Economia

Da Gucci la csr è fashion

Dai sacchetti al trasporto dei prodotti, il brand investe sulla responsabilità

di Lorenzo Alvaro

Paillettes, lustrini, modelle. Questo è quel che appare della moda. Ma sotto la superficie mondana lavorano grandi aziende, e quello che passa inosservato è l’impegno responsabile di alcune grandi firme. Prima ad impegnarsi, nel 2004, in un percorso di csr è stata Gucci. «Una decisione che abbiamo preso in autonomia», racconta Rossella Ravagli, csr manager dell’azienda, «seguendo la scia di quello che stava succedendo in Europa con l’uscita del Libro verde, che chiamava le imprese a prendere posizione».

Un percorso a piccoli passi, quello della maison fiorentina. «Per prima cosa ci siamo conformati agli standard di Social accountability SA8000, che coinvolgono tutti gli stakeholder, tutta la nostra filiera» sottolinea Ravagli. Una scelta che richiede partecipazione da parte del top management, dei dipendenti, dei fornitori, subfornitori e infine dei clienti. L’accordo siglato a Firenze con Confindustria Firenze, CNA Firenze, Filtea-Cgil, Femca-Cisl e Ugl ha dato vita ad un Comitato Paritetico Permanente. Un organo deputato proprio a stabilire le politiche di filiera in un ottica responsabile.

«Il secondo passaggio ci ha visto concentrati, nel 2009 e 2010, sull’impatto ambientale», continua Ravagli, «in particolare per quel che riguarda il packaging dei nostri prodotti».

Si passa così da materiali come la plastica e il laminato alla carta certificata FSC (Forest Standard Council), riciclabile al 100%. Inoltre tutto il materiale informativo stampato è stato sostituito con e-card e cataloghi elettronici, i vecchi manichini rimpiazzati con versioni in polistirolo antiurto rifinito con vernice ad acqua non inquinante, i trasporti su strada sono stati ridotti del 30% contemporaneamente al progressivo passaggio da veicoli Euro4 a Euro5, ed è stato ridotto l’impatto energetico nei 284 negozi con la sperimentazione di luci a Led.

Ma perché tutto questo impegno? Per Patrizio Di Marco, presidente e amministratore delegato di Gucci, «i marchi leader mondiali oggi vengono giustamente giudicati non solo in base alla qualità dei loro prodotti e servizi, ma anche per il modo in cui agiscono nella comunità e nei confronti dell’ambiente». I fatti sembrano dargli ragione: nel 2010 l’azienda è cresciuta del 3,8%.


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