Economia
Ecco la lista delle banche armate
In vetta BNP Paribas e Deutsche Bank. Tra le italiane UniCredit e Banco di Brescia
Due gruppi esteri ampiamente presenti nel Belpaese sono le “banche più armate” d’Italia. BNP Paribas e Deutsche Bank si sono infatti spartite più della più della metà dei 3 miliardi di euro di operazioni autorizzate nel 2010 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per esportazioni di armamenti italiani. (Si veda la tabella ufficiale delle operazioni bancarie relative all’export di armamenti 2010 a fondo pagina tratta dall’intera Relazione della Presidenza del Consiglio e che Unimondo ha presentato in anteprima).
I valori dei due colossi europei sono pressoché simili: si tratta per BNP Paribas Succursale Italia di oltre 862 milioni di euro (pari al 28,3%) a cui vanno sommati i quasi 98 milioni di euro della BNL (il 3,2%) e per Deutsche Bank di poco meno di 836 milioni di euro (il 27,4%). Nell’anno in cui le autorizzazioni all’esportazione di armamenti hanno segnato una chiara flessione (le autorizzazioni sono infatti calate dagli oltre 4,9 miliardi di euro del 2009 ai poco più di 2,9 miliardi di euro del 2010), le due banche incrementano invece il proprio volume di affari rispetto al 2009: due anni fa il gruppo BNP Paribas-BNL aveva infatti assunto operazioni per 904 milioni di euro (pari al 23,8%) e Deutsche Bank, pur rilevando operazioni per oltre 900 milioni di euro, aveva ricoperto il 23,7%.
Al di là delle cifre, ciò che solleva più di un interrogativo è la quasi totale mancanza da parte delle due banche di specifiche direttive in materia di servizi all’industria militare e all’esportazione di armamenti. Mentre la quasi totalità degli istituti di credito italiani a seguito di puntuali domande di trasparenza sollevate da diverse campagne di pressione già da vari anni ha messo in atto precise direttive per definire e limitare la propria partecipazione, il finanziamento e l’offerta di servizi all’industria militare, BNP Paribas e Deutsche Bank paiono mostrare scarsa attenzione al tema.
BNP Paribas e BNL: una policy da chiarire presto
Se è vero, infatti, che la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) incorporata nel febbraio 2006 nel gruppo BNP Paribas, già dal 2003 ha reso pubblica la decisione di “limitare le proprie attività relative alle operazioni di esportazione e importazione di materiale d’armamento unicamente a quelle verso Paesi dell’Unione Europea e della NATO nell’ambito delle rispettive politiche di difesa e sicurezza”, è altrettanto vero che non si rintraccia documento pubblico che riporti che tale direttiva sia applicata anche dalla BNP Paribas Succursale Italia. E’ quindi possibile, in linea di principio, che le operazioni non assumibili dalla BNL vengano passate alla succursale italiana della BNP Paribas: un fatto, questo, sul quale la banca dovrebbe fare chiarezza. La necessità di questo chiarimento sta in un semplice dato di fatto: nel 2010 i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente sono stati i principali acquirenti di armamenti italiani e verso i paesi di quest’area sono state rilasciate autorizzazioni all’esportazione per un valore complessivo di oltre 1,4 miliardi di euro, cioè più del doppio di quelle rilasciate ai paesi europei (compresa la Turchia): è possibile quindi che una parte di queste consistenti operazioni sia stata assunta dalla BNP Paribas Succursale Italia. In parole semplici, ciò che la banca dovrebbe chiarire è se quanto afferma pubblicamente – e cioè che “il Gruppo BNP Paribas applica il principio dello ‘standard più elevato” (…) applicando in alcuni casi criteri ancora più stringenti di quanto previsto dalle legislazioni locali” (si veda: BNL, Bilancio della responsabilità sociale 2009, pp. 43-44) – venga di fatto applicato non solo alla BNL, ma anche alla Succursale italiana del BNP Paribas. Sapere con certezza che l’intero gruppo ha adottato in Italia la direttiva emessa già dal 2003 dalla BNL fugherebbe ogni dubbio di un eventuale “doppio standard” in uso nelle diverse banche del gruppo presenti e operanti in Italia.
Deutsche Bank e Natixis: a quando una direttiva sugli armamenti?
L’operativa della Deutsche Bank nei servizi in appoggio all’esportazione di armamenti italiani ha visto un crescendo costante negli ultimi cinque anni: la banca è infatti passata dai poco più di 78 milioni di euro di operazioni assunte nel 2006 ai quasi 519 milioni del 2009 ai gia citati 900 milioni del 2009 agli 836 milioni di euro dello scorso anno. A fonte di questo ininterrotto aumento, la banca non ha mai reso noto le proprie direttive in materia di servizi all’industria militare e le operazioni svolte per l’esportazione di armamenti.
