Politica

Bossi bombarda il (suo) governo

La Lega chiede il voto alla Camera per l'intervento bellico italiano

di Redazione

Il Carroccio si mette di traverso. Non condivide la linea assunta dal governo di cui fa parte: dei bombardamenti in Libia non ne vuole sentir parlare. Bossi tuona, Maroni intona, Reguzzoni stona. Il capogruppo alla Camera della Lega Nord dichiara: «ogni bomba che cade è una valanga di profughi che arriva in Italia». L’opposizione, intanto, insorge, si contorce, storce il naso e si distorce: Vendola da un lato con il no alla guerra in Libia e il resto, il tutto, da tutt’altra parte. Ma dove? 

“La Lega sfida il premier sulla Libia” il titolo con cui apre il CORRIERE DELLA SERA. Riallineamento tra Bossi e Maroni, ed è proprio il ministro degli Interni a chiedere “un inevitabile voto parlamentare” sulla missione italiana. Un caos che travolge la maggioranza e ha fatto saltare il consiglio dei Ministri di ieri.
Uno contro l’altro, senza apparenti vie di mediazione, i due leader: da una parte Bossi “striglia i suoi”, e un non citato dirigente padano butta lì, sibillino: “Quando vedremo spuntare una qualche antenna del Biscione anche in Francia, forse capiremo”, tanto per lasciare intendere quali pensieri covino nella pancia della Lega. Altrettanto deciso Berlusconi: “Indietro non si torna. Il voto non ci fa paura”. Una possibile via d’uscita potrebbe essere la stesura di una mozione comune Lega-Pdl da portare in parlamento, ma per ora lo scontro resta acceso. E preoccupa anche il Quirinale, nonostante Napolitano ribadisca di “non ritenere necessario un voto sui raid in Libia”. Resta sottotraccia il ruolo di Tremonti in questo strappo che ha messo in luce la non compattezza della maggioranza in un passaggio chiave. Anche perché l’aumentato impegno italiano sul fronte libico avrà necessariamente ricadute sul bilancio, e potrebbe tradursi in un aumento, per esempio, del prezzo della benzina: una grana che tornerebbe dunque in capo al ministro dell’economia. Secondo l’analisi di Massimo Franco, l’exploit della Lega mette poi il carroccio di fronte a un dilemma di posizionamento politico: “come tenere fermo il suo no ai bombardamenti sulla Libia senza apparire una versione aggiornata del pacifismo ideologico di Rifondazione comunista”?. Bella l’analisi psicologico-politica che fa Sergio Romano nell’editoriale, partendo dal confronto-scontro di personalità Berlusconi-Sarkozy (entrambi “credono che i vertici internazionali siano un club, e vedono nell’avversario politico un nemico”), arriva a osservare, amaramente, come al di là della somiglianza tra i due leader, l’Italia abbia una debolezza che inevitabilmente la fa soccombere nel confronto con la Francia: “i francesi vincono perché qualcuno in Italia considera la vittoria dello straniero preferibile al successo del concorrente italiano”.

“Libia, il governo nel caos”: LA REPUBBLICA riferisce con tre pagine interne della spaccatura all’interno del governo. Carmelo Lo Papa, raccontando la convulsa giornata di ieri, parla di «lontananza siderale». Berlusconi a Roma, Bossi a Milano con Maroni che ha spiegato: «nell’ultimo Cdm il premier era contrario ai bombardamenti. Noi non cambiamo idea da un giorno all’altro. I bombardamenti intelligenti, per definizione, non esistono». Insomma la Lega non cede, specialmente la base che è addirittura «furente» secondo Andrea Montanari che scrive un pezzo su Radio padania. Irritazione per la Libia ma anche per la Parmalat: «Il nano cala le braghe, andiamo fuori dal governo»; «il nano ci prende per i fondelli dicendo che non si tratta di un’Opa ostile. La verità è che il nano sventola l’italianità solo quando occorre salvaguardare la sua ghenga di affaristi». Anche sul sito del Pdl, Spazio azzurro, qualche critica compare. Nel retroscena Francesco bei spiega i sospetti del Cavaliere e cioè che dietro la rabbia leghista stia Tremonti, tenuto all’oscuro dell’Opa (di cui pare Berlusconi sapesse da due giorni). Per Aldo Schiavone (“L’Italia della paura evocata dal senatur”), quella della Lega non è solo tattica: a dividere Bossi da Berlusconi è anche «una certa idea dell’Italia – dei suoi compiti, del suo ruolo e della sua posizione nella scena europea e internazionale». «Il disastroso dilettantismo di Berlusconi nella conduzione degli affari internazionali, il suo rivelarsi ogni giorno di più un leader senza autorevolezza e senza prestigio…. sta lasciando spazio a un atteggiamento certamente presente nel Paese… “lo stato leghista dell’anima”: un grumo di sentimenti che viene da lontano». Ed è fatto di rifiuto della guerra e di un provincialismo «che si appaga della sua marginalità». «Questo intreccio di pacifismo e di chiusura… andrebbe sciolto attraverso un’azione di governo all’altezza del compito»

