Famiglia

Dopo Genova, alcune testimonianze

Le prime reazioni all'articolo di Riccardo Bagnato del 24/07/2001

di Redazione

Quelle che pubblichiamo in queste pagine sono soltanto alcune delle numerosissime lettere ed email che ci sono arrivate, a testimonianza di quanto diffusa e per nulla scontata sia la discussione sui fatti di Genova nella società civile. Qualcuno ci ha anche rimproverato una certa misura nelle posizioni espresse nel numero scorso. Noi semplicemente abbiamo provato a ragionare giacché la guerra che a Genova si è combattuta non ci appartiene, come non appartiene alla stragrande maggioranza di chi a Genova era andato per manifestare. Sono in troppi a trarre profitto (profitto politico, profitto editoriale, profitto personale) dalla radicalizzazione di uno scontro in cui l’altra parte è peggio di un avversario, è un nemico da combattere e, magari, anche da eliminare, da umiliare. SemplicementeVita si rifiuta di partecipare a questo macabro gioco. L’avevamo già scritto sul nostro sito, dopo una rapida consultazione con tutta la redazione, poche ore prima che a Genova, venerdì 20 luglio, si scatenasse la guerra per le strade: “Scandalosa la partita che i mezzi di informazione stanno giocando in queste ore. Una partita costosissima con gran dispiegamento di mezzi, una partita miliardaria come se le proteste antiglobal fossero una partita di calcio. Una partita cui una minoranza di deficienti presta il fianco. Da questo momento la nostra agenzia online sospenderà ogni aggiornamento sull’andamento degli scontri. Da questo canale di informazione daremo solo notizie sulla partita vera, quella sui contenuti e sulle decisioni che verranno o non verranno prese”. Stare sui contenuti: è stato questo il nostro imperativo anche nelle giornate convulse del dopo G8, coscienti che ogni altra scelta avrebbe fatto rivolgere la testa indietro. Guardare indietro, ecco la vera sconfitta per un movimento che sino al 19 luglio aveva saputo guardare avanti, ecco la vera sconfitta e umiliazione per una generazione nuova di attivisti. Dopo Genova dovremmo prestarci al gioco di un Governo che rimpiange il Pci e di una sinistra che rimpiange la Dc (come è stato autorevolmente sostenuto dalle due parti)? Dopo Genova dovremmo prestarci al misero gioco del partito della Rifondazione comunista, e di qualche suo quadro intermedio, che sogna di cavalcare una nuova onda antagonista? Sulle violazioni dei più elementari diritti umani e civili indaghi la magistratura e la Commissione d’inchiesta parlamentare (sempre che il Governo non sia così cieco da vietarla). Riguardo al resto il movimento dovrà guardare avanti giudicando le trappole in cui è caduto e imparando a scegliere. Leggere le nostre emozioni Stavo cercando di stendere qualcosa sui fatti di Genova, ma faccio fatica non solo a ricostruire gli accadimenti con la maggiore fedeltà possibile, ma ancor più a interpretarli, soprattutto a così poca distanza, quando le emozioni sono ancora vive. Mi è sembrato straordinario il tuo commento sul sito, straordinario per come sei riuscito a cavalcare così in fretta tutte queste fasi e a fare una lettura così chiara e lucida. Ho 24 anni. Ciao. Renata Bonito La verità umana è stata umiliata È importante saper cogliere la verità che sta sopra le parti, che supera gli scontri e le fazioni, che ricomprende il senso e le ragioni più profonde degli avvenimenti, capace di spiegare anche l’assurdo incomprensibile. Ma purtroppo ho capito che anche questa visione benché indispensabile, necessaria, insostituibile (l’avessero tutti questa capacità) è parziale. Dà una risposta sul piano umano che nessuno ha avuto la forza di difendere in questi giorni, perché era troppo ghiotto il boccone della strumentalizzazione