Economia

Gli Stati Generali del non profit

Al centro del dibattito un disegno di legge per il settore

di Redazione

E’ un settore ancora fragile, ma offre pur sempre un impiego ogni otto occupati. Il terzo settore d’oltralpe si dà appuntamento questo fine settimana a Parigi. Li chiamano gli Stati genereali dell’economia sociale e solidale, al secolo “Etats généraux de l’économie sociale et solidaire (ESS)” e si terranno a Palazzo Brongniart nella capitale, dal 17 al 19 giugno.

Frammentato e molto eterogeneo, il non profit francese è comunque un settore dinamico con 440.000 posti di lavoro creati dal 2000 (+23%) e 31.000 nel solo 2010. A fare la parte dei leone sono le associazioni: rappresentano l’83% delle realtà capaci di fornire il 77% dei posti di lavoro e spesso sotto forma di part-time. In generale l’economia solidale era formata nel 2010 da 200mila realtà: 166mila associazioni, 25mila cooperative, 6.500 mutue e 1150 fondazioni. Il settore raggruppa circa 2,3 milioni di salariati e distribuisce 50,5 miliardi di euro in salari, di cui il 14% in ambito agricolo. 

Contrariamente alle imprese for profit, l’economia solidale (ad eccezione del comparto agricolo e delle cooperative) non sembra aver risentito più di tanto della crisi economica. Ma quanto potrà durare questa situazione? «Le aziende dell’economia sociale si sono preservate in primo luogo perché sono meno soggette ai capricci del mercato, ma la maggior parte sono comunque molto dipendenti dai sussidi pubblici che sono in netto calo dal 2010» ha dichiarato Jacques Malet, presidente di Recherches & Solidarités, un’organizzazione di ricerca. Secondo le ultime cifre, la prima inversione ha avuto luogo a partire dall’ultimo trimestre 2010: 15.000 posti di lavoro sono scomparsi. E il 2011 potrebbe essere un brutto anno. «Nel 2011, le associazioni, che sono i principali datori di lavoro, sperimenteranno gli stessi rischi delle aziende tradizionali nel 2009», avverte Malet. Per superare le difficoltà future, l’economia solidale si aspetta dal governo un piano economico, ma anche una svolta sul piano giuridico.

Un disegno di legge vero
Nel mese di aprile dello scorso anno, Francis Vercamer, deputato del partito centrista Ump, ha presentato una cinquantina di proposte di carattere giuridico e finanziario: «Il lavoro sta procedendo più lentamente di quanto avessi sperato, ma il Consiglio Superiore di Economia Sociale, presieduto da Roselyne Bachelot, ha deciso di lavorare su una legge quadro del settore, osserva il deputato. Se il settore intende ottenere visibilità e credibilità, non serve fare emendamenti alle varie leggi, ma c’è bisogno di un disegno di legge vero e proprio». Il contenuto della norma non è ancora definito con precisione e la sua tempistica e Roselyne Bachelot ha espresso dubbi sulla possibilità di un esame parlamentare prima delle elezioni presidenziali del 2012.

Le presidenziali, appunto. Con l’avvicinarsi del 2012 il terzo settore francese potrebbero diventare merce rara per un campagna elettorale che si preannuncia lunga, priva di entusiasmi e faticosa. François Hollande, del partito socialista, lo ha già fatto capire auspicando dalle pagine del quotidiano Le monde una maggiore rappresentanza nel mondo del lavoro dell’economia sociale.

Quale futuro, quindi?
Alla domanda ha tentato di dare un risposta Claude Alphandéry, punto di riferimento del settore e fondatore di France Active, intervistato da Novethic: «Per la prima volta, le associazioni, le cooperative, le imprese sociali, i cittadini sono nati per redigere i 400 “Quadrerni di speranza”. Questi stati generali devono essere l’occasione per dare voce a quanto vi è scritto. Anche eprché viviamo un altro problema. Il settore lo conoscono ancora troppi pochi. Molti, anche fra di noi, non saprebbero definirlo . Alcuni dicono che aiuta i disoccupati, altri parlano di commercio equo, ma troppo pochi ancora dicono che è una alternativa per uscire dal”bazar” in cui siamo. In un momento di profonda crisi del capitalismo che ha scosso anche lo stato più liberale – conclude Alphandéry – e dobbiamo far pesare i nostri valori nel dibattito pubblico, adottare un linguaggio nuovo per cambiare. Quindi abbiamo bisogno di convincere il pubblico, e questo influenzerà i decisori prima delle elezioni presidenziali».


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