Mondo
Il (nuovo) mondo senza Bin Laden
Editoriali, interviste, analisi, scenari: i giornali si scatenano
Osama Bin Laden è morto. Notizia planetaria, inattesa, come il blitz delle forze speciali Usa in Pakistan. Due colpi in testa, forse sparati dalla guardia del corpo, dopo un tentativo di resistenza. Quasi dieci anni dopo l’attentato alle Torri Gemelle Obama può dare al mondo l’annuncio in tv. Gli americani esultano, ora cresce la paura di una vendetta di Al Qaeda, ma prevale la soddisfazione per la fine di un incubo. Giusto monito della Chiesa: non si deve esultare per una uccisione. I giornali in edicola oggi sono perfino ridondanti di pagine e di servizi.
“Gli ultimi 40 minuti di Bin Laden” è il titolo scelto dal CORRIERE DELLA SERA per lanciare un blocco di venti pagine dedicate alla notizia, quasi una prova di forza del giornale di via Solferino. Impossibile darne conto in maniera completa, difficile e molto arduo leggerle tutte, anche per chi oggi non ha assolutamente nulla da fare. Il classico numero da conservare e consultare anche a distanza di tempo. Bella la foto sopra il titolo: mentre scorre la notizia della morte di Bin Laden esultano, schierati, i vigili del fuoco di New York, gli eroi dell’11 settembre 2001. L’editoriale in prima è affidato all’ex ambasciatore Sergio Romano: “Sollievo e speranza”. Ci piace l’ultimo concetto: “In ultima analisi il fatto più positivo, nella lotta contro il terrorismo islamista, non è la morte di Bin Laden, ma l’apparizione nelle piazze arabe di un popolo nuovo, composto da giovani che non sembrano affidare all’Islam la soluzione di tutti i problemi e, pur essendo buoni musulmani, considerano il voto, nelle questioni terrene, più efficace del Corano. Sono loro i migliori nemici di Al Qaeda”. La cronaca, in mancanza di immagini, è affidata ai disegnatori, quasi un fumettone alle pagine 2 e 3 per raccontare l’operazione militare, in base almeno a una ricostruzione assai complessa e che si è arricchita di particolari e di non poche contraddizioni durante la lunga giornata di ieri. “Sepolto in mare da una portaerei americana” è il titolone di pagina 4. Altra scelta su cui si discuterà a lungo. Pagina 5: le foto, compreso il clamoroso falso che è circolato per ore ieri nei siti web (non in quelli americani). Scrive Michele Farina: “Per tutta la giornata intorno al ritratto di Osama defunto e ancora sulla terra ferma si sono alternate voci discordanti. «Il volto è irriconoscibile» dicevano fonti anonime alla Cnn. Contrordine: «Se le foto usciranno in pubblico non avrete dubbi— assicuravano funzionari del Pentagono alla stessa tv— vedrete la faccia e vedrete che è proprio Osama Bin Laden» . Riconoscibile o no? E perché non sono uscite? «Semplice, perché sono raccapriccianti — ha sostenuto l’anchorman Jake Tapper sulla Abc — La faccia ha una profonda ferita sopra l’occhio sinistro, dove è entrato il proiettile, e si vedono sangue e cervello» . Evitare di aizzare l’ira dei simpatizzanti, esibendo il cadavere deturpato del terrorista-asceta. Così per ore e ore, mentre tutto il mondo (persino il calciatore Giuseppe Rossi su Twitter) commentava la notizia («Dovevamo aspettare tanto?» ), dell’Osama morto è circolata una sola foto. Falsa. Un fotomontaggio per di più riciclato, datato 2006, curiosamente lo stesso anno in cui gli 007 sauditi davano il capo di Al Qaeda ucciso dal tifo. Lanciato in mattinata da una tv pachistana, ripreso da siti e media internazionali, il falso Osama con il volto sfigurato ha presto lasciato il posto alle vecchie pulite immagini di repertorio. In attesa dello scatto ufficiale, «la prova» horror per il volgo: eccolo, è lui”. Interessante, a pagina 11, l’intervista allo scrittore newyorkese McInerney. Un passaggio: “«Prima di entrare in un grattacielo di New York, oggi sei costretto a mostrare i documenti. Se vedi un aereo che vola basso o senti un’esplosione, hai subito un riflesso pavloviano di timore. Ma la natura umana non è cambiata ed è stato sciocco presupporre che Bin Laden ci sarebbe riuscito» . Che cosa intende dire? «Che alla fine il leggendario carattere dei newyorchesi è identico a prima e ciò è un bene. Bin Laden non ha distrutto la fibra morale della città né ci ha traumatizzati per sempre e in questo senso ha fallito. New York e l’America sono tornate alla normalità e tutto ciò che lui odiava di più esiste