Mondo

Tav, blitz ad alta velocità

Gli scontri in val di Susa erano già previsti dai giornali

di Franco Bomprezzi

Il presidio dei No Tav in val di Susa è saltato, stamattina, per il blitz annunciato della polizia. I giornali di oggi avevano infatti dedicato ampio spazio alla vicenda, che si riaccende a pochi giorni dalla prevista apertura del cantiere, necessaria per non perdere definitivamente i contributi europei previsti per l’alta velocità nel collegamento Lione-Torino. Ecco che cosa scrivono i quotidiani in edicola.

Le notizie più aggiornate il CORRIERE DELLA SERA le fornisce ovviamente nell’edizione on line. “Lacrimogeni e blindati, No Tav in fuga” è il titolo in home page attorno a mezzogiorno di oggi, questa la cronaca dell’inviato Marco Imarisio: “Espugnato il presidio dei No Tav in val di Susa. Circa 2.500 poliziotti hanno sfondato tutti gli ostacoli e i blocchi creati dai manifestanti sulla strada dell’Avanà, a Chiomonte (Torino). Ovvero la via principale che conduce all’area della Maddalena dove il 30 giugno sarà aperto il cantiere per la linea dell’Alta Velocità Torino-Lione. E dove i No Tav avevano messo in piedi un presidio permanente. Una sorta di bastione, su una rupe scoscesa, conquistato dalle forze dell’ordine attraverso una pala meccanica e un fitto lancio di lacrimogeni, che ha costretto i manifestanti alla fuga per le vigne e i boschi che costeggiano l’area. Sul posto sono arrivati i sindaci locali per «trattare la resa». Numerosi i militanti in lacrime: «È la fine della Libera Repubblica di Chiomonte». Violento corpo a corpo, invece, sull’autostrada Torino-Bardonecchia, dove i No Tav hanno lanciato estintori e pietre contro la polizia, che ha risposto caricando. Negli scontri, dicono la polizia e una radio locale vicina ai No Tav, sono rimaste ferite 29 persone, 25 agenti e quattro manifestanti”. Torniamo all’edizione di carta del quotidiano di via Solferino. In prima pagina di taglio centrale l’anticipazione dei fatti di oggi: “In val di Susa la sfida tra gruppi No Tav e migliaia di agenti”. Pagine2 e 3 dedicate all’argomento. Apertura di pagina 2 con Dino Martirano: “Il giorno più lungo della Tav. Maroni: non ci fermeranno”. Scrive Martirano: “È qui, a Chiomonte, che prima di giovedì 30 giugno il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è intenzionato a far rimuovere blocchi e barricate del movimento No Tav per consentire l’apertura del cantiere del tunnel geognostico preliminare alla realizzazione dell’Alta Velocità ferroviaria, la Tav Torino Lione. L’ultima settimana di passione della Val di Susa è iniziata. Dopo l’ultimatum della Ue — che ha fissato al 30 giugno il termine ultimo per avviare i cantieri, pena la cancellazione di una parte cospicua del primo finanziamento europeo di 671 milioni — Maroni è stato chiaro: «Il cantiere si apre entro il 30 giugno. E l’opera si fa, altrimenti diciamo addio alle centinaia di milioni di contributo Ue»”. Titolo di taglio, dedicate alla vigilia del blitz: “Oltre 5 mila alla fiaccolata «Il treno non passerà»”. Scrive Marco Bardesono: “Lungo la strada che porta alla Maddalena i No Tav hanno eretto barricate. Ci sono copertoni un po’ dappertutto. Tra i No Tav convivono due anime: i valsusini doc (sempre meno) e i giovani antagonisti dei centri sociali: «Qui non hanno mai dato problemi. Devono rispettare la nostra ospitalità e comportarsi bene» , dice Marisa Meyer, 66 anni, la capo cuoca della «Repubblica «. C’è ancora chi spera sia possibile fermare tutto: «La costruzione della linea non è una questione (solo) locale e l’opposizione delle popolazioni interessate non è un semplice problema di ordine pubblico» . Lo scrivono in un ultimo appello, tra gli altri, don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Carlo Petrini, Marcello Cini e Alex Zanotelli: «Chiediamo alla politica un gesto di razionalità: si sospenda l’inizio dei lavori e si apra un ampio confronto su opportunità, praticabilità, costi e alternative»” . E spetta all’inviato “storico” Marco Imarisio raccontare la tensione in Val di Susa, nella giornata di domenica: “Due eserciti ai piedi di una scarpata”. Eccone un passaggio che aiuta a comprendere l’ineluttabilità della situazione: “L’anello di congiunzione tra le famiglie con bimbi al seguito e le frange disposte a tutto si chiama Alberto Perino, bancario di Condove in pensione, militante No Tav da vent’anni, gli ultimi cinque dei quali trascorsi in un crescendo di estremizzazione. Mentre molti paesi della valle mediavano con l’Osservatorio nato proprio per fare questo, lui predicava in senso contrario. Si è ritrovato in compagnia di una falange non nutrita, ma pronta a seguirlo in discorsi dove si paragona la protesta contro la costruzione di un tunnel alla lotta dei partigiani, a Garibaldi, a Spartacus. «Arriveranno con i manganelli e ci picchieranno, come sempre. Il nostro sacrificio aprirà la strada alla lotta No Tav delle nuove generazioni» . Le sue ultime parole, non proprio improntate alla moderazione, sono queste. C’è bisogno di un sacrificio, di un martirio da poter esibire. È questo che rende la faccenda di Chiomonte tremendamente complicata. Lo scenario non è ignoto ai vertici della questura, i primi a essere chiamati in causa da questa resa dei conti annunciata. Le ultime relazioni inviate al Viminale suggerivano di rimandare l’operazione dopo l’estate, lasciare lassù i «resistenti» , utilizzare il tempo come un diluente della protesta. Non ce n’è più di tempo, è stata l’ultima risposta. Il 30 giugno, termine ultimo fissato dall’Unione europea per l’apertura del cantiere, perdita la pena dei finanziamenti comunitari, non era una scadenza all’amatriciana. A Bruxelles aspettano dal 2005, da quando gli scontri di Venaus rinviarono l’opera a data da destinarsi. Adesso basta, è stato questo il messaggio di Siim Kallas, vicepresidente Ue, che ha chiesto certezze sull’avvio dei lavori”. 

