Non profit
Fini sui giovani: «necessario cambiare rotta»
Apre oggi a Caltanissetta l'Agora 2011 dei giovani delle Acli, il tradizionale appuntamento formativo del movimento giovanile aclista.
di Acli
Apre questa mattina a Caltanissetta l’Agora 2011 dei giovani delle Acli, il tradizionale appuntamento formativo del movimento giovanile aclista. Per l’occasione i Giovani delle Acli anticipano il contenuto del messaggio inviato dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Il segretario nazionale dei Giovani delle Acli, Giuseppe Failla, ha commentato il messaggio del presidente della Camera: «La situazione è drammatica e frustrante. E’ impossibile scegliere il nostro futuro, perché il Paese è bloccato: nella mobilità sociale, nella crescita economica, nel ricambio generazionale. Un Paese che non offre opportunità, che non suscita speranze per il futuro, che non ha un progetto per il domani. Mentre continua la diaspora all’estero delle nostre menti più brillanti, aumenta lo sconforto di chi decide di rimanere in Italia e deve fare i conti con i tagli all’istruzione e alla formazione, i tagli alle politiche giovanili e un precariato in costante aumento soprattutto al Sud. I giovani sono costretti a ricorrere alle proprie famiglie d’origine per fronteggiare le difficoltà economiche, per accedere al credito o semplicemente per costruirsi una famiglia. Facciamo appello al Presidente Fini, affinché il Parlamento possa tornare a dedicarsi alle reali esigenze del Paese e in particolar modo dei giovani. Sarebbe forse necessario, per questo, un Parlamento più giovane e più rappresentativo».
Ecco il messaggio del Presidente della Camera:
«Ogni volta che una generazione si affaccia alla terrazza della vita pare che la sinfonia del mondo debba attaccare un tempo nuovo. Sogni, speranze, piani di attacco, estasi delle scoperte, scalate, sfide, superbie – e un giornale». Credo che per rappresentare la forza e l’entusiasmo della gioventù non esista miglior sintesi che quella fatta da un grande intellettuale del secolo scorso, Giovanni Papini.
Non deve sorprendere se l’entusiasmo delle nuove generazioni di cento anni fa è identico a quello di oggi: sono cambiate le modalità di espressione- ieri un giornale, oggi i social network e i blog – sono mutati i contesti storici, ma identica è quella febbrile ricerca di spazi e di opportunità per la conquista del futuro; identico quel desiderio di imporre al mondo i propri tempi e le proprie scelte. Non a caso il tema portante della pubblicazione (on line, appunto) è «Make your choice» che potrebbe essere tradotto con l’esortazione “fa’ la tua scelta”. Il che presuppone un contesto che dia la possibilità di formulare delle scelte.
Questo contesto non è quello italiano, purtroppo.
Indagini, ricerche, analisi confermano quello che i giovani già sanno perché lo subiscono quotidianamente nella loro vita: l’Italia non è un Paese che consente alle nuove generazioni di decidere. A fattori critici interni ed endemici tipicamente italiani- come l’annoso divario tra il Nord e il Sud d’Italia, il pluridecennale debito pubblico e il peso eccessivo del fisco sul lavoro e sulle imprese- si sono sommati fattori esterni come la crisi finanziaria globale e l’aggressività produttiva dei Paesi asiatici emergenti come l’India e la Cina.
La somma di questi elementi ha di fatto reso ancora più difficile il quadro economico italiano, imposto scelte di grande rigore e di tagli alla spesa, talvolta colpendo settori strategici dello sviluppo come gli investimenti nella cultura, nella formazione e nell’innovazione.
Secondo il rapporto Istat 2011 ‘Noi Italia’, la spesa statale per l’istruzione e la formazione rappresenta il 4,6 per cento del Pil, una quota inferiore alla media Ue (5,2 per cento); per la ricerca e sviluppo l’Italia spende invece l’1,3 per cento del Pil, mentre la media Ue è del 1,90. Un dato ancora più indicativo è la spesa delle aziende in ricerca e sviluppo, che non arriva neppure alla metà di quella affrontata dallo Stato. In generale, su questo fronte il Vecchio Continente resta indietro rispetto agli Stati Uniti (2,76 per cento) e al Giappone (3,44 per cento). Questi ambiti, che non rappresentano una spesa ma un investimento, toccano in maniera vitale le nuove generazioni creando una drammatica serie di conseguenze: stretta sulle nuove assunzioni, difficoltà a trovare lavoro, mancanza di collegamento tra università e mercato del lavoro.
Per i giovani precari la speranza di trovare un posto stabile si scontra con le trasformazioni del lavoro a livello globale anche per effetto della concorrenza di Paesi caratterizzati dal basso costo del lavoro verso i quali le aziende occidentali decidono di trasferire la produzione di beni e la fornitura di servizi. A questo riguardo basti pensare che in Gran Bretagna si sta sperimentando un servizio di prenotazione sanitaria tramite call center localizzato in India: un paziente di Liverpool che prenderà appuntamento con il proprio medico di base chiamerà New Delhi…
A fronte di questa situazione, è di tutta evidenza che quello giovanile è un mondo che non sta semplicemente affrontando la ‘classica’ crisi generazionale- quella cioè che ha sempre contraddistinto il rapporto tra ragazzi e società adulta con i suoi rituali di contestazione e di ribellione – ma si sta confrontando con una difficile e inedita transizione storica che può determinare, se non adeguatamente affrontata, gravi conseguenze per il futuro del Paese.