ancora» . Ad esempio? «Restiamo una società relativamente aperta e una democrazia. Ma anche i nostri difetti sono immutati. Mi rattrista ripensare ai giorni subito dopo l’attacco, quando l’intera nazione si ricongiunse come una grande e affiatata famiglia e per un attimo ci siamo illusi che Bin Laden ci aveva resi migliori, più nobili e buoni»” . A pagina 13: “Il Vaticano: la morte non può mai rallegrare”. E in basso l’intervista di Armando Torno al filosofo Emanuele Severino: “«È comprensibile che gli americani e soprattutto i newyorkesi festeggino la morte di Osama Bin Laden. Ma è anche vero che questo comportamento è un retaggio dell’uomo primitivo. Al centro della festa arcaica, infatti, c’è il sacrificio, l’uccisione della vittima sacrificale ed espiatoria, che a volte è un essere umano, ritenuto colpevole, responsabile dei mali del gruppo sociale. In questo senso sono d’accordo con la dichiarazione della Chiesa che “di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai”» . Dopo una breve pausa, Severino prosegue: «Ma non sono d’accordo con René Girard, per il quale il cristianesimo sarebbe estraneo alla logica sacrificale. Perché è vero che Gesù, a differenza delle altre vittime, è considerato, nel cristianesimo, innocente; ma è anche vero che, per il cristianesimo, Gesù ha preso su di sé tutti i peccati del mondo e quindi è diventato il sommamente colpevole, che viene sacrificato, dalla giustizia divina, proprio in quanto colpevole e non in quanto innocente. Nella Seconda Lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo dice: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”(5,21). E la cristianità festeggia la morte di Gesù, ovviamente lontano in modo abissale dalle vittime per se stesse colpevoli. Siamo in piena logica sacrificale»”. Per non farsi mancare proprio niente seguono pagine speciali dedicate alla ricostruzione storica degli attentati di Al Qaeda e due pagine affiancate con ben cinque quesiti da far tremare le vene, sotto il filo conduttore del domandone: “La battaglia ora è vinta?”.
Ovviamente anche LA REPUBBLICA apre con “Bin Laden, l’incubo è finito”, apertura corredata da 15 pagine interne. Si comincia dai servizi in cui si riferisce com’è andato il blitz (ma le notizie sono confuse: stamattina Il Pentagono ha smentito che la moglie di Osama sia stata usata come scudo umano e sia morta, sarebbe solo ferita) per dare poi ampio spazio ad analisi e commenti. In prima c’è anche l’editoriale del direttore, Ezio Mauro. “Il simbolo abbattuto”. Si «spezza il mito» secondo il quale Al Qaeda poteva colpire dove e quando le paresse. «La vittoria di Obama è la miglior risposta a chi – come Trump – gli chiedeva il certificato di nascita sospettandolo di intelligenza con l’islamismo radicale». Ora c’è da aspettarsi una reazione di Al Qaeda, ma «la morte di Bin Laden cade in una primavera araba che cambia radicalmente il quadro rispetto a dieci anni fa». Una notazione importante che viene ripresa da Gilles Kepel: “La fine politica degli estremisti già segnata dalle rivoluzioni”. «Il terrorismo resta presente, ma la sua capacità di mobilitare le masse musulmane è più debole che mai». Senza contare che «despoti arabi avevano ottenuto una sospensiva di dieci anni giovando sullo spauracchio: Ben Ali baluardo contro Bin Laden». Quanto a Obama, «oltre al recupero di popolarità», ha ormai l’asso nella manica per il dossier che può «contribuire a sbloccare la situazione in Medio Oriente: il rilancio del processo di pace e il riconoscimento dello Stato palestinese durante l’Assemblea generale dell’Onu in settembre». Infine un altro commento interessante è quello di Vittorio Zucconi: “Il coraggio del presidente”. Riprende l’accusa di «essere un americano finto» avanzata nei confronti di Obama e sottolinea la sua determinazione. «Eppure Obama non si è tolta l’acre soddisfazione di rinfacciare a nessuno un successo storico… Non ha vantato la prova di decisionismo, di leadership anche militare, quella che era mancata tanto ai suoi predecessori… Non lo ha fatto perché sarebbe stato poco americano, addirittura anti americano, cedere alla tentazione di scaricare sugli altri gli insuccessi per vantarsi soltanto dei successi, come fanno governi e politici con meno senso della nazione e della comunità nazionale». Tant’è che G.W.Bush è stato il primo a essere informato da Obama.