politica, ma lascia a lato il problema delle responsabilità, politiche, sociali, istituzionali, personali. Anch’io ho visto negli animi dei Black Block aneliti di giustizia, e moti di coraggio e passione sincera, ma come non si può fare un bilancio delle responsabilità personali… Ed è consentito a degli apparati istituzionali agire sull’onda dell’emozione, dell’impulso, dell’incitamento irrazionale? è giustificato/bile che pubblici ufficiali abusino della loro posizione pubblica, operino violenze arbitrarie, colpiscano ingiustificatamente persone inermi, anche se hanno solo 20 anni? è ammissibile che 8 personaggi potenti si nascondano dietro alle lacune normative internazionali e dettino la legge dei loro interessi al mondo intero non cercando la realizzazione di un assetto mondiale davvero e sostanzialmente democratico? Purtroppo alla realtà va imposto un ordine e non è sufficiente analizzarla. Ha ancora senso cercare un ordine che sia migliore di quello attuale? è possibile? Non lo so… Sono tutte domande che mi pongo da qualche giorno a questa parte visti gli esiti del nostro impegno e del nostro coraggio… O forse l’ordine è quello che la storia determina, secondo gli assetti di forza che si instaurano man mano nel tempo, e si ricompongono continuamente in nuove forme che però nessuno riesce a preordinare? Anch’io condivido i tuoi sentimenti di pace e questi sentimenti sono stati profondamente turbati in questi giorni e per molto tempo porterò con me i segni di questa devastazione. Grazie per aver assecondato la mia voglia di condividere questa esperienza. Roberta Quella guerra non ci appartiene A me è sembrato che a Genova ci fosse un guerra. Questo sì. Mi è sembrato però che ci fosse una guerra ancora più profonda, quella fra i sentimenti, gestita e forse architettata da tutte le informazioni che avevamo. L’odio per la polizia, la diffidenza per alcuni manifestanti, la paura delle sirene, degli elicotteri, la nausea, la stanchezza di fuggire, la rabbia per i Black Block e per chi veniva picchiato, la compassione per questi ragazzi di leva a quali hanno insegnato a picchiare, non importa chi, ma a farlo, perché un cenno di debolezza avrebbe messo in pericolo la loro vita e quella degli altri colleghi. Il panico, l’angoscia, la felicità di vedere un bambino spuntare dalla finestra di Genova su Corso Torino. La cortesia e la comprensione di tanti genovesi, ogni giorno, e in corteo, a spruzzare o gettare dalla finestra acqua per noi. Così ho cercato di seguire i sentimenti che sentivo e la coscienza, pensando che la vita è la cosa che abbiamo di più caro sentendo un dolore sincero ogni volta che ne vedevo una in pericolo. Ho pensato alle tante volte che ne ho sentito parlare e che non capivo appieno. oggi forse capisco di più. Sono stato fermo come un idiota, bloccato per due ore, mentre portavano via ragazzi della mia età. E per quanto potessero essere delinquenti – ammesso e non concesso – non ho potuto che soffrire come se fossi io. Ero in quella scuola dieci minuti prima. Per un semplice caso della fortuna, ho pensato, mi sono alzato e sono andato a bere qualcosa al bar, proprio quando accendevano i motori in caserma sapendo già cosa dovevano fare. Davanti a tutto ciò ho visto la vita come si può svolgere, e qualcosa che è, e che ne sa di più di tante ricostruzioni scientifiche o politiche che chiosano l’accaduto, e l’unico modo per esprimerlo era parlarne con altri, amici, e sostituire all’informazione la mia coscienza, al turbinio di sentimenti sceglierne uno, la pace. Che è un sentimento, o forse qualcosa di più. A presto, un abbraccio Riccardo Che delusione chi ho votato Carissimo, ho appena finito di leggere la tua nitida cronaca degli avvenimenti genovesi e ti