LA REPUBBLICA che apre sulla politica (“Rissa nel governo sulla manovra”) solo  a pagina  19 si occupa della Valsusa: “Tav, ultimatum di Maroni: ora è rischio scontri”. Un monito singolare per un ministro della Repubblica che, ci informa il quotidiano on line, sta diventando realtà. Stamane infatti si è avuto un blitz delle forze dell’ordine, schierati oltre 2000 uomini. Le ruspe sfondano i presìdi e aprono varchi scortate dalla polizia. Fitto lancio di lacrimogeni. Chiusa l’autostrada, bloccato il transito verso la Francia. Il muscolare Maroni l’aveva detto: «Non riusciranno a fermare l’apertura del cantiere». Chi sono i manifestanti? Rappresentano, spiega sul giornale cartaceo Diego Longhin, l’ala dura: 22 sindaci, la comunità montana e tanti cittadini fuori e dentro la valle. Ieri sera alla fiaccolata di protesta hanno partecipato in 5mila. La strategia del movimento è una sola: resistere. «barricata su barricata  e con la maggior determinazione possibile. Se poi devono arrivare arrivino, se proveranno ad attaccare la Maddalena faremo i flash mob dappertutto, dobbiamo farli diventare matti». Stamattina le prime azioni: pietre e vari oggetti sono stati lanciati contro una ruspa che si è avvicinata a uno dei tre punti di accesso. Un vetro della cabina di guida della pala meccanica è stato rotto dal lancio di pietre e oggetti e lo scarico degli estintori, fatto da alcuni dei manifestanti sistemati sulla campata della galleria, ha infastidito il conducente. Nel punto di accesso è stata realizzata una barricata con pietre, alberi e reti metalliche.

“Apriamo il cantiere. Val di Susa blindata per i lavori della Tav”. LA STAMPA apre l’edizione di oggi con la decisione del ministro Maroni di iniziare i  lavori entro il 30 giugno, servizi da Chiomonte che illustrano il mondo che si oppone alla Tav: «un magma vasto e disomogeneo» lo definisce l’inviato de LA STAMPA a pagina 3 «fatto anche di avvocati che offrono tutela legale ai No Tav e amministratori locali». «Se ci cacciano, ritorneremo» è il mantra di questo popolo variegato che si oppone ai lavori. LA STAMPA va anche a vedere chi sono i “giovani veterani” schierati per mantenere l’ordine pubblico: 1000 poliziotti, 600 carabinieri, 200 finanzieri e 200 guardie forestali, età media 25 anni. Tutti “veterani” reduci da Lampedusa, dalla guerra delle discariche nel Napoletano, dagli scontri per i Cie di Gradisca d’Isonzo, sino alle battaglie scatenate dagli ultras del calcio.  A pagina 4 LA STAMPA indaga le opinioni degli amministratori della Val di Susa, circa il nuovo progetto che riduce costi e scavi: “La Tav low-cost divide i sindaci” è il titolo. Chi si oppone denuncia la mancanza di copertura finanziaria e l’assenza di un rapporto sui costi-benefici. Chi è a favore dice che questo nuovo progetto verrebbe incontro a una serie di esigenze del territorio e che è dovere degli amministratori locali  mediare con il governo.