IL GIORNALE apre con il titolo a tutta pagina “Festeggiamo anche noi” che sovrasta una grande foto di una bandiera americana che garrisce al vento. L’editoriale è a cura di Alessandro Sallusti che sottolinea «scommetto che già oggi i soliti intellettuali e giornalisti inizieranno a seminare dubbi sul blitz americano in Pakistan. Come facevano a sapere che Bin Laden era in quel covo? Chi l’ha ucciso? Dove è il suo corpo? E via dicendo. A tutte queste domande c’è soltanto una risposta: e chi se ne frega. È andata come andata, la cosa che conta è soltanto il risultato». A seguire una serie di commenti. Magdi Cristiano Allam firma “Ora sarà più facile battere il fanatismo dei tagliagole”, per Mario Giordano “In sette giorni la rivincita dell’Occidente”, Fiamma Nirenstein invece scrive “la gioia del mondo è un omaggio alla democrazia”. A chiudere Giuseppe De Bellis “Per l’America è finalmente il 12 settembre” e Vittorio Macioce “Niente processi la morte in guerra meglio della forca”. In controtendenza il Cucù di Marcello Veneziani “Era uno zombie. Il rischio è che diventi un simbolo”. «Ma non c’è il rischio di aver ucciso un uomo morto e di aver fatto nascere sul suo cadavere un simbolo vivente per i fanatici dell’islam? Osama Bin Laden viveva da zombie ormai da diversi anni, era un brutto ricordo per l’Occidente e un leader fuori stagione per l’islam. Ucciderlo all’indomani delle Torri Gemelle ci avrebbe magari risparmiato qualche guerra di ritorsione e avrebbe avuto il plauso universale. Ucciderlo dieci anni dopo può rivelarsi invece strategicamente controproducente perché risveglia o riacutizza la bestia antioccidentale che cova nel mondo islamico. Certo, è stata un’esecuzione simbolica per riaffermare la potenza americana e la giustizia occidentale; un monito per tutti. Ma nell’islam rischia di tradursi in un simbolo di incitazione, un mito e un eroe da vendicare e rivendicare». Una posizione, quella di Veneziani, che va a braccetto con quella di Oriana Fallaci. A pagina 10 infatti viene proposto un passo di “La rabbia e l’orgoglio”. Dice tutto il titolo che recita: “Migliaia di Osama vivono tra noi. Ucciderlo non ci salverà dall’islam”.