ringrazio! Finalmente ho letto una testimonianza vera, e non una serie di elucubrazioni pro o contro qualcuno! Non voglio nemmeno sapere chi tu ritenga che sia stato più in errore, fra dimostranti violenti e forze dell’ordine, diciamo così… spregiudicate: ci mancherebbe altro, lo so che non la pensi certo come me, pazienza! Quello che ho provato io, a distanza, sentendo la cronaca degli eventi dalla mitica Radio Radicale, è stata la sconfitta delle mie idee, ho percepito quanto chi ho contribuito a votare sia ancora ben lungi dal possedere il vero senso dello Stato, mah!!! Ti abbraccio idealmente con forza, e spero proprio che la nuova Italia si costruisca con gente come te, e non con gli Agnoletto, gli Scajola o i giovani del Black Block!!! Il sempre più anti-global Renato Tubére, Torino Ci hanno strumentalizzato Caro Riccardo, fa piacere, non poco, accorgersi che c’è qualcuno che sa ancora attraversare le vicende più “traumatiche” conservando il desiderio di cogliere gli aneliti della vita umana che si esprimono anche attraverso di esse. In questi giorni ho faticato a poter condividere con qualcuno queste mie impressioni e la distanza che sentivo rispetto a ogni strumentalizzazione che ci veniva bassamente propinata e che altrettanto bassamente veniva raccolta con avidità, come se non si aspettasse altro. Certo, è stata una mia scelta, ho scelto di muovermi da sola e sono capitata dove sono capitata, non potevo aspettarmi molto di meglio. Forse, mi fossi accodata a qualcuna delle tante Retelilliput o Manitese mi sarei trovata più a mio agio. In ogni caso anche questa scelta ha maturato i suoi frutti. Un’email da Gulu, Uganda (Africa) La vostra saggezza in tanto delirio Carissimi, nel delirio di questi giorni, in cui pare che molti abbiano completamente perso la testa, le vostre lettere ad Agnoletto e quella di Patriarca su Avvenire che leggo su www.vita.it, mi hanno sollevato il morale come una ventata di intelligenza e di equilibrio. Avete dato voce a ciò che pensavo e che, spero, pensino ancora in molti (un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce…). La violenza delle parole non è che un aspetto della violenza in genere, e non può che incitare e favorire altra violenza, di parole e di fatti. Da persona nata e cresciuta in un ospedale missionario, a favore del quale tuttora ho la fortuna di potermi dedicare a tempo pieno senza retribuzione, mi sono sentita oltraggiata da molte dichiarazioni che avrebbero dovuto (e spero fortemente non sia così) essere a nome di tutti coloro che hanno partecipato al Gsf. Inoltre, inviare una manifestazione imponente nelle zone calde e dichiarate di scontro non può che giocare a favore di coloro che desiderano lo scontro e che approfittano delle masse, le quali a loro volta, volenti o nolenti, servono da copertura. Una massa composta ed equilibrata di partecipanti ad una manifestazione organizzata fuori da Genova, in zone assolutamente non appetibili agli amanti della guerriglia urbana, avrebbe comunque ottenuto l’attenzione dei media. Grazie delle vostre parole e distinti saluti. Dominique Corti, Gulu, Uganda A Genova i poveri ko Dopo aver visto le immagini relative alla manifestazione del G8 a Genova mi chiedo, e penso che molte persone se lo chiedano, come sia stato possibile che giornalisti, operatori e quanti non implicati in atti di vandalismo e guerriglia urbana siano stati feriti dalle forze dell’ordine. Prima ancora di vedere le immagini con agenti in divisa che parlavano con persone mascherate, e le stesse che scendevano dai pulmini delle forze dell’ordine, non riuscivo a capire perché tutti coloro che mi raccontavano l’accaduto davano una visione totalmente differente dalle notizie ufficiali. Fra gli altri racconti uno in