Mondo
“Il mio ricordo di Vik Utopia”
Un giornalista di Vita racconta la sua amicizia con il volontario ucciso a Gaza
Sul numero di Vita in edicola questa settimana un editoriale di Toni Capuozzo approfondisce i quesiti aperti dalla morte di Vittorio Arrigoni, il volontario ucciso dai salafiti a Gaza. Arrigoni aveva molti rapporti con la nostra redazione, in particolare con Daniele Biella che a una settimana dalla drammatica conclusione del caso, ha voluto scrivere queste righe in ricordo di quello che ormai considerava un amico.
"Hola hermano, il mio cuore non contempla altra alcova se non con chi resiste, con chi mai è destinato a soccombere". È finita con questa frase, scambiata qualche settimana fa via email, la mia amicizia terrena con Vittorio Arrigoni. Gli avevo chiesto cosa l'aveva spinto, una volta tornato in Italia dopo essere rimasto sotto i bombardamenti israeliani dell'Operazione piombo fuso, a ripartire di nuovo per la Striscia di Gaza.
La sua tremenda quanto assurda morte, per mano di ultrà dell'integralismo islamico, ha scosso migliaia di persone in tutto il mondo. Amici, tutti: da quelli che hanno avuto la possibilità di conoscerlo in carne e ossa, a chi, assiduamente, lo seguiva sul suo blog 'guerrillaradio', ottima fonte di informazione diretta anche per noi giornalisti. Lui reporter lo era diventato, raccontando sul manifesto o per altri quello che vedeva. Ma prima ancora era un volontario, che aveva scelto la sua 'missione laica' laggiù, nel luogo oggi più popolato e vessato del mondo. E volontario era, a fine 2005, quando venne picchiato dai soldati ed espulso da Israele per la sua attività nonviolenta pro-palestinesi: è in tale occasione che l'ho intervistato per la prima volta, proprio per 'Vita'. Da quel momento la curiosità ha preso il sopravvento: ho voluto approfondire la sua storia. Ho incontrato i suoi genitori (viviamo a pochi chilometri di distanza, in Brianza), ho letto e consigliato ad altri il suo libro, Restiamo umani, ho iniziato con lui un rapporto di amicizia a distanza, telefonico e via email, piuttosto intenso. Ricordo una terribile telefonata del 31 dicembre 2008: il tonfo sordo delle bombe israeliane sul porto di Gaza, e lui, tra paura e determinazione, che mi parlava delle sue corse sulle ambulanze a fare da 'scudo umano', in quanto internazionale, ai civili (“Ti accusano di farlo per Hamas”, lo provocai. “Non m'interessa chi specula, l'importante è salvare vite innocenti”, rispose senza filtri, come sempre). E ricordo, non senza commozione, l'invito che mi aveva rivolto nella nostra ultima telefonata: “tra poco sarò in Italia: finalmente, davanti a una birra, ci abbracceremo”. Vittorio Arrigoni, 'Vik Utopia', non ha fatto in tempo a tornare, l'hanno ammazzato prima. Ma l'abbraccio è avvenuto lo stesso. Simbolico. Durante la veglia nella sua Bulciago, assieme a centinaia di persone. Che proveranno, per quanto possibile, a raccogliere il suo testimone: quello di una persona divorata da una sete di pace che ti fa armare di megafono e pettorina fosforescente nell'accompagnare pescatori e contadini palestinesi in acque e campi confinanti con Israele. “Non sparate, soldati, qui non ci sono terroristi, solo gente che lavora per portare a casa il cibo per le proprie famiglie”, gridava Vik. Una volta c'è mancato poco: un proiettile l'aveva sfiorato. Per lui, il destino aveva in serbo ben altro.
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