“Sulle bombe in Libia la Lega sfida Berlusconi: ora voto in Parlamento”, è il titolo in prima (di spalla) de IL SOLE 24 ORE, con spazio anche al commento di Stefano Folli, “Un suicidio in mondovisione”: « Erano anni che non ascoltavamo certi toni leghisti nei confronti di Berlusconi: per la precisione dal 1994-95, quando sprofondò il primo tentativo di collaborazione. Negli ultimi anni siamo stati sommersi da messaggi reciproci di amicizia eterna e si è parlato mille volte, a ragione, di un patto di ferro fra il Pdl e il Carroccio. Cosa è cambiato? Non è solo la Libia, anche se la gestione della guerra alle porte di casa ha fatto da detonatore al malessere leghista. C’è molto di più. Questioni generali: la debolezza della leadership berlusconiana, peraltro sempre più solitaria e refrattaria a condividere con l’alleato le decisioni più importanti; l’eterno duello con le procure, a cui tutto il resto viene subordinato; il procedere a strappi, in base agli umori del momento; gli spazi e le poltrone offerti ai cosiddetti “Responsabili”, sempre visti con sospetto dalle parti di via Bellerio. Temi più specifici: la tendenza a trasformare il voto amministrativo a Milano in un referendum intorno alla figura del premier (compreso il caso Lassini, che ha indispettito la Lega); la vicenda Parmalat, malcondotta, alla base ieri del grido di battaglia bossiano («siamo una colonia francese»); l’immigrazione, con Berlusconi che dice a Sarkozy: “Avete ragione, voi accogliete cinque volte più immigrati di noi”; la questione nucleare».

“Neanche Roma è in pace”, AVVENIRE apre puntando il dito sui mal di pancia del governo, con Lega e Pdl ai ferri corti per via della questione “bombardamenti in Libia”. Il Carroccio vuole il voto in aula essendo contrario alle operazioni belliche in Libia, Berlusconi tergiversa, tratta, negozia. E così, il quotidiano dei vescovi sviluppa i propri interventi da pagina 4 a pagina 7, in cui trova posto la risposta del Pdl alla Lega. Tocca a Frattini: «Nessun voto. E’ solo una mossa avvilente». Chi vuole votare in aula l’intervento e’ anche l’opposizione, obiettivo più o meno esplicito : stanare la Lega e far cadere il governo. Pagina 7, infine, i contorni della missione.

