Economia

Italia: 21ma nel mondo per maternità sicura

Pubblicato lo «Stato delle madri nel mondo» di Save the Children

di Redazione

Si stimano in 48 milioni le donne che ogni anno partoriscono senza alcuna assistenza professionale e magari senza aver ricevuto alcun controllo durante il puerperio. A dare il dato è il rapporto di Save the children sullo “Stato delle Madri nel Mondo”.

Secondo i dati raccolti dalla ong, 2 milioni di donne mettono al mondo il proprio bambino completamente da sole, sia per l’assenza o la non accessibilità delle strutture sanitarie, sia anche a causa del divieto – dettato da ragioni culturali e religiose – di chiedere aiuto a persone esterne o di uscire di casa per recarsi in strutture sanitarie. Le percentuali più alte di parti “solitari” si registrano in Nigeria, dove 1 donna su 5 partorisce da sola.

A fronte di ciò sono 358.000 ogni anno nel mondo le donne che perdono la vita in conseguenza della gravidanza o del parto (per emorragie per esempio) e circa 800.000 i bambini che muoiono alla nascita (per esempio per difficoltà respiratorie, asfissia o  sepsi). Ad essi si aggiungono  coloro che perdono la vita entro il primo mese, per un totale di oltre 3 milioni di morti nel breve arco di tempo che va dalla nascita al trentesimo giorno. Nella gran parte, sia per le madri che per i neonati, si tratta di morti per complicazioni e patologie prevenibili e curabili.

In totale sono 8.1 milioni ogni anno le morti infantili, cioè che sopraggiungono entro il quinto anno di vita: a causare la morte di chi è riuscito a sopravvivere alla nascita e ai primi mesi, sono nella maggior parte dei casi malattie come polmonite, diarrea, malaria, evitabili e curabili.  

«Save the Children ha calcolato che se tutti i parti avvenissero in presenza di ostetriche o di personale sanitario con competenze analoghe, ogni anno si potrebbe salvare la vita di 1.3 milioni di neonati e di decine di migliaia di donne. Così come altri milioni di morti infantili dovute a malattie ormai debellate nei paesi industrializzati, potrebbero essere evitate con semplici ed economiche misure, dall’allattamento esclusivo al seno, ai vaccini, all’utilizzo tempestivo di un antibiotico o sali reidratanti. E’ inaccettabile che nel XXI secolo un bambino possa morire ancora per una diarrea o una polmonite » afferma Valerio Neri, direttore di Save the children Italia.

Ma così è tuttora per esempio in Afganistan, Niger, Guinea Bissau, Yemen, Chad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Mali, Sudan, Repubblica Centro Africana: i 10 paesi dove i livelli di salute materno-infantile e le condizioni di madri e bambini sono i peggiori al mondo, secondo l’Indice delle Madri contenuto nel 12esimo Rapporto sullo Stato delle Madri del Mondo di Save the Children. Una graduatoria del benessere materno-infantile nei 164 paesi presi in esame nel rapporto, stilata sulla base di vari parametri: dagli indici di mortalità infantile e materna, all’accesso delle donne alla contraccezione, dal livello di istruzione femminile e di partecipazione delle donne alla vita politica, ai tassi di iscrizione dei bambini a scuola .

All’estremo opposto della classifica – al top – i 10 paesi dove il benessere di madri e bambini è massimo: Norvegia, Australia, Islanda, Svezia, Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Belgio, Paesi Bassi, Francia.

La distanza fra la prima della lista – la Norvegia – e l’ultimo paese in graduatoria, l’Afganistan, è abissale: in Norvegia ogni parto avviene in presenza di personale qualificato mentre in Afganistan questo accade solo nel 16% dei parti. Una donna norvegese in media studia per 18 anni e vive fino a 83. L’83% delle donne  norvegesi fa uso di contraccettivi e 1 su 175 perderà il proprio bambino prima che compia 5 anni. All’estremo opposto, una donna afgana studia per meno di 5 anni e vive mediamente fino a 45. Meno del 16% di donne ricorre alla contraccezione, 1 bambino ogni 5 muore prima di arrivare al quinto anno di età il che significa che ogni donna, in Afganistan, va incontro alla perdita di un figlio nell’arco della sua vita.

Prendendo in esame altri paesi in fondo alla classifica, i confronti non sono meno drammatici: 1 donna ogni 14 in Chad e Somalia rischia di morire durante la gravidanza o il parto. In Italia il rischio di mortalità materna è inferiore a 1 donna ogni 15.000.

In Qatar, Arabia Saudita e Isole Solomon non c’è nessuna donna in parlamento, mentre in Svezia quasi la metà dei posti in parlamento è occupata da donne.

Venendo alla condizione dei bambini: in Somalia 2 su 3 non sono iscritti alla scuola primaria. In Italia, Francia, Spagna e Svezia la maggioranza dei bambini frequenta tutti gli ordini scolastici a partire dalla scuola materna. 1 bambino su 5 non arriva a compiere il suo quinto compleanno in Afganistan, Chad e Repubblica Democratica del Congo. In Finlandia, Grecia, Islanda, Giappone, Lussemburgo, Norvegia, Singapore, Slovenia e Svezia, solo 1 bambino ogni 333 muore prima dei 5 anni.

«Nel 2000 il mondo si è impegnato a raggiungere il IV e V Obiettivo di Sviluppo del Millennio entro il 2015 e debellare la mortalità materno-infantile», spiega ancora Neri. «Gli attuali trend indicano che almeno per alcuni paesi questo obiettivo appare molto lontano. Tuttavia noi sappiamo che la sfida si può vincere, quindi non ci sono scuse o alibi alla non azione».

«Bisogna agire a più livelli: è necessario che i sistemi sanitari nazionali dei paesi in via di sviluppo si dotino di più operatori sanitari, inclusi i volontari comunitari per la salute che svolgono un compito fondamentale soprattutto nelle aree più remote e rurali» afferma il direttore di STC Italia. «Si stima che siano necessari altri 3.5 milioni di operatori sanitari per raggiungere gli obiettivi  4 e 5.  È poi necessario che gli stati donatori, compresa l’Italia, non solo continuino ad assicurare i finanziamenti promessi a sostegno della salute materno-infantile ma incrementino il volume degli aiuti. Diversamente questa battaglia non potrà essere vinta entro il 2015. È infine necessario che i cittadini e le opinioni pubbliche continuino a vigilare sui propri governi affinché mantengano le promesse».


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