particolare mi lasciava perplesso e stupito: il racconto di un giovane che insieme a molti altri (famiglie con bambini, sacerdoti, suore…) rifugiatisi sulle scale di una chiesa sono stati provocati sia a gesti che a parole dalle forze dell’ordine. Il tutto mi ha fatto riflettere e collegare immagini e racconti; vedere le forze dell’ordine marciare con passo cadenzato battendo con il manganello sullo scudo mi ha fatto ricordare usi e costumi tribali che servivano a eccitarsi prima della battaglia. Questo non significa la demonizzazione delle forze dell’ordine, ma deve essere una base di riflessione su quanto accaduto affinché non accada più. Riteniamo che il gravoso impegno delle forze dell’ordine, alle quali è demandata la sicurezza pubblica, l’incolumità delle persone debba portare soprattutto a che esse siano formate e addestrate alla non violenza, alla tecnica della comunicazione e al rispetto dei diversi. Pur condividendo le idee di coloro che hanno manifestato in maniera civile e pacifista non possiamo e non posso esimermi dall’esprimere il mio sdegno e la disapprovazione di quanto accaduto a Genova da parte di una minoranza di manifestanti, con azioni assurde anche da parte di settori delle forze dell’ordine. Ciò che è accaduto certamente non aiuta i paesi poveri, perché tutto ciò ha distratto l’opinione pubblica mondiale dal problema reale: la povertà e la disuguaglianza sociale, lasciando spazio alla cronaca di giornate da dimenticare. Giuseppe Bracaloni Presidente Associazione Lotta per la Vita, Roma Il G8, i black bloc e noi…. Dal fumo della tempesta cerchiamo di far emergere qualche riflessione che non sia da tifoseria di calcio. Il G8 è il segno di una sfacciataggine che trabocca dall’Occidente. Il G8 in realtà non serve. Il G8 è in realtà un simbolo, un segno, un gonfalone medioevale, uno stemma reale, che ricorda a tutto il mondo, qualora ce ne fosse bisogno, da quale parte sta il potere. Il G8 sta solo lì a dimostrare, a esplicitare ciò che già è, a rendere visibili i rapporti di forza mondiali. è per tale motivo che oltre ad essere ingiusto, è uno sbeffeggio per il resto della popolazione mondiale, che resto non è: è maggioranza assoluta! Come per dire: oltre ad avere i soldi grazie allo sfruttamento indiscriminato delle vostre risorse umane e naturali, ci autolegittimiamo il diritto di ritualizzare questo nostro potere e decidere per voi e per tutto il mondo. Ma le contraddizioni non riguardano solo il sud del mondo. Riguardano anche noi che viviamo in “democrazia”. Bel termine questo… Una volta assodato che viviamo in una democrazia tutto viene relativizzato, tutto è virtualmente concesso alla popolazione, il livello di guardia si abbassa e il “panem et circenses” dei Romani diventa il criterio di legittimità delle nostre repubbliche occidentali. è come dire: se c’è “il mercato” ergo “c’è democrazia”! E invece no. Le cose non stanno così. Le contraddizioni emergono sempre più violente anche in Occidente. Ci si accorge, per esempio, che un sacco di gente sta diventando sempre più povera e non conta nulla, ma proprio nulla, né politicamente né socialmente. Ci si accorge che i giovani “non hanno più valori”…. ma quali? quelli del “mercato”? Si prende coscienza che l’ambiente sta scoppiando, che l’emergenza aumenta, che rischia di mettere in discussione alcuni dogmi del “mercato”. Allora qualcuno getta il sasso nello stagno e molti cominciano a prendere coscienza di ciò che avevano intuito ma a cui non sapevano dar forma. Si guardano in giro e vedono la “parata” del G8. E il G8 cade subito vittima della stessa funzione per cui è nato: essere simbolo di forza e di potere. Proprio così, vittima dello stesso motivo per cui è nato. Questo non l’avevano calcolato i “grandi” della terra. Diventa il capro espiatorio di qualcosa che in realtà riguarda tutti quanti… perché in Occidente siamo tutti parte di quel sistema che il G8 rappresenta, nessuno escluso La Comunità di Liberazione Ma la vendetta no Per i fatti di Genova io penso che la strategia del governo Berlusconi sia stata lucida e cinica: protezione solo per i potenti entro la linea rossa, mentre all’esterno stavano quelli che in gergo militare si chiamano “carne da macello”, cioè novellini e inesperti, appena usciti dall’addestramento, per fungere da birilli e da cuscino…e infatti è successo quel che éèsuccesso. Alle partite di calcio i servizi d’ordine sono studiati meglio. Per questo io sento la necessità di ribadire (magari in maniera grossolanamente retorica) a tutti quelli cui stanno a cuore le ragioni dell’antiglobalizzazione: di non cercare o ventilare inutili e assurde vendette che non porterebbero ad altro se non a nuove spirali di violenza che stroncherebbero sul nascere il germe di un movimento civile di grandi progetti e grandi possibilità, per la forza delle sue ragioni; le violenze possono essere inoltre facilmente manovrate e strumentalizzate e non portano nessun vantaggio, come purtroppo abbiamo già visto nei recenti anni passati. Marco Guerini, Bg Genova, una guerra non mia Sto cercando di leggere con attenzione le motivazioni degli uni e degli altri, le spiegazioni e (a volte) le elucubrazioni che non spiegano, ma che fanno capire. A Genova non c’ero. Dovevo andarci come legale volontario del Gsf, ma poi impegni improvvisi mi hanno trattenuto a Reggio. A fare da amplificatore agli impegni, la sensazione di grande imbarazzo rispetto a un mondo al quale io mi sento estraneo: quello della violenza. A me la globalizzazione economica non piace. Mi fa orrore vedere i miei bambini in Cambogia avere negli occhi le magliette e le scarpe con nomi occidentali che loro coetanei magari producono. Mi fa orrore l’idea che in Europa una mucca prenda molti più soldi di sostegni al giorno di quello che mangiano le migliaia di bambini che vivono con gli aiuti della mia associazione in Cambogia o in Etiopia. Del pari, però, io non amo le sassaiole, gli estintori levati come armi, le vetrate rotte e le camionette dei carabinieri prese d’assalto. In questi giorni tutti stiamo spiegando che le migliaia di persone che hanno marciato a Genova nulla avevano a che vedere con i pochi violenti che hanno manifestato la loro rabbia nichilista spaccando vetrine e mettendo a ferro e fuoco una città. Ma come negarci che quel virus era già nei proclami di guerra al G8 di Casarini e di alcuni dei leader del Gsf. Ci dimentichiamo forse che le mappe della città che venivano allegate alle convocazioni delle assemblee contenevano già un prontuario legale che parlava non solo dei reati “politici” legati alla disobbedienza civile (quale può essere la resistenza,nonviolenta, al pubblico ufficiale), ma anche di alcuni reati più “comuni” quali il danneggiamento? Scusate, ma il danneggiamento cosa c’entrava con la nonviolenza? Abbiamo sbagliato: abbiamo confuso un evento politico con un evento mediatico, nel quale paga più la tuta bianca, lo scudo e la bardatura da giocatore di hockey, che la discussione e il confronto delle idee; scusate ma qualcuno ha mai visto Gandhi con uno scudo di plexiglas? Perché dimentichiamo, nei giusti proclami di libertà di manifestazione del pensiero, che il povero ragazzo ucciso a Genova stava partecipando a una manifestazione violenta brandendo una bombola contro un poliziotto? Qualcuno riesce a vederlo come “martire” degli anti G8. Per me è martire di una guerra che, malgrado mi sforzi, non riesce ad appartenermi. E che, alla fine, non aiuterà alcuno dei “miei” bambini di Cambogia a