L’interpretazione de IL GIORNALE della spaccatura Berlusconi-Lega sta tutta nell’apertura della prima pagina: l’occhiello è «Giulio perde la testa», il titolone maiuscolo «Tremonti aizza la Lega». Spiega il catenaccio: «Altro che Libia e clandestini. Dietro allo strappo del Carroccio c’è la manina del ministro che vuole vendicarsi della nomina di Draghi alla Bce e dell’Opa francese su Parmalat». Secondo il direttore Alessandro Sallusti sarebbero «Questioni personali, quindi, più che politiche, di un ministro che si sente premier». Perché, dal punto di vista politico invece, «le cose in realtà sono molto chiare. L’Italia non poteva uscire dalla Nato o tradire l’alleanza politica occidentale», su Parmalat «Concedendo l’Opa ai francesi, il governo ha messo al sicuro i posti di lavoro, creato ricchezza per i soci, i risparmiatori e gli operatori italiani del latte». Ma «tutto questo a Tremonti non pare interessare. Ha perso la testa e cerca l’affondo con il tifo delle opposizioni. Un ministro dell’Economia dovrebbe lavorare per la stabilità politica che è presupposto di quella economica. Se fa l’inverso significa che ha mire diverse, magari inconfessabili. Per esempio tirare per la giacchetta Bossi, alleato decisivo del premier, per portarlo verso altri lidi». D’altra parte «Nella Lega c’è chi getta acqua sul fuoco. Sfasciare tutto per cosa? Per vendicare Tremonti della nomina di Draghi? È un po’ poco, è difficile farlo digerire al popolo leghista. Anche in tempi di campagna elettorale». I maldipancia leghisti vengono analizzati dall’ideologo del partito, Stefano B. Galli, il titolo del suo commento è «Guai a sottovalutare il disagio del Carroccio». Scrive il politologo: «È tutt’altro che estemporanea e occasionale la ferma presa di posizione». Per capirla «bisogna fare i conti con le dottrine del federalismo e con le radici ideologiche del Carroccio, che sostengono e spiegano il suo progetto politico». Si citano i padri nobili del movimento: «Federalismo come democrazia di prossimità, più piena e consapevole. Salvadori, Chanoux e – più in là – il federalismo integrale e personalista di Héraud, Marc e Rougemont» per finire con «federalismo fa rima con pacifismo, ce l’ha insegnato Kant nella Pace perpetua».

“Il rinculo” questo il titolo di apertura del MANIFESTO di oggi che sceglie come foto di apertura l’immagine del «ministro della guerra Ignazio La Russa» (come recita la didascalia) con indosso la divisa della Folgole «Contraccolpo libico sul governo. Il ministro della difesa La Russa annuncia che otto caccia italiani sono “pronti a colpire la Libia, non con bombe ma con missili”. E il ministro leghista Maroni rilancia il no di Bossi e chiede un voto in parlamento. Il Pd “aspetta”, pronto a sostenere Berlusconi sulla guerra» riassume il sommario che rinvia alle due pagine ( la 2 e la 3) che si aprono con il titolo “Truppe sparse all’attacco”. «Il movimento lo fa tutto la maggioranza: la Lega minaccia, poi in parlamento garantisce che non farà mancare i suoi voti al governo, poi riprende a minacciare sfaceli. Il partito democratico sta fermo, inchiodato alla posizione di fedeltà atlantica e fulminato dalla copertura offerta dal presidente della Repubblica alla missione in Libia (…)» esordisce l’articolo di apertura. In due box si presentano due diverse lettura dell’articolo 11 della Costituzione, una per il sì all’intervento firmato da Stefano Ceccanti “Togliatti alla Costituente non pensò al pacifismo totale” e un secondo per il no a firma Claudio De Flores, per il no “Quel testo va letto per intero, così si rafforza il «no» alla guerra”. Di spalla a pagina tre l’articolo “Maroni «No all’escalation» Ma la Lega sbanda”. «Un frullatore impazzito. Nelle commissioni parlamentari ministri e capigruppo di Pdl e Lega leggono pedissequamente testi già scritti, cercando di evitare che i dissidi nella maggioranza deflagrino anche in pubblico. Ma evidentemente quello che non si può tenere non si tiene più. (…)» L’articolo prosegue facendo i conti in tasca all’intervento militare: «(…) dove non possono le bombe potranno, forse, i soldi. La missione in Libia costa cara. Per i 12 aerei e le 5 navi italiane si spendono 350mila euro al giorno solo di spese “vive” (carburante, manutenzione, ricambi, etc.). Dal 19 marzo a oggi i costi stimati dall’aeronautica sono di 44 milioni di euro. Un’ora di volo di un Tornado, per esempio, costa 19mila euro e bombe o non bombe fino al 18 aprile scorso le ore di volo totali avevano già superato le 1.200. Un impegno finanziario enorme (…)» e prosegue: «(…) La distanza tra Lega e Tremonti da un lato e Pdl dall’altro non è mai stata così ampia. I casi Parmalat ed Edison (“siamo una colonia francese”, strepitava Bossi sulla Padania), le “leggi” sulla giustizia, un rimpasto inevitabile nel sottogoverno, le grandi manovre ai vertici Rai (oggi Masi potrebbe togliere il disturbo aggravando le tensioni sul rimpiazzo e le varie contropartite) sono tutti problemi reali aggravati dalla propaganda “pacifista” funzionale al voto imminente delle amministrative. È una corsa in cui la Lega cerca in modo confuso e spregiudicato il sorpasso dell’alleato in tutto il Nord».