“Morto che parla” è il titolo scelto dal MANIFESTO per dare la notizia della morte di Bin Laden e l’immagine in prima pagina è quella delle maschere di plastica del leader talebano al carnevale di Rio. Quattro le pagine interne dedicate alla notizia, oltre alla vignetta di Vauro e all’editoriale di Marco d’Eramo dal titolo “Voltare pagina”. «Speriamo. Speriamo che la festa dell’altra notte a New York e in tante altre città americane celebrasse la fine di una guerra e non una vittoria sportiva (Obama 1 Osama 0). Speriamo che quei ragazzi salutassero l’emancipazione dal terrore, (…). Speriamo che la loro festa esprima il desiderio di voltare pagina rispetto al maccartismo strisciante, al golpe quotidiano, alle grandi e piccole Guantánamo; coi soldatini di piombo i loro nonni giocavano a indiani e cowboy: loro ai videogames hanno giocato a marines contro bin Laden (…)». E ancora, nell’elenco delle speranze si trova: «(…) Speriamo soprattutto che le nostre speranze non siano ingenue e non si rivelino illusioni. Già i dietrologi di tutto il mondo frugano indefessi sotto le notizie. Per la foto taroccata diffusa nelle prime ore, per l’inesplicabile assenza di un operatore al seguito nell’azione ad Abottabad (…) Per l’asimmetria tra la grandiosa scenografia dello schiantarsi delle Torri gemelle e invece l’epilogo furtivo, spoglio di immagini, a rendere bin Laden elusivo da morto quanto lo fu in vita. Ai bravissimi sceneggiatori della politica Usa verrebbe da chiedere perché per il finale abbiano scelto una sequenza così immateriale. (…)». Sempre in prima pagina inizia l’articolo di Katrina vanden Heuvel, direttrice di The Nation dal titolo “Basta «guerra» al terrorismo” che prosegue poi a pagina 3. Si legge con riferimento al discorso di Obama «(…) Il suo appello rivolto agli americani perché ricordino ciò che ci unisce, che “giustizia è stata fatta”, è un’importante apertura che va presa al volo. È ora di mettere fine alla “guerra globale contro il terrorismo” con cui abbiamo vissuto nell’ultimo decennio. È ora di smettere di definire la lotta del dopo 11 settembre contro dei terroristi senza stato come una “guerra”. Ed è ora anche di mettere fine all’assurda guerra in Afghanistan che è già costata al paese così tante vite e denaro. Definire la lotta contro il terrorismo una guerra è stata una consapevole decisione di Bush, di Karl Rove e di altri nei primi giorni dopo l’11 settembre – una decisione che distrusse l’unità di cui ha parlato il presidente Obama domenica notte. (…)» e riferendosi a Obama continua: «(…) Il presidente Obama lunedì sera ha usato termini umani e sobri. È stato un sollievo ritrovare nelle sue parole il riferimento a quei (troppo brevi) giorni dopo l’11 settembre, quando l’idea di un sacrificio condiviso, del rispetto del lavoro degli impiegati pubblici, dei pompieri, di coloro che per primi avevano reagito, di un ampio senso del bene comune avevano pervaso la nostra società e la politica. E dopo la cattura e l’uccisione di bin Laden, i leader politici avranno il coraggio di dire che quello a cui siamo confrontati non è una “guerra” al terrorismo? (…)» E conclude citando una frase di Shirin Ebadi di dieci anni fa: «I governi non reprimono la gente solo con false interpretazioni della religione; a volte lo fanno con discorsi ipocriti sulla sicurezza nazionale». Tra i commenti a pagina 3, in corsivo, Maurizio Matteuzzi firma “Frankenstein islamico L’ascesa e la caduta” che inizia: «Osama bin Muhammad bin Awad bin Laden, al secolo Osama bin Laden, è finito come doveva finire. E come imponeva il “The end” dell’eterno film western da cui gli Stati uniti – sia del pessimo Bush sia del simpatico Obama – non sono in realtà mai usciti nel corso della loro storia. “Dead or alive”, vivo o morto, come si leggeva sui saloon del vecchio West. Meglio morto, perché da vivo, forse, era troppo pesante. Osama era una loro creatura – degli Usa -, un Frankenstein islamico che gli si era rivoltato contro. (…)» Due i commenti che si possono leggere invece a pagina 5, il primo a firma di Ida Dominjianni “Giustizia vendetta e spettro del nemico” che si conclude «(…) L’icona si è rotta; la caccia è finita. Che ne sarà, della politica dell’occidente, senza quel fantasma? Guerre, politiche securitarie, controlli pervasivi di polizia, gabbie di Guantanamo: tutto questo dovrebbe di conseguenza