Alla crisi dell’occupazione, che coinvolge i giovani appena terminata la scuola o l’università, si aggiunge la crisi del sistema previdenziale, generando un quadro preoccupante di assenza di opportunità e diminuzione di diritti. I giovani privati del lavoro e sempre più lontani dal luogo delle decisioni, perdono il controllo del loro futuro. Per la prima volta in questo ultimo settantennio, essi avranno con molta probabilità un futuro peggiore di quello dei loro genitori.
Non è un caso che si sia affacciata nell’indagine sociologica e statistica europea la generazione ‘Neet’ (Not in Education, Employment or Training) giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. Cito sempre dal rapporto Istat ‘Noi Italia’: «Per molti di loro un prolungato allontanamento dal mercato del lavoro o dal sistema formativo può comportare il rischio di una difficoltà di reinserimento. Nel 2009, in Italia poco più di due milioni di giovani (il 21,2 per cento della popolazione tra i 15 ed i 29 anni) risulta fuori dal circuito formativo o lavorativo. La quota di Neet è più elevata tra le donne, 24,4 per cento rispetto al 18,2 per cento degli uomini (…). Nella graduatoria Ue19 l’Italia risulta il Paese in cui il fenomeno è più accentuato».
È necessario cambiare radicalmente rotta.
Guardando a quanto accade non solo negli Stati Uniti, Paese della rivoluzione informatica, ma anche nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente -la cosiddetta ‘Primavera Araba, con le rivoluzione pacifiche, fenomeno alimentato da giovani uomini e donne attraverso internet – mi convinco che la tecnologia sia davvero la parola d’ordine per riconnettere le nuove generazioni al loro futuro e non solo.
L’innovazione tecnologica oggi è un settore che vede i giovani due volte protagonisti sia in quanto ideatori di nuove invenzioni, prodotti e applicazioni, sia in quanto consumatori consapevoli. L’inventore di Facebook, Mark Elliott Zuckerberg, aveva poco più di venti anni quando ideò il social network.
In Italia il rapporto tra giovani e innovazione vive il paradosso di doversi confrontare con una doppia debolezza: quella del tessuto produttivo nazionale, rappresentato al 90 per cento da piccole e medie spesso sprovviste di mezzi finanziari sufficienti da investire nell’innovazione, e quella della scarsezza dei fondi statali. Nonostante questo, sono tanti i centri di eccellenza delle nostre Università che riescono a trasformare le potenzialità degli studenti in progetti di ricerca e prodotti innovativi.
Tale situazione e le sopra descritte difficoltà del mercato del lavoro fanno poi sì che l’Italia ‘regali’ al mondo decine di migliaia di intelligenze che trovano all’estero finanziamenti per progetti innovativi e opportunità professionali adeguate al loro livello di preparazione. Penso a quel caso sorprendente raccontato da un grande quotidiano nazionale qualche mese fa in cui si parlava di tre giovani che, rifiutati in Italia, hanno fatto fortuna nella Silicon Valley. Le aziende italiane alle loro richieste di finanziamento rispondevano: “Avete solo 19 anni”. Quello che doveva essere un punto a favore, era l’ostacolo.
È imperativo fermare la fuga dei cervelli: per un giovane scegliere un lavoro fuori dall’Italia significa investire in un progetto di vita che lo porterà alla costruzione anche di una famiglia all’estero, all’acquisto di una casa all’estero, al radicamento della propria esistenza al di fuori dell’Italia e allo sradicamento dal proprio paese di origine. Un giovane italiano costretto a lasciare la sua terra è un patrimonio per il Paese che lo ospita, ma una perdita per il sistema Italia che non riesce a trattenere le sue migliori intelligenze attraverso il raccordo tra università e mondo del lavoro, tra innovazione e impresa.
Eppure, l’Italia è il Paese per antonomasia dell’eccellenza e della alta qualità. E per tale motivo dovrebbe far tesoro del proprio capitale umano attraverso l’adeguato finanziamento alla cultura, alla ricerca, all’innovazione potenziando le strutture attualmente esistenti e creandone di nuove, specie nel Mezzogiorno d’Italia, per favorire la crescita locale attraverso lo sviluppo di nuove imprese costruite da giovani.
Bisogna dunque cambiare mentalità: le Istituzioni, le imprese e il mondo bancario devono credere di più nei nostri giovani. La politica, in particolare, deve aumentare i suoi sforzi per garantire pari opportunità tra uomini e donne, tra italiani del Nord e del Sud d’Italia, tra chi ha ‘santi’ in paradiso e chi non ce li ha; deve impegnarsi affinché prevalga il merito nella selezione rispetto alla ‘segnalazione’ e alla ‘raccomandazione’; deve favorire la mobilità lavorativa ma soprattutto la mobilità sociale verticale, quella che consente al figlio di un operaio di diventare professore universitario o notaio, un creativo o un giornalista affermato.
Sono convinto della necessità di proseguire e di intensificare il dialogo tra e con i giovani affinché si mettano in rete sempre più informazioni, competenze, esperienze, culture e capacità. Per questo ritengo estremamente importante l’opera svolta dall’associazionismo culturale in generale e dalle Acli in particolare. Come nella esperienza delle Acli, e l’esempio dell’associazione Giovani Acli di Modena lo testimonia, il principio della solidarietà favorisce la trasmissione del sapere, condizione indispensabile per essere pienamente cittadini nella società contemporanea. A ben vedere, questo è il criterio che consente di scegliere, anzi di fare la propria scelta: “Make your choice”. Appunto».
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