Cultura

Sos per l’occupazione femminile

Disparità salariali, aumento del part time involontario, licenziamenti per gravidanza. Lo dice il rapporto 2011

di Redazione

È un quadro sconfortante quello tracciato dal rapporto annuale dell’Istat “La situazione del Paese nel 2010” per quanto riguarda l’occupazione femminile. Non solo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, confrontata con il resto dell’Europa, continua a essere “molto più bassa”, visto che nel 2010 il tasso di occupazione femminile si è attestato al 46,1 per cento (12 punti percentuali in meno di quello medio europeo), ma vengono anche evidenziati molti aspetti preoccupanti. Peggiora infatti la qualità del lavoro,  rimane la disparità salariale rispetto ai colleghi uomini (-20%) e inoltre cresce il part time involontario e aumentano anche i licenziamenti per gravidanza.

L’occupazione qualificata, tecnica e operaia è scesa di 170 mila unità, mentre è aumentata soprattutto quella non qualificata (+108 mila unità). Si tratta soprattutto di «italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere». Un secondo fattore di peggioramento è dato dalla crescita del part time (+104 mila unità rispetto a un anno prima), «quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali» (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione con i tempi di vita. resiste inoltre tra le donne una maggiore diffusione del lavoro temporaneo: 14,3 per cento contro il 9,3 per cento degli uomini.

Un ulteriore aspetto della qualità del lavoro concerne la disparità salariale, che rimane notevole nel 2010. Infatti, la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1.077 euro contro i 1.377 euro dei colleghi uomini, in termini relativi circa il 20 per cento in meno. Il divario si dimezza considerando i soli impieghi a tempo pieno (rispettivamente, 1.257 e 1.411 euro). Un altro indicatore del «peggioramento della qualità del lavoro femminile riguarda la crescita delle donne sovraistruite, ovvero quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta». Fra le laureate, il fenomeno della sovraistruzione interessa il 40 per cento delle occupate (31 per cento tra gli uomini) e abbraccia tutto il ciclo della vita lavorativa.

Infine c’è l’allarme  che viene dalla percentuale di donne “licenziate” per gravidanza: ben 800 mila, con l’arrivo di un figlio, sono state costrette a lasciare il lavoro, perché licenziate o messe nelle condizioni di doversi dimettere. Si tratta dell’8,7% delle madri che lavorano o hanno  lavorato in passato e che sono state costrette dalle aziende a lasciare il lavoro, magari firmando al momento dell’assunzione delle  “dimissioni in bianco”. A subire più spesso questo trattamento, si legge nel rapporto, non sono le donne delle generazioni più anziane ma le più giovani, 6,8% contro 13,1%, le residenti nel Mezzogiorno (10,5%) e le donne con titoli di studio basso (10,4%). Una volta lasciato il lavoro solo il 40,7% ha poi ripreso l’attività, con forti differenze nel Paese: su 100 donne licenziate o indotte a dimettersi, riprendono a lavorare 15 al nord e 23 al sud.

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