Cultura
La pasionaria di Nicolosi
Etna. Il lavoro dei volontari Si chiama Graziella Laudani. E' tra le fondatrici di un'associazine che difende il paese più esposto alla lava.
Come vuole che ci sentiamo? Ieri abbiamo dovuto leggere su un’agenzia straniera che la Protezione civile, per Nicolosi, ha già ordinato 1.400 bare. Si possono scrivere delle fesserie più grosse di queste?». Graziella Laudani non è il tipo che si fa impressionare, ma del caos e delle bufale che in questo periodo si accumulano intorno all’emergenza Etna davvero non ne può più.
Proprio lei, che è presidente regionale Fratres Sicilia – e in tempi normali si occupa di coordinare i 50 gruppi dell’associazione nella raccolta volontaria del sangue – in questi giorni non ha davvero tempo per le chiacchiere. Deve fare i turni di soccorso come volontaria delle Misericordie nei punti dove la colata è più preoccupante, come al rifugio Sapienza, dove il magma è a meno di 300 metri di distanza. «Facciamo turni di otto ore, con le ambulanze equipaggiate per questo tipo di emergenze» spiega Graziella, che nel team di soccorso diventa autista. «Ci sono persone che si sentono male per le ceneri e i gas diffusi nell’aria, ci sono gli operai che lavorano incessantemente sul fronte lavico con le ruspe e hanno spesso bisogno di medicazioni. E poi, c’è chi ha solo bisogno di un aiuto morale». Ed è per questo, per il sostegno morale della popolazione e la necessità di dar voce alla sua secolare esperienza col vulcano, che Graziella non si è fermata. Con un gruppo di amici (tra cui i sacerdoti di Nicolosi, don Carmelo Cavallaro e don Bartolomeo Ruggeri, il responsabile locale dell’Unitalsi, Biagio La Rosa, e alcune guide dell’Etna) il 21 luglio ha fondato un Comitato cittadino temporaneo, “Nicolosi dove sei?”, per denunciare la “disinformazione da parte degli organi scientifici competenti e il loro lento interesse sui piani d’intervento da effettuare per ottenere un rallentamento del fronte lavico”, come si legge nel battagliero documento fondativo. «Nicolosi dove sei? è la frase che i nostri antenati urlarono mentre lasciavano le loro case, durante l’eruzione del 1886, e guardavano il paese che stava per essere inghiottito dalla lava» racconta Graziella. «E poi, abbiamo aggiunto un’altra domanda, “Cosa fai?”, perché il paese vuole partecipare, vuole essere messo al corrente delle decisioni della Protezione civile».
Le seimila anime di Nicolosi nei primi giorni dell’emergenza si sono sentite parecchio escluse, «quasi ospiti in casa nostra», dice Graziella, che racconta dei suggerimenti delle guide respinti dai vulcanologi (tra cui molti stranieri, come il giapponese Naoyuki Fujii), di riunioni della Protezione civile a porte chiuse, e del divieto d’accesso nelle zone d’operazioni agli operatori locali. Il Comitato ha richiesto che gli organi preposti alla salvaguardia del territorio non intralciassero gli interventi per il rallentamento della lava (molti ambientalisti si erano opposti alla rimozione di materiali dal parco dell’Etna, anche se destinati a rinforzare gli argini). Oltre a questo, ha esortato le autorità a trovare un maggiore accordo e ha chiesto che venga data voce alle guide dell’Etna: i migliori conoscitori del territorio. «Sembra che siamo stati ascoltati» dice Graziella , «almeno ora partecipiamo alle riunioni della Protezione civile e dire la nostra. Il fronte lavico è a quattro chilometri dal paese, ma non abbiamo paura. Sappiamo che la lava ci darà il tempo di lasciare le nostre case e di salvarci la vita. Questa è solo l’eventualità più catastrofica: non bisogna drammatizzare, ma darsi da fare nell’emergenza e aiutare chi è in difficoltà. Per questo speriamo anche di poter sciogliere al più presto il Comitato, e riprendere la nostra vita da dove eravamo rimasti».
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