Welfare

Angelo Scola nuovo arcivescovo

In occasione della nomina riproponiamo l'intervista di Riccardo Bonacina di ottobre 2010

di Riccardo Bonacina

Comunque la pensiate le parole e i ragionamenti del Patriarca di Venezia, Angelo Scola, hanno la virtù di essere sempre interessanti perché capaci di aprire  discussioni e perché riescono sempre a toccare e nominare i temi veri, quelli della nostra vita reale. Il suo motto episcopale recita: «Sufficit gratia tua» /2Cor 12, 9), “basta la tua grazie”. Il cardinale sa che questo è un motto che non esonera dal fare, ma piuttosto libera dall’esito. Infatti, la sua è vita pienissima. Figlio spirituale di don Luigi Giussani, aveva solo quarant’anni quando partecipa alla fondazione della prestigiosa rivista di teologia internazionale Communio, dove conosce Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar, veri Padri della Chiesa Conciliare, e un giovane teologo tedesco di nome Joseph Ratzinger. Anche da Patriarca di Venezia, pur essendo instancabile nelle sue visite pastorali, non rinuncia alla sua vocazione di studioso e animatore culturale: fonda la rivista Oasis sulle presenze cristiani in contesti islamici e il relativo Centro studi, interviene nel dibattito culturale italiano, riempie i teatri quando lo invitano a parlare. I suoi discorsi in occasione della festa del Redentore a Venezia, segnano i nodi delle sue riflessioni capaci di non negarsi mai all’attualità: il meticciato, la laicità, lo spazio pubblico e le religioni, la libertà di educazione, il rapporto tra fede e ragione nell’era della neuro-etica, il bell’amore e la sessualità. Ora, con un libro da poco uscito da Mondadori (Buone ragioni per la vita in comune), tocca un vero nervo scoperto del nostro tempo: quali ragioni per vivere insieme e quale sorgente per una moralità condivisa? 

VITA: Uno dei nodi che il suo libro affronta è tremendamente attuale, quale può essere oggi la sorgente della moralità comune. Lei fa, a questo proposito un’affermazione forte: “Nessun governo può produrre cittadini morali, al contrario sono cittadini morali, sovente ispirati dalle religioni a favorire la democrazia”. Insomma, lei nomina uno dei grandi paradossi della modernità: più incoraggia l’individualismo, più è costretta a moltiplicare le regole per mettere sotto controllo il “lupo” che ognuno di noi si rivela potenzialmente essere. Il clamoroso fallimento di questa impostazione è oggi davanti a tutti. Non ci saranno mai abbastanza regole per ammaestrare i lupi. Questo è l’esito tremendo quando si punta tutto sull’etica invece che sull’educazione, cioè su un adeguato rapporto tra l’io e gli altri. Perciò, lei ne conclude, occorrerebbe una rivoluzione copernicana, “non più alla base dell’universale politico una procedura formale fondata sull’universalità astratta dei diritti umani, ma il valore stesso dell’essere in società”. Ma davvero le pare una rivoluzione possibile?

SCOLA: Direi che più che possibile è necessaria, addirittura inevitabile. Quello che lungo tutta la modernità ha garantito l’ideologia come punto di coagulo, oggi può essere solo garantito dalla percezione che il dato sociale, il “dobbiamo” vivere insieme, è anche un bene sociale. Pur in una società plurale siamo chiamati a un bene sociale, siamo chiamati a vivere insieme. Bisogna però consapevolmente scegliere che questo bene sociale diventi anche un bene politico. Ma come possiamo costruire un vivere insieme che ci orienti a un bene comune effettivamente praticato? Io penso che bisogna invitare tutti i soggetti che abitano questa società civile plurale a raccontarsi, a narrare la propria concreta esperienza dell’umano e, attraverso questo appassionato racconto e questo lasciarsi raccontare dagli altri, tendere a quello che Ricoeur chiamava “il riconoscimento” reciproco. Solo così, mi pare, possiamo trasformare questo vivere insieme da una costrizione inevitabile o da una paura in un valore positivo. In questo senso la rivoluzione è copernicana:  il passaggio da un dato di fatto (che alternativa abbiamo? Farci la guerra?) a un valore riconosciuto. E può proprio essere questo l’universale politico nuovo del terzo millennio, il bene dell’essere insieme nella pluralità. Questo ha delle conseguenze fondamentali che vanno contro l’individualismo neutro oggi dominante. L’individualismo c’è sempre stato anche in epoca moderna, ma oggi è diventato neutro, di massa. È un individualismo dove ciascuno sceglie senza più alcun riferimento al bene e al male, in questo senso è neutro. In una società senza riferimenti, l’individualismo è fenomeno divisivo e molto conflittuale. Allora chi teologizza questo individualismo assoluto postulando un neutralismo assoluto, una notte in cui tutte le vacche sono nere, sbaglia profondamente. In una situazione così la cosa fondamentale è che io proponga tutta la mia esperienza dell’umano. Per esempio, come voi fate col vostro settimanale, ognuno dia le sue ragioni, chi reputa un grande valore il volontariato o chi la famiglia, o chi ancora la cooperazione, si racconti e si faccia raccontare. Si proponga quello in cui si crede, non lo si taccia per paura di offendere qualcuno, poi asseconderemo le procedure che una democrazia pattuita ha stabilito per vedere quale è l’opinione prevalente che lo Stato dovrà registrare senza sacrificare i diritti fondamentali, ma solo quelli, non qualunque diritto e noni capricci scambiati per diritti.

VITA   Lei scrive che in un’epoca in cui nascita e morte sono messe esse stesse in questione, occorre, anche alla Chiesa, riconsiderare da dove possa sgorgare l’idea, l’esperienza, di una moralità comune. E dice, Credo si debba partire dall’esperienza elementare del bene, esperienza che ogni uomo fa. A questo punto, e sono le pagine del libro più sorprendenti, lei propone una rilettura dell’episodio evangelico del Giovane ricco per far capire come si sostanzi il nesso tra bene e relazione

SCOLA questo è davvero il punto: in base a che cosa un uomo diventa morale? Certamente la sua moralità si misura a partire dalla legge, tanto più che secondo la tradizione classica (purtroppo oggi dimentica e sepolta sotto il proceduralismo assoluto), la legge è fatta per educare ad agire secondo virtù, come dicevano Aristotele e San Tommaso. Ma, la genesi dell’atteggiamento morale viene prima della legge, viene dalla relazione buona. L’esempio del bambino di fronte al sorriso della mamma è significativo. Il sorriso della mamma dice al bambino “è bene che tu sia” e allora il bambino vede la vita come una promessa, così si dispone a fare anche un sacrificio, ad assumere un compito perché questa promessa avvenga, ed è lì che si innesta la legge.

L’esempio del Giovane ricco (Mt 19, 16-22) è chiarissimo, lui domanda “Cosa devo fare?” e Gesù gli propone una relazione nuova, “Viene dietro a me e dai tutto i poveri”. Cioè, Gesù dice che il centro della questione non è l’osservanza di regole, ma la riscoperta del nesso tra il bene e la relazione. Vieni dietro a me, ovvero fai esperienza di una relazione nuova che permette la scoperta del bene e che rende la vita  un’avventura promettente. Questo è un salto di qualità che la nostra società oggi deve fare. Questo non significa sottovalutare la legge, come taluni critici mi hanno detto in maniera scorretta, ma significa situarla nel cuore della persona.  

VITA: possiamo dedurne che prima dell’educazione alla legalità c’è l’educazione al bene?

SCOLA Certo che possiamo, anzi dobbiamo, dirlo. Altrimenti diventa un’educazione costrittiva alle procedure. Non esiste infatti nessuna educazione alla legalità se non dentro un’educazione al bene.  Che è la prima legge, la prima virtù. Educazione all’agire secondo virtù, ovvero fare il bene ed evitare il male.

VITA  Lei parla del primato della persona e della società civile anche in ambito economico. Viene in mente anatema che il Papa ha lanciato ai capitali anonimi  come potere distruttivo.  

SCOLA  Il Papa come sempre è molto penetrante nel giudicare la nostra situazione e nell’aprire alla speranza. L’economia deve davvero accettare di mettersi al servizio dell’uomo e di un uomo che vive una  trama di relazioni costitutive secondo la legge della prossimità, da quelle elementari a quelle globali. L’economia non è che la pratica scientifica che mi permette di produrre il massimo dei beni con il minimo dei mezzi,  e la finanza e ciò che permette all’impresa di traguardare dal presente verso il futuro con una certa sicurezza . Dobbiamo ripartire da queste evidenze. La caduta nell’individualismo anonimo dell’impresa finanziaria è la ragione per cui mancando le relazioni sostanziali, con il mondo della produzione e fra uomini, si è creata questa crisi pesante e lunga. Come ne usciremo? Recuperando un’esperienza del bene-essere che tenga conto della giustizia effettiva e con uno stile di vita diverso, in cui il peso dell’altro nella mia esistenza diventi un fattore di allargamento della ragione economica. E qui s’innesta la grande sfida che la Caritas in veritatae ha lanciato ma che purtroppo fino ad ora non è stata raccolta, cioè di dare un peso scientificamente economico all’elemento della gratuità e della fraternità, che sono tutt’altro del gratis. Ma il porre in atto operazioni economico-finanziarie che siano tese al valore del bene che cioè non si oppone all’elemento dell’utile che è necessario all’economia. Il vostro quotarvi in Borsa è un modo di innestare il tema del gratuito nella pratica economico e finanziario. Non più faccio il guadagno e poi dopo aiuto, invece aiuto facendo guadagnare tanti.

VITA La politica sembra non trovare il modo per rialzarsi.  

SCOLA Per sanare, mi si scusi il termine forte, la politica come l’economia non c’è a mio parere che una strada,  quella che indicavo all’inizio, bisogna partire dal dato sociale come sorgente di un nuovo universale politico.

Leggi inoltre il primo soluto dell’arcivescovo Angelo Scolo a a Milano 


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