Famiglia

Lavabili o ‘usa e getta’ pari sono

L'ambiente dice no ad entrambi

di Redazione

Non avrà lo spessore di invenzioni che hanno cambiato il mondo e che magari hanno fruttato il Nobel a chi le ha messe a disposizione della comunità, ma si può affermare, senza timore di smentite, che il pannolino usa e getta ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per intere generazioni di famiglie. Una svolta che compie 50 anni, perché è nel 1961 che l’ingegnere chimico americano Victor Mills, fondatore della Pampers, lancia sul mercato il pannolino monouso, non senza averlo prima sperimentato sui suoi nipotini.

Un’intuizione niente male negli anni del boom economico e demografico, un business di sicuro avvenire che però mostrerà i primi risultati solo qualche tempo dopo, all’inizio degli anni Settanta, quando il prodotto viene perfezionato con l’introduzione del nastro adesivo al posto della classica spilla da balia e della forma ‘a clessidra’, che dà più garanzie sotto il profilo anatomico e della comodità per il pupo.

Il rivoluzionario pannolino sbarca in Italia nello stesso anno in cui fa la sua apparizione nelle case statunitensi, ma anche per la versione nostrana occorrerà attendere qualche anno prima di constatarne l’impiego ‘di massa’. Alla fine degli anni Settanta arrivano altre importanti novità, per la gioia delle mamme, dei papà e degli stessi bimbi, come il gel assorbente che ne riduce il volume di circa la metà o come gli adesivi sistemati in posizione frontale per rendere meno complesse le operazioni del cambio.

Piano piano il pannolino usa e getta diventa più ”tecnologico’ con le versioni ‘per maschietto’ e ‘per femminuccia’ e successivamente con quelle che si adattano alle diverse etù dei piccoli: ‘primi giorni’, ‘primi mesi’, ‘primi passi’. Un’evoluzione del mercato che conferma il successo di un’invenzione forse banale ma che ha cambiato in modo significativo una parte non secondaria della vita domestica nei primi due anni e mezzo di vita del bambino.

C’è però il rovescio della medaglia, rappresentato dall’impatto che il pannolino (usato) ha sull’ecosistema. Non è una cosa da poco, perché nei suoi primi due anni e mezzo-tre di vita un bambino cambia dai 4mila 500 ai 5mila pannolini (valutando mediamente 6 cambi al giorno fino al primo anno di vita, 5 cambi fino al secondo anno e 3 fino al terzo anno) che si trasformeranno in due tonnellate di rifiuti non riciclabili.

I pannolini usa e getta sono costituiti in gran parte di plastica, e per realizzarne uno soltanto servono circa 4 litri di acqua e 100 grammi di polpa di legno. Questo significa che, pur se inconsapevolmente, ogni bambino italiano, nei primi tre anni di vita, ‘brucia’ 20 alberi di grandi dimensioni.

Per cercare di arginare il fenomeno, in molti propongono il pannolino lavabile come la soluzione più ecologica. Tanto che molti Comuni mettono a disposizione degli incentivi. Ma anche questa soluzione nasconde qualche insidia per l’ambiente.

“Da un’indagine svolta dal ministero dell’Ambiente britannico risulta che nessuna delle due soluzioni è ambientalmente migliore” spiega Marcello Somma, direttore dello sviluppo sostenibile in Fater che aggiunge: “mentre con il monouso abbiamo un problema legato al fine vita del prodotto, con il lavabile il ‘costo ambientale’ riguarda l’energia e l’acqua impiegati durante il ciclo vita del prodotto”.

Il bilancio di Co2, dunque, “è praticamente identico”. L’indagine, infatti, evidenzia che l’utilizzo di pannolini ‘usa e getta’ per 2 anni e mezzo per un solo bambino corrisponde mediamente all’emissione di 550 kg di Co2. L’utilizzo di pannolini lavabili, lavati in condizioni standard, invece corrisponde mediamente all’emissione di 570 kg di Co2.

Quanto ai monouso, aggiunge Somma, “il problema sul fine vita del prodotto c’è e non può essere ignorato. Per questo, in quanto leader di mercato, ci siamo impegnati entro i prossimi 5 anni, a non mandare i nostri prodotti in discarica”.

Anche perchè, conclude Somma, “la vera sostenibilità vuol dire non scendere a compromessi. Non si può chiedere ai cittadini di tornare indietro di 50 anni. Servono, dunque, nuove soluzioni”.

Oppure, bisogna sperare che l’evoluzione della specie ci porti a bambini che imparino prima a farla come gli adulti: in bagno.


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