Welfare

«Ecco come si insegna l’economia»

I grandi sistemi? Alibi. Parola di Florence Noiville

di Marco Dotti

«Apprendre à oser», imparare a osare. Nel 1984, fresca di diploma all’École des Hautes Études Commerciales, Florence Noiville si apprestava a “conquistare il mondo”. Parole grosse, non meno delle ambizioni, ma i toni bassi e la modestia non rientravano tra i programmi di studio di quella che, oltre ad essere tra le più rinomate business school d’Europa, era ed è uno dei canali preferenziali attraverso cui, da generazioni, si formano le élite economiche francesi. Il problema, osserva la Noiville, è che in 25 anni nulla è cambiato. Incuranti di una crisi economica che si preannuncia di lunga durata, i futuri manager esperti in marketing e finanza vengono a tutt’oggi formati, oltre che su discipline tecniche, anche a suon di slogan.

Come quello che, risuonando nella testa della giovane laureata, nell’84 le dava la sensazione non sono di dover osare, ma anche di potere tutto.

Mischiando racconti di vita vissuta e riflessioni sulla finanza nell’era dei subprime, nel suo Ho studiato economia e me ne pento, da poco edito per Bollati Boringhieri (pp. 92, euro 10), Florence Noiville non si limita alla critica, ma avanza una proposta semplice quanto concreta: è necessario rifondare l’insegnamento, per rifondare l’economia.

Quando ha pensato di scrivere questo libro nel quale si mette profondamente in gioco?

Tutto inizia nel 2009. Mentre leggevo le prime notizie su fabbriche in liquidazione, uffici chiusi, suicidi di piccoli imprenditori e dipendenti, ricevetti alcune telefonate di amici, miei ex compagni di corso all’École des Hautes Études. Le loro voci mi ricordavano che, essendo passati 25 anni dal nostro diploma, dovevamo organizzare una festa. Una festa? Che cosa c’era da festeggiare? Dopo aver preso parte al disastro, dovevamo anche compiacercene?

Qual è stata la reazione dei suoi compagni di studi?

Cadevano dalle nuvole, come se non si fossero mai posti il problema. Persone con un curriculum vitae lungo quanto un’autostrada, con studi nelle migliori università del mondo, con alti incarichi dirigenziali, con un posto sempre in prima fila nelle colonne dei giornali… cadevano dalle nuvole, capisce? Come se quella realtà non li riguardasse, quasi abitassero un mondo alieno. Anche se poi nessuno di loro, nel profondo, è mai soddisfatto, di sé o di quello che sta facendo, quanto vuole far credere: io sono diventata autrice di libri per l’infanzia, di romanzi e giornalista, altri lavorano ancora nel business, ma poi si dedicano alla pittura, alla psicoanalisi o ad altro. Cercano un senso, che nessuna formazione esclusivamente tecnica potrà mai dare loro. Ma – questo è il problema – nessuno sa guardare in faccia la verità di un disagio collettivo e profondo, che considera solo sul piano individuale.

La febbre, però, sembra continuare. Banche e multinazionali non hanno cessato di fare profitti e del resto, di tutto il resto, continuano a non preoccuparsene.

Parto da una constatazione: nessuno, intorno a noi, sembra responsabile di nulla. Né gli economisti, né gli ?esperti?, né gli operatori, e le scuole, in tale contesto, non fanno certo eccezione. Nessuno che, dinanzi al disastro economico generato dai titoli derivati o dai mutui subprime, abbia detto: «Mi dispiace, ho sbagliato, ricominciamo da capo».

La crisi è il prodotto anche di questa impostazione mentale, che riconduce tutto a fattori sistemici, come se il mondo dovesse andare esattamente nella direzione in cui sta andando. Si parla di crisi del sistema, e questo, pur corrispondendo al vero, esonera individualmente i protagonisti di una simile catastrofe. Nessuno si chiede quale sia il suo ruolo – il nostro ruolo, se includo anche me stessa – ancorché minimo. Forse è l’insegnamento ricevuto a impedirci di vedere gli elementi che si oppongono a crescita e sviluppo?

Da dove ripartire, quindi?

Dalla cura di sé e degli altri.

Il termine ?economia? (oikonomia) ci rimanda, fin dall’etimologia, all’arte di gestire e amministrare la casa. Niente di astratto, quindi. Niente a che vedere con le grandi statistiche macroeconomiche o gli indici della borsa. Prendersi cura della casa è un’arte di vivere e di convivere, con gli altri e con l’ambiente. Se i nostri antenati venissero a fare un sopralluogo, troverebbero la ?casa? saccheggiata, il giardino devastato, l’aria irrespirabile, le stanze depredate, lo spazio invaso dai rifiuti, il patrimonio artistico non sempre in buono stato… La casa è stata saccheggiata e a noi non rimangono che due strade: o devastarla del tutto, o ripartire. La ricchezza non è il denaro. La vera illusione è stata credere che tutto ciò che non rientrava in parametri monetari e di efficienza – leggere un libro, dedicarsi allo studio della filosofia, della letteratura – significasse solo e semplicemente perdere tempo. Tutt’altro. Per rifondare una nuova economia sono necessarie creatività, preoccupazioni etiche, cambi di rotta e di prospettiva.

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