Welfare

Tratta di esseri umani made in Europe

Decine di arresti in sei regioni italiane

di Redazione

Si chiama “Ropax”, dal nome di un traghetto delle Adriatic Lines utilizzato per i trasferimenti, la maxi operazione della della Direzione nazionale antimafia e delle procure di Bologna e Lecce che ha portato a decine di arresti in tutta Italia: l’ipotesi è associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I trasferimenti avvenivano “in costante pericolo di vita”, attraverso navi di linea o semplici imbarcazioni che puntavano sulle coste pugliesi o i porti dell’Adriatico.

«L’operazione è stata effettuata per la prima volta dalla sezione di Antimafia che ora grazie alla nuova normativa si occupa anche di associazioni a delinquere finalizzate al traffico di persone». Così Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, ha presentato oggi presso la Direzione Antimafia Nazionale i risultati dell’indagine che ha coinvolto le procure di Bologna e Lecce e che ha individuato un’organizzazione criminale volta a favorire lo sbarco di immigrati clandestini sul territorio italiano.

L’operazione è partita quando, il 13 maggio 2010, sono stati avvistati degli uomini uscire dal container di un traghetto nel porto di Ravenna. Gli uomini di origine georgiana sono stati fermati dalle autorità che hanno ispezionato il container all’interno del quale hanno trovato 61 clandestini di cui 4 bambini di diversa nazionalità, prese d’aria e un bagno chimico. Proprio da quest’ultimo elemento è partito il sospetto che una tale modifica strutturale del container supponesse la presenza di un’organizzazione criminale. L’organizzazione criminale, sviluppata secondo modelli orizzontali, non sembra avere legami con realtà italiane, anche perché la destinazione finale dell’immigrazione erano i Paesi del nord Europa ed in particolare quelli scandinavi.

L’operazione, chiamata “Ropax” dal nome del traghetto appartenente alle Adriatic Lines, ha individuato due rotte sulle quali si muovevano i traffici. La prima dalla Turchia arrivava in Italia passando dalla Grecia spesso con sbarchi in Puglia e Calabria che ripetendosi il 28 agosto, il 7 settembre e il 10 settembre hanno dato la conferma di appartenere alla stessa associazione criminale. La seconda rotta individuata da alcuni sbarchi in provincia di Agrigento partiva invece dall’Egitto. Di supporto a questi sbarchi c’era una rete di pakistani, afgani, iraniani, indiani residenti in Italia a Bologna e nella zona di Crema che facevano da ponte trasportando i clandestini in nord Europa. Il trasporto verso le altre nazioni aveva un costo che variava da 800 a 1.200 euro a persona a seconda della distanza.

Il procuratore antimafia di Lecce, Cataldo Motta, ha illustrato come l’immigrazione sia cambiata in Puglia, passando dall’uso dei gommoni che fino al 2009 erano il mezzo più usato per gli sbarchi alle barche a vela. Queste essendo più lente e potendo contenere tutti i passeggeri sottocoperta, diventano difficilmente individuabili anche dalle ricognizioni aeree, ma hanno lo svantaggio di doversi fermare a diversi metri dalla riva e necessitano di piccole imbarcazioni per portare i passeggeri a terra. In 6 mesi sono state fermate 20 barche a vela di cui una a doppio albero, 6 gommoni e 40 scafisti. Di questi, 3 georgiani, grazie a delle intercettazioni ottenute dalla procura di Bologna, sono stati accusati anche di tentato omicidio per aver buttato un uomo da una barca.

Particolare, il modo definito “Sarafì” di pagamento del trasporto; utilizzando un metodo già conosciuto dalle autorità nell’ambito del traffico d’oppio, i migranti, che pagavano cifre tra i 5mila e i 10mila euro, consegnavano i propri soldi ad agenzie di trasferimento denaro, che li bloccavano con un codice. Avvenuto lo sbarco il clandestino dava il codice allo scafista che così poteva sbloccare i soldi.

L’organizzazione offriva sconti famiglia, secondi viaggi gratuiti nel caso lo sbarco fosse andato male al primo tentativo e sequestrava i cellulari dei clandestini due giorni prima del viaggio per evitare che l’intensificarsi del traffico telefonico nei giorni della traversata potesse attirare le attenzioni delle autorità. Proprio dai cellulari degli scafisti, analizzando i dati dei Gps, è stato possibile verificare il percorso effetttuato dagli scafisti.

Gli indagati, ognuno a vario titolo, radunavano i migranti in Turchia ed organizzavano il viaggio in Italia, dove gli extracomunitari venivano fatti sbarcare nelle province di Lecce e di Crotone a mezzo di motobarche a vela provenienti dalla Turchia o gommoni provenienti dalla Grecia. Gli extracomunitari venivano successivamente trasferiti a Crema, a Madignano, vicino Crema, e a Covo (Bergamo), dove occupavano alcuni immobili in attesa di essere trasportati negli Stati del Nord Europa.

Nel corso dell’inchiesta sono stati arrestati in flagranza alcuni dei conducenti dei mezzi utilizzati per il trasferimento dei migranti verso i paesi del Nord Europa, identificati e bloccati dalla Polizia italiana, francese, tedesca ed austriaca. Gran parte dei migranti (pachistani, iracheni e afgani), dopo essere giunti sul territorio nazionale venivano trasferiti in numerosi Paesi del Nord Europa, quali Germania, Svizzera, Danimarca, Austria, Francia e Belgio dagli esponenti dell’organizzazione criminale.

 

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