sperare in un mondo migliore. Dobbiamo allora rivedere i nostri metodi di lotta: se migliaia di persone usano le nostre urla per giustificare le loro violenze ogni volta che manifestiamo, vuol dire che anche noi stiamo sbagliando qualcosa, perché la nonviolenza e il mondo migliore che vogliamo, non hanno bisogno di sassi e vetrine rotte. Marco Scarpati, Milano GSF rap Genoa Song of Freedom Sono la tuta bianca svestita per l’occasione, mescolata nel corteo sono l’anarcopacifista criminalizzato senza colpa, il militante senza partito, il volontario, il missionario e la suora, l’ambientalista e il biocontadino, qualche partito e sindacato, sono il lillipuziano contro il gigante, sono il credente nel rito collettivo della strada di tutti, sono lo striscione e le grida, sono il sangue e le fratture, sono i computer spaccati, sono l’acqua regalata dai balconi, sono i volontari che hanno messo in piedi mille forum, e sedi, e docce, sono il GSF, il Grande Sogno Fottuto preso tra due fuochi a urlare la mia rabbia, la mia impotenza (le mie idee spacciate per violenza) Sono lo spirito di Genova Che vola alto, molto più alto dei vostri elicotteri Più alto del fumo dei vostri lacrimogeni Più alto delle botte dei vostri manganelli Vedo le vostre polizie contro le nostre carni contro i nostri respiri ho visto tutto, e sono stanco di perdonarvi di perdonare la vostra scienza tecnocriminale la scienza della guerra contro la volontà di pace sono il Grande Sogno che Faremo, il sogno collettivo di più generazioni e dopo Genova Sogneremo più Forte Mauro Ferrari Piadena (CR) Cercando un partito perduto Ma dove sono finiti i Ds?! E dov’è la Cgil?!». Dov’eri finito, compagno, in mezzo al fumo delle barricate? Forse in banca (o in barca) pure tu? A Genova, quei tre giorni, li abbiamo passati anche con dei “compagni” di una specie tutta particolare e in via di esaurimento, quella diessina. Merce rara, a Genova, considerando che a farla da padrone, all’interno del movimento, nei cortei come sui media, erano ben altri: i cattolici, in tutte le loro anime, il movimento “antagonista”, morbidi o duri che fossero, tutta Rifondazione, tutti i Cobas. Persino quelli di Socialismo rivoluzionario, c’erano, e i comunisti del Pkk greco, i trotzkisti francesi, i pacifisti scandinavi. E, naturalmente, gli anarchici di ogni lingua e paese, buoni e cattivi, teste, cuori e tute nere. Militanti e leader dell’Autonomia, dei centri sociali, dei Cobas e Rifondazione, gliel’avevano giurata ai diessini: «Se vi fate vedere sono c. vostri». Il comportamento dei vertici dell’ex Bottegone aveva fatto saltare la mosca al naso a molti: «Ma come», sibilavano prima della tragedia di Genova i “radical” del movimento, «fate la guerra in Kosovo, trattate con Berlusconi, preparate il G8 voi, sposate la globalizzazione e poi volete scendere in piazza al nostro fianco?! Ma restate a casa vostra, che è meglio…». Eppure i diesse c’erano, a Genova, in numero cospicuo. Siamo partiti in treno con loro (anche se il treno era dei “cugini” di Rifondazione…), abbiamo mangiato e dormito con loro, con loro abbiamo parlato e discusso fino a notte. Avevano timore, quasi paura, alcuni, come Sergio Fiorini, giovane, ma già antifascista, animatore dell’Anpi giovani di Porta Venezia e dell’associazione culturale Punto a capo, uno che di cortei pure ne ha fatti tanti, ma che in quei giorni era scettico, quasi timoroso. «E se gli anarchici caricano? E se le tute bianche non tengono? E se poi se la prendono con noi?». Voleva un pass da giornalista e quei casinari del Gsf, che lo davano a tutti, il pass, lo hanno dato anche a lui, ma quanto ha visto lo ha stomacato, profondamente e fin dentro. Venerdì voleva andarsene a casa davvero, ma poi è rimasto e sabato