Pur dichiarando sul proprio sito che “per Deutsche Bank la Responsabilità Sociale d’Impresa rappresenta un investimento nella società e nel suo futuro” e che “il rispetto dei diritti umani è parte integrante del nostro sistema di valori” l’applicazione di questi principi nel caso degli armamenti è ridotta ad una generica affermazione che recita: “We will not consider any involvement in transactions connected with specific types of weapons, in particular antipersonnel landmines, cluster bombs, or ABC weapons” (Non assumeremo alcun coinvolgimento in operazioni connesse con tipi specifici di armi, in particolare le mine antiuomo, bombe a grappolo, o armi ABC). Si tratta di sistemi di armamento già banditi dalle normative internazionali e italiane e che non riguardano il più ampio, ma non meno controverso, settore degli “armamenti convenzionali”. In sintesi, stante l’attuale posizione, la Deutsche Bank appare oggi uno dei gruppi più esposti ad offrire finanziamenti all’industria militare e servizi in appoggio al commercio di armamenti anche verso le zone di maggior tensione del pianeta come il Nord Africa e il Medio Oriente. L’assoluta mancanza nei suoi Rapporti della Responsabilità sociale (CSR Reports) di un dettagliato reporting delle operazioni assunte e svolte riguardo all’esportazione di armamenti italiani rende questo rischio ancor più evidente.
Discorso simile anche per Natixis che cinque anni fa ha fatto la propria comparsa nella lista governativa per operazioni relative all’esportazione di armamenti italiani: la banca francese è passata dai circa 700mila di euro del 2006 agli oltre 241 milioni di euro del 2008 ai quasi 283 milioni di euro del 2010. La banca lo scorso anno ha reso noto il primo “Sustainable Development Report” nel quale annuncia che “nel marzo 2009, Natixis ha adottato una policy che esclude tutti i finanziamenti e gli investimenti in società coinvolte nella produzione, commercio e nello stoccaggio delle mine antiuomo e bombe a grappolo” (p. 18). Anche in questo caso si tratta di sistemi di armamento già banditi dalle normative internazionali e italiane e che non riguardano gli “armamenti convenzionali”. E’ urgente pertanto che Natixis espliciti una direttiva per quanto riguarda tutto il settore del finanziamento all’industria militare e i servizi concessi al commercio di armamenti e si impegni in un preciso reporting delle operazioni già assunte e svolte per l’esportazione di armamenti italiani.
Si tratta di rilievi che sostanzialmente vanno applicati anche alle altre banche estere che nel 2010 hanno ricevuto autorizzazioni per l’esportazione di sistemi militari italiani: nello specifico a Commerzbank (quasi 116 milioni di euro), Crédit Agricole CIB (104 milioni di euro), Société Générale (oltre 88 milioni di euro), Banca UBAE (quasi 66 milioni di euro), Banco Bilbao Vizcaya (oltre 20 milioni di euro), Europe Arab Bank (quasi 13 milioni di euro) e Barclays Bank Plc (oltre 10 milioni di euro), le quali pur a fronte di consistenti importi non riportano – a parte il Banco Bilbao Vizcaya – specifiche direttive riguardo ai finanziamenti e ai servizi per l’appoggio al commercio di armamenti.
Le banche italiane
Passando, infine, ad analizzare sinteticamente le operazioni delle principali banche italiane va innanzitutto notata l’ulteriore aumento del valore delle operazioni assunte da UniCredit che negli ultimi tre anni è passato da poco più di 52 milioni di euro a oltre 146 milioni di euro a 297 milioni di euro nel 2010 (pari al 9,8%): ho già documentato come la policy del principale gruppo bancario italiano sia andata modificando negli ultimi anni e come la recente dichiarazione sollevi più di qualche interrogativo.
Il Banco di Brescia invece ha drasticamente ridotto il volume di operazioni a 168 milioni di euro: dopo il record assoluto toccato lo scorso anno con oltre 1 miliardo e 228 milioni di euro era inevitabile una flessione anche a seguito della contrazione degli ordinativi da parte dei paesi occidentali ai quali, con una policy molto dettagliata, sostanzialmente l’istituto di credito del gruppo UBI Banca circoscrive la propria operatività nel settore degli armamenti.
Una buona notizia per gli attivisti è sicuramente il quasi azzeramento delle operazioni assunte dal gruppo IntesaSanpaolo: si tratta infatti di solo 5 operazioni del valore di poco più 952mila euro. Un fatto che si spiega con la policy nel settore armamenti (in .pdf) definita prontamente nel luglio 2007 – cioè a pochi mesi dalla nascita del gruppo – che stabilisce “la sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma, pur consentite dalla legge 185/90”: una direttiva che abbiamo già commentato su Unimondo. Andrebbero però attribuite al gruppo anche gli oltre 38 milioni di euro di operazioni assunte dalla Cassa di Risparmio della Spezia, banca di riferimento di diverse industrie militari locali tra cui Oto Melara: l’ingresso nel 2011 della Carispezia nel gruppo Cariparma FriulAdria, a sua volta controllato da Crédit Agricole, ha sicuramente tolto un grattacapo ai responsabili di settore del gruppo IntesaSanpaolo.
Manca l’allegato con il dettaglio delle singole operazioni bancarie
Manca anche quest’anno il voluminoso allegato con l’Elenco di dettaglio delle operazioni autorizzate alle banche dal quale, fino al 2007 si potevano apprendere non solo gli importi totali autorizzati agli istituti di credito, ma il dettaglio delle singole operazioni autorizzate e soprattutto i paesi destinatari delle operazioni bancarie: considerato che questa indebita sottrazione è stata il primo atto (non legislativo ma fattivo) dell’attuale Governo Berlusconi sarà difficile vederlo ripristinato nell’attuale legislatura.
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