svanire. Salvo riprodurre lo spettro per clonazione: dev’essere per questo che in tanti si precipitano a dire che Bin Laden non c’è più ma il pericolo resta anzi si aggrava: morto un fantasma se ne fa un altro, morto un nemico se ne trova un altro. (…)». A piè di pagina Alessandro Robecchi firma “Bel colpo. E ora catturate Bush”: «(…) Il messaggio di Obama è stato perfetto: abbiamo vinto una partita importante, ma il campionato è ancora lungo, il merito è del gruppo, non perdiamo la concentrazione, l’importante è l’umiltà, non molliamo. Nemmeno Mazzone o Trapattoni avrebbero fatto meglio. (…) Comprensibile la decisione di non aver lasciato in giro la cara salma, un modo per non dover bombardare un domani il mausoleo di bin Laden, con tutte le reliquie possibili e immaginabili: il pelo della barba di bin Laden, un pezzo di mantello, il cestino per i funghi di quando abitava in montagna eccetera eccetera. (…) la decisione di buttarlo in mare potrebbe portare un giorno alla costruzione delle più bislacche leggende metropolitane, un po’ come Jim Morrison: Osama è vivo e fa il barista a Parigi e cose del genere. (…) » e conclude: «(…) Ci sono voluti dieci anni per prendere Osama in Pakistan, e probabilmente ce ne vorranno altri dieci per spiegarci cosa diavolo ci facciamo in Afghanistan armati fino ai denti: forse interrogando George Bush a Guantanamo potremo capirlo prima».
“Ucciso Bin Laden, allerta terrorismo” è il titolo de IL SOLE 24 ORE che dedica alla questione le prime 8 pagine. Segnalo il commento di Khaled Fouad Allam “La dottrina vincente nata al Cairo”: «Paradossalmente il solenne discorso tenuto l’altro ieri sera da Obama, riecheggia il discorso da lui pronunciato due anni prima all’università di Al Azahr al Cairo, in cui insisteva sulla necessità di riconoscere l’Islam come civiltà e religione. Ma Obama ora ha insistito anche sul fatto che un Islam ormai mondializzato deve imparare a convivere con etnie e confessioni religiose diverse. Gli Stati Uniti sono già una società multietnica e pluriconfessionale; il trauma dell’11 settembre, nella visione di Obama, deve servire a distinguere fra l’Islam come fede e civiltà e l’Islam politico, che scivola anche nel terrorismo. La distinzione che fa Obama è fondamentale, perché l’uccisione di bin Laden accade in un ciclo della storia del mondo arabo e islamico in cui esso cerca di sbarazzarsi dell’anti-occidentalismo e dell’anti-americanismo che ha segnato la sua storia nel XX secolo. Nel discorso di Obama, il porre l’accento sul fatto che viviamo in un società plurale significa che la questione islamica non è solo una questione americana, è una questione globale dunque mondiale; saperla governare è di fondamentale importanza nella futura grammatica delle relazioni internazionali, mentre l’Europa rimane titubante se non impaurita dinanzi ai suoi vicini sulla sponda sud del Mediterraneo».
ITALIA OGGI, oltre ad una vignetta di Claudio Cadel che ritrae un piede con un pantalone a bandiera americana che schiaccia un serpente con la faccia di Bin Laden, molto simile alla raffigurazione classica della Madonna che schiaccia la testa al maligno, dedica un’analisi di Marino Longoni all’omicidio del terrorista. “Ancora troppi i lati oscuri nella morte di Bin Laden”. «In Italia, al di là delle prese di posizioni ufficiali, la prima reazione è stata di scetticismo: sarà vero? Perché non ci sono immagini inconfutabili del cadavere (la prima foto circolata si è rivelata una bufala)? E perché il corpo è stato gettato subito in mare? Non sarà tutta una montatura elettorale pro-Obama? Siamo un popolo abituato alle manfrine della politica nostrana e ci viene naturale cercare complotti dappertutto. Ci viene difficile credere che i fatti siano proprio così come vengono raccontati, che non ci sia almeno un minimo di manipolazione. E poi ci sono troppi dettagli che non combaciano». Il giornalista dopo aver fatto la cronaca del blitz sottolinea anche «Non c’è dubbio che dal punto di vista politico l’operazione militare si trasformerà in uno straordinario spot elettorale per Obama, e forse proprio per prolungare l’effetto mediatico che l’Amministrazione Usa sta aspettando oltremisura a fornire foto, video e quant’altro possa smentire le ipotesi più inverosimili che stanno trovando spazio sul web. Dal punto di vista della guerra al terrorismo non cambierà molto».