era davanti a tutti, “a pié fermo”. Venerdì, infatti, è accaduto l’irreparabile: Carlo Giuliani moriva: era giovane, ma non era bello, a vederlo, lì, steso sul selciato, col sangue dappertutto. Soprattutto, non era un eroe. Ma la sua storia è quella di tanti giovani “di sinistra”: padre sindacalista, servizio civile, tanto volontariato, un po’ di esperienze sbagliate, droga compresa. Calcio, donne e amici. Nel corso della notte, i diesse che erano presenti a Genova e quelli che dovevano arrivare hanno vissuto, nel loro piccolo, un dramma nel dramma: il partito aveva fatto dietrofront, a Genova non si va più, “tutti a casa”. Contr’ordine, dunque, compagni? Beh, è stato nel corso di quella notte drammatica e spaventosa che abbiamo visto il meglio (e il peggio) di quel partito o di ciò che ne resta all’opera. Molti scappavano, anche comprensibilmente, compreso Giovanni Lolli, neodeputato che aveva detto: «A Genova ci vado con mio figlio». Un breve giro, un pezzo di corteo, schivando lacrimogeni e botte, e poi via, di nuovo a casaAvevano paura, non capivano e non riuscivano a prevedere cosa sarebbe successo l’indomani. Altri arrivavano, come l’esponente della sinistra interna Marco Fumagalli o come il leader dei Comunisti unitari, oggi nei Ds, Famiano Crucianelli. Altri ancora non sarebbero mai arrivati, come i deputati liguri, che pure l’avevano promesso, o come l’ex ministro Salvi, cui era stato chiesto con insistenza. Sarebbero potuti venire almeno a fare da argine, a controllare l’operato delle varie polizie, a salvare il salvabile. E invece niente, a casa anche loro. Ma in piazza qualcuno c’era. Tanto per fare dei nomi, il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, con la sua fascia tricolore, parecchi sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali di mezz’Italia, il segretario della Fiom (con al seguito mezza Fiom…) Claudio Sabbattini, i ragazzi – spaventati certo, ma non scappati – dell’Uds, dell’Udu, dell’Arci, della Sinistra giovanile. E c’era Ermete Realacci (con dietro mezza Legambiente), che sarà pure della Margherita, ma sempre il braccio destro di Rutelli rimane, e dunque anche qualcuno dell’Ulivo, o dei suoi paraggi, come il deputato verde (e non era certo il solo, tra i verdi presenti sabato), e “radical” Gianfranco Bettin, non solo militanti e dirigenti di Rifondazione e dei centri sociali. Soprattutto, c’erano centinaia di diessini “di base”, qualcuno persino con la sua brava bandiera, per lo più in incognito, ma vigili e generosi. Noi, che siamo “venuti via” con loro, ci teniamo a citare un giovane amico, Pierfrancesco Majorino, 28 anni, barbetta bionda, segretario milanese dei Ds. Pare che lo stiano mettendo sotto, ora, nel suo partito, per aver “trasgredito agli ordini”, ma era rasserenante vederlo fare vigilanza “non violenta” nei punti più delicati del corteo, sabato. Era in piazza, dice ora, dopo che finalmente il suo partito «s’è mosso», nei cortei di protesta del dopo Genova, «perché era giusto esserci. L’errore è stato non renderci visibili, non avere più coraggio, non marcare la nostra presenza, anche a costo di prenderci i fischi. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità: la nostra gente voleva esserci, a Genova, e si è visto nei cortei di protesta che abbiamo organizzato dopo, a Milano. Come partito però da Genova usciamo male, sotto tutti i punti di vista: prima abbiamo avuto mille tentennamenti, poi quella tiepida e contraddittoria adesione, infine l’ignominiosa fuga. Mi chiedi se il mio partito vuole davvero discutere di questi temi e di questo movimento? Non lo so. So che farlo o non farlo condizionerà il senso almeno di una militanza, la mia». Ettore Colombo


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