Cultura

Omaggio a Pasolini. Con Vita due appuntamenti

Venerdì 17 giugno e Lunedì 20 giugno

di Riccardo Bonacina

Venerdì 17 giugno alle 18 in Triennale (Vle Alemagna, Milano), “Pasolini e noi: un’ostinata vitalità”, presentazione del n. 49 di Communitas a cura di Aldo Bonomi e Marco Dotti. Ne discutono: Luca Doninelli, Pietro Barbetta, Alberto Ghidini, Francesco Paolella, Massimo Recalcati, Diego Fusaro e Giuseppe Frangi.

Lunedì 20 giugno alle 21,30 a Casa Testori (Largo Angelo Testori, 13 – Novate Milanese), “Serata Pasolini” con Sandro Lombardi.

«Non sono uno scienziato che fa delle ricerche: sono uno scrittore. Quello che io dico (…) lo scrivo perché lo vivo: e, vivendolo, non posso vivere che l’attualità nel suo momento più attuale». In queste parole di Pier Paolo Pasolini – pronunciate davanti a professori e studenti nell’aula magna del liceo classico “Palmieri” di Lecce, la mattina del 21 ottobre 1975, pochi giorni prima quindi della sua tragica morte – è racchiuso lo scandalo e il senso di un’esperienza della contraddizione che ancora affascina, interroga e, per molti versi, sconcerta ancora oggi a venticinque anni dalla sua morte. Comunque la si prenda, quella di Pasolini, è un’esperienza vissuta con passione. Passione, osserva Franco Cassano nel numero di Communitas che verrà presentato in Triennale il prossimo 17 giugno (Vle Alemagna, ore 18) nell’ambito delle Giornate del sociale, è una delle parole che più ricorrono, nell’opera in prosa, vita e versi dello “scrittore” bolognese. E se è pur vero che, come egli stesso ha puntualizzato, «non sempre la passione è grazia», è altrettanto vero che la grazia arriva sempre e soltanto dalla parte della passione. Passione, è il nostro essere immersi in una corrente più forte di noi, nelle altezze dove «vivere è tremare». Ma è sempre la passione, quella che ci spinge ai piani umili della realtà, sotto la sua pelle. Ascoltare, quando, come nei versi delle Ceneri di Gramsci, «solo l’amare, solo il conoscere conta», nient’altro.  Ma per amare, bisogna amare il mondo anche –  è Pasolini sempre in Bestia da stile – nel suo «volgar’ eloquio», quello che «sorge dal profondo dei meriggi, tra siepi asciutte, nei Mercati – nei Fori Boari – nelle Stazioni – tra Fienili e Chiese – Poi si Spegne – e col sospiro d’un universo erboso – si riaccenderà verso la fine dei crepuscoli».   Per questo, Pasolini invita a non «parlare la parola», ma a «parlare la cosa», come ricorda nel suo saggio Pietro Barcellona, accostandosi umilmente e affettivamente alla realtà. Perché Pasolini oggi, dunque, se non per questa, anzi per queste ragioni? Nel numero 49 di Communitas, il corpus apparentemente informe dei suoi ultimi scritti – quelli del periodo corsaro e luterano, sulla mutazione antropologica, sulle apocalissi culturali, sul nuovo regime di potere e dei media non è chiamato in questione «per essere citato come autorità». Perché Pier Paolo Pasolini, «non è uno scienziato che fa ricerche» ma – è lui stesso a dircelo in Transumar e organizzar – uno scrittore che sente come «nessuna società contenga il mondo»,  e, tantomeno contenga la vita. Ecco perché Pasolini è l’«anello di una catena storica che porta a fare nuovi ragionamenti oggi»,  sulle dinamiche del desiderio inscritte in quella «lingua scritta della realtà» che non ha smesso di interrogarci, di stupirci e, nonostante tutto e tutti, nemmeno di appassionarci. Come dimostrerà, con la sua lettura, Sandro Lombardi il 20 giugno a Casa Testori.


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