E inoltre sui giornali di oggi:

MANOVRA
LA REPUBBLICA –  La maggioranza in eterna fibrillazione. Alimentata anche questa volta dalla manovra prossima ventura, sulla quale Crosetto, il sottosegretario alla Difesa, ha espresso un giudizio molto netto: «è una manovra da psichiatri». Non si capisce se interpretando davvero gli umori di tutto il Pdl. Tremonti (indebolito dall’inchiesta sulla P4 che ha spinto alle dimissioni il suo consigliere politico, l’onorevole Milanese) per ora tace. In compenso parlano tutti gli altri. Bonaiuti che dice che quella di Crosetto è una posizione personale; Bossi che si oppone all’idea di alzare l’età pensionabile… Nel retroscena di Francesco Bei, si descrivono le pressioni su Tremonti, il quale, avrebbe detto Berlusconi, «è impazzito, così fa saltare tutto», per poi concludere: «nessuno è indispensabile».

IL GIORNALE – Apre la settimana decisiva per la manovra economica  prendendo la mira su Tremonti e  titola: «Tremonti alle corde. Per la P4 si dimette il suo braccio destro. E il sottosegretario Crosetto attacca la manovra “roba da psichiatri”. Intervista a Saverio Romano che ribadisce: «la spesa pubblica va tagliata con il machete». E sugli stipendi dei parlamentari: «livelliamoli a quelli europei da subito. E poi tocchiamo tutti gli enti controllati dallo Stato: Eni, Enel, Autority, Corte dei Conti, Corte di Cassazione, Csm. Per non parlare di certi stipendi dei vertici Rai». E ancora «Si abbia il coraggio di far gravare sui redditi più elevati il carico maggiore, compensando l’alleggerimento fiscale alle piccole  e medie imprese, spina dorsale della economia». Sulla manovra invita  i suoi colleghi a «una maggiore collegialità».

ENERGIA
IL SOLE 24 ORE – Sorpasso nell’energia, più solare che eolico», è il titolo del servizio di apertura dell’inserto «Rapporto Energia». Scrive Laura La Posta: «non solo per potenza installata di impianti ma anche per produzione lorda di energia. Entro dicembre, infatti, il fotovoltaico dovrebbe raggiungere quota 9 TWh (dallo 0,7 del 2009), superando di misura l’eolico che ora produce 8,4 TWh e che si prevede non cresca più di tanto, visto il taglio degli incentivi in atto e l’annunciato cambio del regime di sostegno pubblico atteso per settembre. Una svolta di rilievo, visto lo storico peso dell’eolico sulle rinnovabili italiane».?

LIBIA
CORRIERE DELLA SERA – Bello il reportage di Lorenzo Cremonesi da Brega: “Nelle trincee di Gheddafi. Con la paura dal cielo”. Scrive l’inviato in Libia a pagina 15: “Abbiamo percorso il cuore delle regioni filo-Gheddafi. Da Tripoli, l’autostrada della costa è interrotta attorno a Misurata, dove l’avanzata dei ribelli è stata bloccata e negli ultimi tempi le bombe sono tornate a colpire il centro città. Occorre allora salire sull’altopiano controllato dai Tarhunah, una delle tribù che fornisce il fior fiore delle truppe del Colonnello. Ma se i Tarhunah sono e restano fedeli, è nella cittadina di Beni Walid dove si tocca con mano la determinazione che guida le forze del regime. E’il villaggio dei Warfallah, la tribù che con circa un milione di persone (su sei milioni di libici) è considerata la più potente del Paese. Praticamente non c’è casa senza bandiera verde, su ogni negozio è appesa la foto di Gheddafi: da qui ogni giorno partono i convogli di vetture cariche di armi e munizioni per i combattenti di Misurata, Brega e le montagne di Nafusa. Tornati sulla costa, l’autostrada è deserta. Arrivando a Sirte, la regione natale di Gheddafi, si nota un poco più traffico. Ma fuori città trionfa il terrore delle bombe Nato. Lasciando Tripoli un giovane negoziante ci aveva sussurrato: «Per favore, la stampa italiana dica a Berlusconi di non cessare i bombardamenti. Sarebbe la fine delle nostre speranze democratiche. Guai a rompere il fronte Nato» . Qui nulla di tutto questo. Solo un gruppetto di ragazzi incontrato nel parco centrale di Sirte ringrazia «l’Italia e l’Europa al cento per cento» . Ma è solo un accenno fugace. Per il resto la gente ci ferma in modo spontaneo per denunciare i bombardamenti”. 

BIRMANIA
IL GIORNALE – Fausto Biloslavo intervista il capo dei ribelli Karen che dice: «Macchè Gheddafi, cacciamo i rais birmani». Il comandante Nerdah Mya dice che «ci basta un decimo dei soldi che inviate agli insorti di Bengasi: dateci  centomila euro al mese e noi abbattiamo il regime nel giro di un anno. I dittatori spadroneggiano qui sono quattro volte peggio del Colonnello». Sul premio nobel San Suu Kyi Nerdah dice: «per noi  resta un simbolo della democrazia e della opposizione, ma non è forte abbastanza per rovesciare  il regime». 


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