Lo strappo con la Lega non durerà. Lo dice ITALIA OGGI. Nella Nota Politica a pag 2 “La Lega tira l’elastico ma poi non lo rompe”, Marco Bertoncini sostiene che l’atteggiamento leghista rientra nei comportamenti che da 10 anni regolano i rapporti Berlusconi e Bossi. «La lega non cambia» scrive Bertoncini. «Tira l’elastico,ma non lo rompe. Esaspera, usa toni accesi, minaccia, s’infuria;però resta fedele all’alleanza». Questa tecnica è anche una tattica per far salire il prezzo della sua alleanza chiedendo «più potere, più posti e più leggi gradite».

 

FAMIGLIA
IL SOLE 24 ORE – “Italia in coda negli aiuti alle famiglie”. I dati del rapporto Ocse sulla famiglia mettono in luce la solita debolezza italiana sulle politiche per la famiglia (ma il family day lo si fa solo contro i Dico, aggiungo io…): «I numeri sono impietosi e imbarazzante è il confronto, tanto per rimanere nel solco di una rivalità che proprio in questi giorni è tornata di gran moda, con la Francia, indicata per molti aspetti come un modello di riferimento. Tre dati balzano immediatamente agli occhi: il tasso di occupazione femminile, quello di fertilità e quello sulla povertà infantile. Nelle tre classifiche l’Italia occupa le ultime posizioni. Rispetto a una media Ocse del 70,9%, la quota di donne al lavoro nella fascia 25-54 anni è infatti del 59,1%, la più bassa dopo Turchia, Messico e Cile. La Francia è al 76,6 per cento. E chi pensa che a una maggiore presenza delle donne in casa possa logicamente corrispondere una maggior propensione ad avere figli viene subito smentito dal tasso di natalità: l’Italia è a 1,4 figli per donna, rispetto a una media Ocse di 1,74 e con la Francia a 1,99. Proprio la difficoltà a trovare lavoro e, una volta trovato, il rischio di non poterlo conciliare con eventuali impegni famigliari – per l’atavica ostilità di molte aziende e la carenza di servizi a costi accettabili – spingono infatti le donne a ritardare sempre più il momento della procreazione, con il risultato che poi i figli non arrivano. D’altronde solo nel 50% delle aziende italiane con oltre 10 dipendenti esiste la possibilità di avere orari flessibili (…) D’altronde l’Italia è uno dei Paesi Ocse che spende meno per le sue politiche famigliari: l’1,4% del Prodotto interno lordo, mentre la media dell’organizzazione è del 2,2% e la Francia è al 3,8 per cento. E soprattutto i Paesi che spendono di più spesso spendono meglio, concentrando cioè le risorse su tutti i servizi (a partire dai nidi e da orari prolungati pre e dopo scuola) di cui le donne hanno più bisogno nei primi anni di vita dei figli. Quando devono essere in condizione di poter riprendere il lavoro in condizioni di tranquillità e sicurezza. Senza arrivare al record del Lussemburgo (93mila dollari), la Francia spende 55mila dollari all’anno in servizi e agevolazioni per ogni bambino al di sotto dei 5 anni. La media Ocse è di 36mila dollari, l’Italia è a 33mila».