AVVENIRE titola così: “Muore Binladen, non il terrore”, il titolo di spalla del quotidiano dei vescovi che affianca la notizia alla “Festa di popolo” per il milione e mezzo di pellegrini a Roma per la beatificazione di Giovanni Paolo II, evento a cui sono dedicate le prime 9 pagine. L’editoriale “La vera battaglia” firmato da Vittorio E. Parsi sulla fine di un mito d’odio sottolinea che «dal punto di vista simbolico, al-Qaeda senza Osama non esiste semplicemente più… ma al di là del contraccolpo psicologico che la sua morte provocherà nei suoi adepti, l’idra del terrorismo islamista è fornita di tante teste quante sono le sigle che conosciamo, ognuna capace di muoversi in autonomia… la corsa a rimpiazzarlo nell’immaginario collettivo di quanti vedevano in Osama un profeta della restaurazione del califfato sarà vinta da chi riuscirà a compiere l’eccidio più efferato. Difficile che possano riuscire a eguagliare un’impresa come quella dell’11 settembre; quasi certo che ci proveranno. Osama era riuscito a imprimere il suo marchio sugli eventi dell’inizio del Millennio; a fomentare centinaia di attentati e di stragi; a provocare direttamente o indirettamente due guerre costate centinaia di migliaia di morti; a far deteriorare i rapporti tra Occidente e mondo islamico connotandoli come essenzialmente ostili, nonostante i mille sforzi compiuti da tanti – la Chiesa cattolica innanzitutto – volti a impedire che una simile saldatura si compisse fino in fondo. L’uscita di scena di Benladen avviene, paradossalmente, nel momento in cui il suo progetto politico appare più vicino al fallimento. A quasi un decennio dall’11 settembre, eventi altrettanto impensabili e imprevedibili stanno attraversando il mondo arabo, ma dal segno ben più promettente: sono quelle rivoluzioni dalle quali esso uscirà comunque cambiato e le cui parole d’ordine sono “libertà”, “giustizia”, “dignità” e non “morte agli infedeli”. Benché il Nord Africa e il Levante non siano necessariamente destinati a diventare la nuova culla della democrazia, essi ne costituiscono già ora la nuova frontiera». Da pagina 11 a pagina 17 gli articoli sulla fine dello sceicco ricostruiscono l’assalto al covo e riportano i commenti. Secondo l’esperto di estremismo Olivier Roy la fine di Osama «conferma il profilo di un’organizzazione moribonda sul piano politico… si trattava di un capo e di un simbolo, ma ancor prima di un inventore: la sua immagine resterà solo un riferimento». Un articolo parla della rabbia di Hamas e di Osama “martire” per tutti gli jihadisti; solo il presidente dell’Anp Abu Mazen parla di fatto “positivo per la pace”. In Pakistan, il consigliere speciale per le Minoranze Paul Bhatti rivela i «forti timori di reazioni, del tutto insensate, contro i centri cristiani». A pagina 15 l’articolo “Successione, si apre la partita: Zawahiri è l’erede più probabile” parla della lotta al potere e fa i nomi dei quadri più importanti dell’organizzazione del terrore. Per l’esperto Ben Byman «uno dei successi di Benladen è stato creare una rete in grado di sopravvivergli». La pagina 16 è dedicata alle reazioni negli Usa: “L’America fa festa nelle strade. La Cia avverte: vendetta sicura”, la 17 parla delle contromisure in Italia per lo “spettro eversione”: Maroni ammette «Il rischio terrorismo cresce, alzata la guardia». In una intervista il prefetto Carlo De Stefano avverte: «Cresce il rischio che viene dai gruppi Salafiti del Magheb. Ora il pericolo è l’attentatore fai da te».
Doppia copertina per LA STAMPA sulla morte di Osama Bin Laden. Quattro fogli extra che avvolgono il quotidiano. Il titolo: “Ground Zero 2001-2011” e sullo sfondo due immagini: il crollo delle due torri (ieri), e nello stesso luogo, cittadini festanti (oggi). All’interno altre foto, da quell’11 settembre fino al 2 maggio, mentre in quarta una raccolta delle principali copertine dei giornali nel mondo. All’interno sono 16 le pagine dedicate all’evento. Compresa la prima pagina tradizionale, in cui campeggia il titolo “Obama: ‘Giustizia è fatta’”. L’editoriale è del direttore, americanista doc, che punta sull’emozione: “Quel dolore che non si può cancellare”: «L’uomo che teorizzava la fine dell’uso della tortura negli interrogatori, quello che parlava di diritti civili e della necessità di ricostruire l’immagine dell’America, ha sempre messo in cima alle sue priorità la cattura di Osama bin Laden. Ricordo il candidato democratico di fronte a una platea di studenti universitari, che innalzavano cartelli pacifisti, concludere il suo discorso con l’assicurazione che se fosse stato eletto avrebbe preso il leader di Al Qaeda «vivo o morto». Ricordo gli applausi dei ragazzi, l’ovazione per quella promessa». Emotivo pure Gramellini sempre in prima: «Che incassatrice formidabile, la democrazia. Difende la sconfitta e si riorganizza, rivelando riserve insospettabili di pazienza e talvolta anche di ferocia (…) Scava nel profondo. Non fa battere il cuore. È il cuore. E il cuore, alla fine, vince sempre». La Stampa mette in campo tutte le sue migliori firme: Lucia Annunziata: «L’uccisione di Osama Bin Laden e le rivolte delle strade arabe riscrivono il futuro del Medio Oriente. Due avvenimenti senza alcun legame, lontanissimi fra loro, almeno in apparenza. In realtà intrecciati dalla ferrea logica dello stato delle cose reali»; ovviamente il corrispondente Maurizio Molinari: «Se Leon Panetta scrive per email agli impiegati della Cia che «Bin Laden è morto, ma Al Qaeda no» e Hillary Clinton dice dal Dipartimento di Stato che «bisogna restare in allerta contro possibili attacchi», è perché la Casa Bianca vuole evitare che non solo l’America ma anche gli alleati abbassino la guardia nei confronti dei nuovi leader jihadisti, dal Waziristan allo Yemen, che ambiscono a succedere a Osama e potrebbero entrare presto in concorrenza fra loro a colpi di sanguinosi attentati. Sarà proprio la reazione della nuova Al Qaeda all’uccisione di Bin Laden uno degli elementi in base ai quali Obama deciderà le dimensioni del ritiro delle truppe dall’Afghanistan quest’estate». I servizi, poi, si sviluppano secondo una logica classica, per altro vecchia di 24 ore perché, mai come in questo caso e in occasione di questi eventi, la carta stampata rincorre, riorganizza, mette in scena, come fanno i vecchi attori di teatro ma arriva puntualmente in ritardo, sconnessa, e soprattutto inutilmente pesante, trasformandosi in poster da guardare, sfogliare, e se va bene da appendere al muro. Qualche guizzo di curiosità, fra le mille ricostruzioni di cosa e come è successo, l’intervista a pagina 11 all’analista e giornalista Ahmed Rashid: «Ora mi aspetto una reazione dura. In Pakistan e in Afghanistan soprattutto. Ci saranno dei bombardamenti. E anche l’Occidente deve alzare il livello di guardia. Prevedo attacchi suicidi nelle metropolitane e sui treni. Tentativi di dirottare aerei, di farli esplodere. Assalti contro le ambasciate e le basi militari». Sullo sfondo il commento di Enzo Bianchi dal titolo “Ma fare festa è sbagliato”: «Il Vangelo, ma anche la mia coscienza umana, non mi autorizzano a rallegrarmi per la morte di un essere umano, fosse anche il più malvagio sulla terra, fosse anche il nemico mortale che ha attentato alla vita delle persone più care».
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