verifico costantemente quanto siano disastrosi certi papà. L’equilibrio familiare è fondamentale anche nello sport, e noi cerchiamo di dare una mano anche in quello, provando a isolarli calcisticamente da genitori troppo pressanti.

«Il calcio non è solo quello di serie A»: una bella frase che ha molte sfaccettature.

Su 100 giocatori di qualità, statisticamente soltanto 2 o 3 a fine carriera vivono di rendita, il resto vivacchia. È un problema reale. Io ho giocato anche in B e in C e so bene che il calcio lo devi considerare innanzitutto una passione.

Io ho tanti amici che giocano in Interregionale, in Eccellenza e sono felici ugualmente: siamo fortunati rispetto a tutti quelli che si svegliano alle 6 di mattina per andare in fabbrica a lavorare per 1.200 euro al mese.

C’è un motivo per cui lei sconsiglierebbe la carriera di calciatore?

A 10 anni sono andato via da casa per inseguire un sogno: giocare in serie A. È bellissimo se arrivi, ma io ho tanti amici che hanno fatto la stessa trafila e, per un motivo o per un altro, oggi fanno lavori ?normali?. È un colpo durissimo da assorbire. Perché fai tantissimi sacrifici, sei lontano da casa, dalla famiglia, dagli amici, dai divertimenti, e se poi non arrivi, nessuno ti restituisce l’infanzia. Tutti vedono le Ferrari e le veline, ma la realtà del calciatore è un’altra. Sinceramente, a mio figlio auguro di fare ciò che desidera ma, se potessi scegliere, preferirei che si dedicasse a un lavoro che richieda molti meno sacrifici.

Riesce a seguire la sua associazione in prima persona?

Eccome! Praticamente tutti i lunedì torno a Napoli e vado al campo. Spesso, per poter seguire i miei ragazzi anche in trasferta litigo con mia moglie. Già ci vediamo così poco…

Quanto farebbe bene al sistema drogato del calcio miliardario la vittoria in serie A di una squadra attenta alle spese?

Bé, a dire la verità ultimamente tutti i club si sono dati una bella regolata: c’è più attenzione per i bilanci, mi sembra.

La stessa Lazio, di cui vesto la maglia, è un esempio in questi ultimi anni. Credo comunque che certe esagerazioni del passato non le vedremo più. La stessa Inter, che per un certo periodo ha fatto rima con spreco, si è data una bella aggiustata societaria. E visto che quello che avviene nel grande calcio fa sempre da modello, speriamo che questo ridimensionamento degli sprechi folli abbia delle ricadute positive anche sull’impostazione dei club giovanili, e magari anche sulla mentalità e le attese dei ragazzini che cominciano da noi.

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