AVVENIRE – Fotonotizia in prima per i dati Ocse sulle politiche familiari. L’istituto lo conferma, l’Italia non è un paese per famiglie. E’ questo il taglio del pezzo a pagina 3. Nascono pochi bambini (il 25% delle donne nate del 1965 non ha figli) e si registra un baso tasso di occupazione femminile appena il 48% contro una media del 59%. Cresce il 15% la povertà infantile.

FINE VITA
CORRIERE – Apre un altro fronte di conflitto “l’irruzione” di Berlusconi anche nella discussione, approdata alla Camera, del ddl sul testamento biologico. La richiesta del premier di “votare compatti” la legge e la frecciata a quei giudici che “pretendono di scavalcare il Parlamento e usurparne la funzione” ovviamente fa deflagrare la polemica, dentro e fuori il palazzo. Problemi anche all’interno del Pd, spaccato sulla norma (così come il Fli). Franceschini ha richiamato i suoi: “Chi vota col Pdl è fuori dal gruppo”. Sul tema il Corriere continua a proporre interviste-confronto. Oggi a pag. 11 dibattono il genetista Bruno Dallapiccola (“Attenti a una cultura che sostiene e approva ogni scelta individuale”) e il neuroscienziato Piergiorgio Strata (“L’attuale testo non tutela la sfera più intima e privata”).

LA REPUBBLICA – “Il premier: subito il biotestamento fermiamo i giudici”: di spalla in prima riferisce circa l’accelerazione che ha avuto la discussione parlamentare sul testamento biologico grazie a una lettera inviata da Berlusconi ai deputati Pdl. Avrebbe preferito non intervenire, scrive il premier, visto che su una «questione sensibile e legata alla sfera più intima e privata, non si dovrebbe legiferare e anch’io la penserei così se non ci fossero tribunali che, adducendo presunti vuoti normativi, pretendono in realtà di scavalcare il Parlamento». Le reazioni sono quelle forse cercate: da una parte Udc che chiede di anticipare la discussione sul testamento, dall’altra il Pd che vuole prima discutere di Libia. Il Terzo polo si spacca: Fli e Pd votano contro l’inversione dell’odg, Udc vota a favore con Pdl e Lega. Doppia intervista sulla legge. A Beppe Fioroni, cattolico Pd (“Voterò in piena libertà ma la vita non è un bene cui si può rinunciare”) e a Mina Welby: “I malati sono sacrificati alla campagna elettorale la loro volontà non conta”.

WOJTYLA
CORRIERE – Sul tema della beatificazione di Giovanni Paolo II, Il Corriere anticipa un “documento straordinario” che verrà mandato in onda nel fine settimana da Radio Vaticana e dalle tv del circuito: l’intervista concessa nell’ottobre 2005 dal neo-papa Benedetto XVI in cui Ratzinger racconta la sua lunga e profonda amicizia con Wojtyla, “un’amicizia che veniva proprio dal cuore”.

SECONDE GENERAZIONI
CORRIERE – Continua, nelle pagine del dorso milanese, la polemica sui luoghi di culti islamici in città. Il Corriere presenta una mappa delle nove “moschee” già attive a Milano, da via Padova a via Crivellino.

POLITICA
LA REPUBBLICA – Intervista a Massimo D’Alema: se perde il 16 maggio vada a casa. «Berlusconi avrebbe già dovuto dimettersi da un pezzo. Non ha più la maggioranza parlamentare. Se l’è dovuta comprare. Ma siamo alla resa dei conti»: senza mezzi termini l’esponente del Pd dà il preavviso di sfratto al premier. Che «paga un drammatico deficit di prestigio internazionale e galleggia tra furbizie e prepotenze in una logica di pura sopravvivenza». Se al Quirinale dovesse salire Berlusconi «l’effetto sarebbe devastante. Chi pensa a uno scenario simile, in realtà, prospetta un’ipotesi che porterebbe a un conflitto politico-istituzionale insostenibile.è giusto che si sappia: anche questo è uno degli elementi della posta in gioco delle prossime elezioni».


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