Famiglia

Ma le case famiglia non sono un “business”

La Federazione Progetto Famiglia risponde all’articolo pubblicato oggi sul quotidiano “la Repubblica”

di Redazione

L’accusa è pesante e viene dalle pagine autorevoli di “Repubblica” che sul numero in edicola oggi pubblica inchiesta sui bambini in case famiglia denunciando un business da un miiardo di euro all’anno. «In Italia ci sono oltre 20 mila giovani tra neonati, bambini e ragazzi ospitati da strutture di accoglienza», scrive il quotidiano, che accusa: «Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila). È una media bassissima, tra le più scarse d’Europa. Il motore che alimenta questa “stranezza” italiana è una nebulosa dove le cause nobili lasciano il posto al business e agli interessi di bottega perché  ogni ospite che risiede in una casa-famiglia costa ai Comuni dai 70 ai 120 euro al giorno». L’affare, sostiene l’inchiesta di Repubblica, consiste nel prolungare i tempi di permanenza.

A rispondere è Progetto Famiglia, federazione di enti no-profit impegnata da anni in Italia e all’estero nel sostegno a minori e famiglie in difficoltà. «Un’ingiusta e malinformata accusa al sistema italiano di protezione dell’infanzia che denuncia un business inesistente. La maggior parte dei minori accolti nelle comunità residenziali italiane non ha bisogno di una famiglia adottiva ed attende di tornare a casa propria», scrive Progetto Faniglia in una nota criticando l’articolo pubblicato oggi dal quotidiano Repubblica, firmato da Paolo Berizzi e titolato “Bambini in casa-famiglia, business da un miliardo all’anno”. «Con questo articolo», dichiara Marco Giordano, presidente della rete di famiglie affidatarie del Progetto Famiglia «prosegue una linea di “disinformazione”, comune anche ad altri giornali nazionali, che, infarcita di una serie di errori e luoghi comuni, fa passare l’idea che ci sia un “sistema corrotto” che si arricchisce trattenendo ingiustamente bambini che dovrebbero andare in adozione, a danno dei bambini stessi e delle tante famiglie in attesa di adottare».
L’articolo di Repubblica parla di “Istituti” senza rendersi conto che in Italia da vari anni gli istituti non esistono più. Oggi i minori “fuori famiglia” sono accolti per un terzo presso famiglie affidatarie e per due terzi presso comunità residenziali specializzate, di piccole dimensioni, che non hanno nulla a che vedere con gli istituti di un tempo. Il sistema – come ogni opera umana – può essere migliorato ma non c’è nessun imbroglio da denunciare. Solo l’impegno generoso di tanti operatori (in genere precari e sottopagati) e volontari che dedicano la loro vita ad aiutare bambini, ragazzi e famiglie in difficoltà. Piuttosto mancano politiche sociali incisive capaci di prevenire il disagio minorile e familiare.

Errata è anche la stima, sia numerica che qualitativa. I minori italiani accolti nelle comunità residenziali sono poco più di 15mila (non oltre 20mila come invece dichiara Repubblica) e, soprattutto, solo in minima parte sono in attesa di essere adottati da una famiglia. La grande maggioranza di questi bambini e ragazzi una famiglia ce l’ha e attende di potervi rientrare. Oppure sono ragazzi grandi, prossimi alla maggiore età, che vanno accompagnati verso l’autonomia. Questi bambini e ragazzi hanno bisogno di persone che, in raccordo con i servizi sociali territoriali, aiutino loro e le loro famiglie ad uscire dall’isolamento sociale che, quasi sempre, causa i problemi e le difficoltà che sono alla radice dell’allontanamento da casa.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA