Non profit

Migranti, morire di speranza

Strage in mare: impotenti i soccorritori, i racconti dei sopravvissuti,

di Franco Bomprezzi

Morti, a un braccio di mare dalla salvezza, dalla speranza. L’ecatombe di migranti scuote le coscienze dell’Italia, nei giorni in cui si cercano le regole per fronteggiare un fenomeno massiccio determinato dalla crisi dei paesi nordafricani. I giornali di oggi (non tutti) aprono su questo tema. Repubblica preferisce le dimissioni di Geronzi. Il Giornale relega la notizia in un box a centropagina. Vediamo insieme.

Il CORRIERE DELLA SERA apre con un titolo secco: “Ecatombe sulla rotta per l’Italia”. Una bella foto verticale sintetizza il dramma: si vede un poliziotto italiano che porta in salvo a braccia uno dei migranti naufragati. Il barcone con almeno 300 migranti a bordo si è ribaltato a 40 miglia da Lampedusa, nella notte fra martedì e mercoledì. Solo 53 sono stati tratti in salvo. I naufraghi sono somali, eritrei, sudanesi, nigeriani e camerunensi che vivevano in Libia, costretti a scappare perché presi di mira dalle milizie pro o contro Gheddafi. Un editoriale molto accorato di Claudio Magris: “Un dolore senza nome”. Ne leggiamo un passo: “Il mondo intero è un turpe, equivoco teatro di disuguaglianze; non di inevitabili e positive diversità di qualità, tendenze, capacità, doti, risorse, ruoli sociali, bensì di punti di partenza, di opportunità. È un’offesa all’individuo, a tanti singoli individui, che diviene un dramma anche per l’efficienza di una società. I profughi che arrivano alle nostre coste e alle nostre isole appartengono a questi esclusi a priori, a questi corridori nella corsa della vita condannati a partire quando gli altri sono quasi già arrivati e quindi perdenti già prima della gara. A parte il caso specifico dell’emergenza di queste settimane, con tutte le sue variabili— l’improvvisa crisi nordafricana, la confusione e mistificazione di pietà, ragioni umanitarie, interessi economici e politica di potenza, la lacerazione e l’impotenza o meglio quasi l’inesistenza di un’Europa con una sua politica — quello che è successo e succede a Lampedusa non è solo un grave momento, ma anche un’involontaria prova generale di eventi e situazioni destinati a ripetersi nelle più varie occasioni e parti del mondo, di migrazioni inevitabili e impossibili, che potranno aprire un abisso fra umanità, sentimenti umani e doveri morali da una parte e possibilità concrete dall’altra”. Alle pagine 2 e 3 la cronaca dell’ultima tragedia. Michele Farina spiega chi sono questi migranti: “Disperati in fuga dalla dittatura dell’ex «colonia primogenita»”. Leggiamo: “Non a caso eritrei e somali si ritrovano uniti nella fuga verso l’Europa: chi scappa da una dittatura e chi da un «Paese fallito» in perenne guerra civile. Asmara ha armato i clan dei guerriglieri islamici alla conquista di Mogadiscio per ostacolare la rivale Etiopia (che aveva mandato una forza militare per sostenere una parvenza di governo sotto l’egida dell’Onu). Per questo Afwerki si è preso le (blande) sanzioni delle Nazioni Unite. Mentre i suoi cittadini cercano la via dell’esilio. La strada passa attraverso la Libia di Gheddafi. Un viaggio che può durare anni”. Belle le pagine 4 e 5, curate dall’inviato Felice Cavallaro, che racconta le storie dei sopravvissuti: “Resteranno scolpite nel cuore di Tareke le facce dei cinquantatré sopravvissuti arrivati al molo Favarolo: «Muti, gli occhi sgranati gli uni sugli altri, alla ricerca di fratelli, amici, mariti, figli, compagni di viaggio che non ci sono più, inghiottiti nel Mediterraneo. Tutti a cercare con gli occhi, spenti, delusi» . E dire che Tareke, un eritreo di trent’anni arrivato pure lui con un barcone a Lampedusa e rimasto qui a lavorare per «Save the children» ne ha visti e ne ha assistiti tanti di naufraghi. Ma la commozione t’afferra la gola quando vedi comparire un ragazzo libico di 19 anni con una doppia pena dentro. «Ho perso mia moglie negli scontri di Tripoli, vagavo per cercarla senza riuscirci, correvo con nostro figlio in braccio, un anno appena. E con lui per cinque notti ho dormito per strada, rintanato fra le macerie. Finché ho trovato il passaggio in barca…» , racconta Ebbi, presentandosi come «giocatore della Al Jazira, la nostra squadra di calcio giovanile» . Ma su quel barcone ha perso la partita: «Ho avvolto il mio bimbo con un giaccone. Ho provato a tenerlo con me fra le onde, ma la creatura pesava come un masso…»”. E poi le storie di Peter Uko, 29 anni: “Dalle lacrime all’urlo di felicità «Ho trovato Mimì è ancora viva»”, Abdoul Karim, 46 anni: “Mi sono battuto per il Sudan. Non ho paura, sogno la Francia”, Asho Ayubomer, 21 anni: “La mamma-bimba vedrà nascere il suo piccolino «Stanno bene»”. Storie di migranti salvati, ma anche di chi li sta aiutando, con umanità e competenza, fra mille disagi. A pagina 6 il bilancio dei morti in mare, i senza nome: “Inghiottiti nel cimitero Mediterraneo «Ne vedremo molte di notti così»” scrive Goffredo Buccini. Questo è un passaggio: “I numeri in fila si ripetono e non danno il senso delle cose, trasmettono una monotonia oscena: agosto 2006, 10 morti e quaranta dispersi; settembre 2006, 17 morti tra cui cinque donne e tre bambini; e ancora nel 2007, nel 2008, altri numeri con una regolarità impressionante, con l’ipocrisia nostrana di chiamare «dispersi» quelli che non troveremo mai più. Si diventa statistiche quando non si ha la fortuna di diventare scoop e sopravvivere, come gli uomini tonno fotografati mentre stavano aggrappati disperatamente alle gabbie per la pesca delle tonnare. Ancora nel giugno di tre anni fa, di quei quaranta morti e cento dispersi su una barca partita da Zuwarah e affondata nel solito braccio di mare maledetto non ricordiamo neppure un nome”. Infine alle pagine 8 e 9 il focus sull’accordo con la Tunisia: “Il governo dice sì al «permesso temporaneo»”. Scrive Virginia Piccolillo: “Oggi è atteso il decreto del presidente del Consiglio che, secondo l’articolo 20 del testo unico dell’immigrazione, consentirà ai 25.800 immigrati giunti finora (meno i 2.300 provenienti dalla Libia) di circolare liberamente. E, almeno spera il governo citando autorevoli pareri, di varcare la frontiera. Per questo sarà importante il vertice bilaterale di Roma Berlusconi Sarkozy che dovrà allentare la tensione politica accumulata durante la gestione della crisi libica e tornata a salire dopo i respingimenti dei tunisini a Ventimiglia. «Tra tre o quattro giorni i tunisini potrebbero già avere i permessi in mano» ha annunciato ieri il ministro dell’Interno Roberto Maroni ai governatori convocati a Palazzo Chigi. La Cei chiede che si faccia anche il passo successivo e venga abolito il reato di clandestinità. «Che è penale e non amministrativo e il carcere non è il luogo più idoneo per gestire questi problemi» , fa notare monsignor Bruno Schettino”. A pagina 9 Fiorenza Sarzanini: “Dall’Italia fuoristrada e computer per avere rimpatri e pattugliamenti”. Le prime frasi: “Due giorni di tempo per consegnare «28 fuoristrada giapponesi e 14 motori Caterpillar per motovedette» . Dieci giorni per inviare «20 postazioni Pc fisse con tastiera in arabo, 20 postazioni Pc analogici fissi, 20 metal detector portatili destinati alla circolazione transfrontaliera» . Sono le condizioni immediate poste dalle autorità tunisine all’Italia e contenute nel «processo verbale» firmato due giorni fa dai ministri dell’Interno Roberto Maroni e Habib Hessid. È il testo in cinque punti che sarà illustrato questa mattina in Parlamento. Tra pagine dattiloscritte che confermano come l’intesa rappresenti in realtà una base di trattativa che adesso deve avere seguito con impegni concreti su riammissioni e pattugliamenti. Non a caso Maroni ha chiesto al premier Silvio Berlusconi di insistere con il capo del governo tunisino Beji Caid Essebsi per la consegna della lista con le modalità per i primi rimpatri. Ma — prevedendo nuovi sbarchi — ha anche proposto la nomina di un nuovo commissario per l’emergenza che si occupi di tutta Italia. E ha proposto il capo della Protezione civile Franco Gabrielli che potrebbe essere nominato dal prossimo Consiglio dei ministri”.

LA REPUBBLICA dedica la foto-notizia, ma non l’apertura, riservata a Geronzi, al dramma dei “Migranti, apocalisse in mare”. I servizi occupano le prime 5 pagine. “«Aiutateci, anneghiamo» e il mare di Lampedusa si trasforma in un inferno”. Riferisce dall’isola Francesco Viviano: «sedetevi, sedetevi» hanno continuato a esortare i marinai delle motovedette. Inascoltati: i migranti, in preda al panico, hanno continuato a passare da una parte all’altra della carretta, contribuendo al suo affondamento. «Il mare li inghiottiva piano piano, uno dietro l’altro. Era un inferno» commenta un giovane sottocapo di seconda classe, «alcuni erano riusciti ad acchiappare i salvagente che avevamo lanciato, altri le cime, ne abbiamo tirati su a fatica trenta, quaranta, cinquanta. Non li abbiamo contati, ma molti altri non c’erano più» La tragedie ieri, poco prima dell’alba. Il barcone era partito dalla Libia due giorni prima. Seguono alcune storie dei naufraghi. Il ragazzo che ha perso la fidanzata, il giovanissimo papà il cui figlio è stato trascinato in acqua, la donna all’ottavo mese di gravidanza riuscita a sopravvivere assieme al marito. «Grazie a Dio, non so come possiamo avercela fatta», spiega lui. Fra le reazioni, quella della Caritas: «Bisognerebbe aprire dei canali umanitari per far arrivare in sicurezza le persone, così eviteremmo queste tragedie. Non si può aspettare che si organizzino per proprio conto, affidandosi ai trafficanti, per poi vederli morire in mare». Se il fronte cattolico si mobilita, l’alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres, lancia un appello: «tutti i soggetti che pattugliano il Mediterraneo facciano di tutto per assistere le imbarcazioni in difficoltà». Sul fronte politico, c’è polemica sui permessi a tempo validi per l’espatrio che Maroni intende dare: una sanatoria mascherata, che non piace a Bossi e nemmeno ai francesi (potrebbe essere una forma di pressione in vista dell’incontro tra Berlusconi e Sarkozy, il 26 aprile prossimo). Due i commenti. Il primo di Carlo Petrini (“Un impegno di tutti a ospitare i migranti”) in cui il fondatore di Slow Food lancia un appello: visto che è impensabile fermare con i trattati le migrazioni, «scateniamo una reazione contro la paura e a favore di popoli che vivono le stesse disumane condizioni dei nostri nonni e bisnonni». L’altro è firmato da Adriano Sofri: “400 dollari per morire”. «Si sono aggiunti alle migliaia cui l Mediterraneo dei nostri anni fa da fossa comune. Senza un segno che distingua un profugo da un clandestino». Questi sono «eroi, dell’eroismo che si misura sul numero delle guerre dalle quali si è fuggiti».

IL GIORNALE della famiglia Berlusconi punta tutto sull’effetto e si concentra su quello che definisce una “Sveltina giudiziaria”. Espressione nobile con cui si lancia in prima il caso Ruby e relativo processo, occhiello, per chi non lo capisse: “Assalto al premier”. Editoriale dedicato all’abbandono di scena di Cesare Geronzi da Generali e più sotto l’ingresso della cedolare secca con titolo per sordomuti e non vedenti in funzione pre-elettorale: “Da oggi paghiamo meno tasse sugli affitti”. Tutto questo per dire che la notizia della strage al largo di Lampedusa merita, a detta di Sallusti & Co, un misero box, taglio medio: “Strage di immigrati, annegano in 250 e Malta sta a guardare”, i servizi relativi invece scorrono a pagina 14 e 15. Anche in questo caso, l’apertura di pagina 14 è dedicata all’intesa governo-regioni per la gestione dei flussi migratori: «La Tunisia collabora, ha assicurato Berlusconi nel corso della giornata a ministri e rappresentanti degli enti locali: ha solo bisogno di tempo e di mezzi». Infine, arriviamo alla strage del mare: “Annegano in 300 sotto gli occhi di Malta”. In assenza di comunisti all’orizzonte, ecco pronto il nemico contro cui scagliarsi, a cui scaricare livore e colpe. Manila Alfano scrive: «L’allarme arriva intorno all’una di notte. Da Lampedusa partono le motovedette delle Capitanerie di porto e un elicottero della Guardia di finanza. È una corsa contro il tempo, e lo sanno tutti. Un barcone con a bordo 350 persone è in avaria. Quaranta miglia per arrivare, per sfidare un mare in tempesta, le onde alte fino a tre metri, spira un vento di Maestrale a oltre 30 nodi. Troppo per riuscire a salvare tutti. L’allarme arriva prima a Malta, le acque territoriali non lasciano alcun dubbio. Sono quelle maltesi. Eppure a muoversi sono le forze italiane». E ancora: «La Valletta si giustifica: «L’Italia ha i mezzi più idonei. Sono più veloci dei nostri». Malta ha lasciato all’Italia. C’è il sospetto che i maltesi abbiano girato le spalle ai naufraghi». I precedenti non mancano, e l’articolo li ricorda onde evitare, e aggiunge: «Era il 2009 quando il ministro dell’Interno, Roberto Maroni consegnava all’Unione europea un dossier con tutte le scorrettezze compiute contro l’Italia. L’accusa era pesante ma giustificata da numeri e cifre: 3.670 interventi mancati da parte di Malta; omissioni di soccorso che all’epoca ci erano costati più di tre milioni di euro». Ma torniamo alla cronaca della tragedia di questi ore: «È un orrore continuo, una corsa contro il tempo. L’elicottero della Capitaneria di porto avvista una ventina di corpi. Sono i primi delle oltre 200 persone disperse che viaggiano a bordo del barcone di 13 metri. È la peggiore tragedia degli ultimi tempi. Tra le vittime ci sono tantissimi bambini. Erano partiti due giorni prima dalla Libia. Ogni biglietto quattrocento dollari. A bordo uomini donne e tanti bambini erano rimasti stretti uno accanto all’altro, senza spazio neppure per muoversi». Colpo di coda, gran finale: «Arrivano le precisazioni ufficiali, le Forze armate maltesi spiegano: «Ieri mattina il Centro di coordinamento ricerca e soccorso di Malta è stato coinvolto nel coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso». Le autorità maltesi avevano formalmente assunto il coordinamento delle operazioni. Ma davanti a tutti quei corpi in mezzo al mare le parole sanno solo di tentativi di difesa».

Un disegno di Vauro apre la prima pagina del MANIFESTO sotto il titolo d’apertura “Effetti collaterali”. Un disegno blu con corpi che galleggiano nel disegno intitolato “Föra da i ball”. «Più di 300 migranti dispersi in mare nel Canale di Sicilia tra Lampedusa e Malta. Una strage doppiamente inaccettabile, senza corridoi umanitari per chi fugge dalla Libia in fiamme, dove la Nato conduce una guerra “a protezione dei civili” e un blocco navale militare. L’Italia dà il via ai permessi temporanei, ma la Francia non ci sta» riassume il sommario che rinvia alle due pagine dedicate alla tragedia (la 2 e la 3) che si aprono con il titolo “Inghiottiti dal mare”. Sempre in prima pagina Annamaria Rivera firma l’editoriale “Un mare di guerra”. «Ancora cadaveri di uomini, donne e bambini che vanno a ingigantire l’immenso sepolcro che è divenuto il Mare Nostrum, un tempo mare che affratellava genti, costumi, culture, oggi confine blindato che separa e stermina, uccidendo quel che resta della nostra umanità. Le ultime duecentocinquanta vittime del Canale di Sicilia, eritrei e somali – che alcuni media tuttora, pur di fronte a una tale tragedia, osano chiamare “clandestini” o “extracomunitari” – non sono morte solo di proibizionismo, ma anche della nostra colpevole ingerenza “umanitaria” in Libia. (…) È da molto tempo che il nostro infelice Paese non prova più il sentimento che giusto vent’anni fa spinse gli abitanti di Brindisi, città di neppure 90mila abitanti, a rifocillare, soccorrere, ospitare nelle proprie case 27mila profughi albanesi. (…)» scrive prima di analizzare in rapida successione le «acque assai torbide» passate sotto i ponti in questi anni: dalla propaganda razzista alla «politica  mediocre». E ancora: «Plaudiamo, più o meno tardivamente, con più o meno entusiasmo, al vento di primavera che travolge i regimi dispotici dell’altra sponda e accettiamo il dispotismo grossolano degli idraulici di governo: quelli che parlano di esseri umani in cerca di fortuna o di salvezza nei termini di rubinetti da fermare e vasche da svuotare. (…)». A pagina 3 Giuliana Sgrena scrive nell’articolo “La fuga dei ragazzi della rivoluzione”: «Parlare di rimpatri quando a essere rimpatriati saranno solo cadaveri è ancora più raccapricciante. Anzi forse i corpi degli eritrei e dei somali in fuga dalla Libia non potranno nemmeno tornare nei loro paesi. Ma l’accordo vantato dal governo italiano riguarda la Tunisia. Non si tratta di un grande successo quello ottenuto dopo ore, giorni di trattative (…) L’esodo si fermerà dopo questo accordo? Probabilmente no, quando si vuole fuggire la via si trova. Da che cosa fuggono i tunisini? Non da una dittatura, che non c’è più, ma dalla mancanza di lavoro, di prospettive, di futuro. Lo troveranno in Europa? Probabilmente no, ma la speranza non si può soffocare con la triste realtà. E per i giovani tunisini che si sono immolati per ottenere un posto di lavoro non sarà certo il rischio di una traversata su una carretta del mare a fermarli. (…)» e conclude: «(…) Sostenere la rivoluzione vuol dire fare accordi economici che non rappresentino una strozzatura per la Tunisia, promuovere il turismo, visto che non c’è nessun rischio per chi vuole tornare sull’altra riva del Mediterraneo. E le forze democratiche dovrebbero dare visibilità ai protagonisti della rivoluzione: donne, giovani, sindacati. Aiutarli a portare avanti i loro obiettivi. Nella rivoluzione tunisina gli islamisti non c’erano ma la democrazia ha aperto loro spazi che stanno riempiendo con soldi e iniziativa politica, che usa il doppio linguaggio: moderato sul piano ufficiale e radicale con i militanti». 

IL SOLE 24 ORE naturalmente apre e dedica ampio spazio alla caduta di Geronzi. Spazio anche per Lampedusa con richiamo in prima e una pagina dedicata. In prima a lato sopra la foto di un immigrato portato in braccio da un militare “Affonda un barcone al largo di Lampedusa. Dispersi 250 immigrati”. La pagina dedicata apre con il titolone “Strage al largo di Lampedusa” e con un articolo a cura di Mariano Maugeri in cui il giornalista racconta l’accaduto. Mentre la Guardia Costiera italiana tenta l’abbordaggio della carretta del mare «il motore del barcone si spegne di colpo, le onde piegano la barca e i corpi scivolano in mare. È una scena di qualche minuto avvolta in un silenzio di morte. I corpi di giovani donne, uomini e bambini vanno giù come piombo mentre la barca affonda. Le urla sono strozzate dall’acqua di mare che a fiotti riempie le bocche. I marinai italiani ne tirano per i capelli 53, quelli capaci di nuotare o galleggiare. Almeno 200 di loro scompaiono tra le onde». È una strage «il pilota dell’elicottero della Guardia di finanza che raggiunge il luogo dell’affondamento ha solo la forza di dire: “I cadaveri galleggiano a gruppi, tra loro ci sono dei bambini”». In taglio più basso Roberto Turno firma “Migranti ospitati in tutte le regioni”. «Saranno ospitati da tutte le Regioni e poi potranno circolare col salvacondotto del permesso temporaneo di soggiorno in tutti gli Stati dell’area Schengen. Non più clandestini da rinchiudere in tendopoli e recinti, ma immigrati muniti dello status di rifugiati per motivi umanitari sotto l’ala della Protezione civile», spiega il giornalista. «Nella “cabina di regia” di ieri a palazzo Chigi, Governo, Regioni ed enti locali hanno riscritto e sottoscritto l’accordo del 30 marzo scorso, limandolo nella notte, nei fatti accogliendo tutte le perplessità di sempre dei governatori. Le spese dell’intera operazione passeranno attraverso un finanziamento “adeguato e capiente” presso la Protezione civile. Ma per i governatori dev’essere chiaro: non si potrà chiedere loro di applicare la “tassa sulle calamità naturali” nata pochi mesi fa col varo del decreto legge milleproroghe». Barbara Fiammeri invece guarda alla politica interna. Firma l’articolo “Bossi rassegnato: siamo costretti a fidarci di Tunisi” in cui spiega come «A poco servono le rassicurazioni del premier che ha annunciato il suo ritorno a Lampedusa sabato prossimo. Berlusconi ha spiegato che il governo maghrebino garantirà il controllo delle coste ma a Tunisi servono mezzi e «più tempo». Ma è proprio il trascorrere del tempo che fa più paura al Carroccio. Il leader della Lega è consapevole che la soluzione dello tsunami immigrazione è tutt’altro che vicina e teme le ripercussioni elettorali. La Lega non vuole rimanere alle corde ma non può neppure smarcarsi visto che è al Viminale, ovvero al leghista Maroni, che compete gran parte della gestione. Sarà infatti il ministro dell’Interno a dare oggi il via libera alla regolarizzazione degli oltre 20mila maghrebini sbarcati a Lampedusa, utilizzando il permesso temporaneo di soggiorno previsto dalla Bossi-Fini. Una scelta che il Senatur, sia pure obtorto collo, ha condiviso, sperando che in questo modo si «svuoti la vasca», ovvero che gli gli extracomunitari lascino l’Italia». In basso spazio al confronto tra le situazioni di Italia e Francia. Se da una parte, come scrive Marco Ludovico in “Permesso di 6 mesi per 14500 tunisini”, spiega che qui «arriva con un decreto del presidente del Consiglio il permesso di soggiorno per motivi umanitari», dall’altra le cose sono ferme. Marco Moussanet, corrispondente per la stampa a Parigi firma “Ammesso Oltralpe solo se identificati”. Una situazione complicata perché «Parigi sta infatti cercando proprio in queste ore di capire quali sono gli eventuali appigli giuridici all’interno del Trattato di Schengen e dell’accordo bilaterale siglato nel 1997 a Chambéry sulla libera circolazione per evitare di far entrare in Francia le migliaia di immigrati tunisini che nei prossimi giorni dovrebbero ricevere dalle autorità italiane un permesso di soggiorno temporaneo».

“Il mare se li prende. E noi?”. Così titola a tutta pagina AVVENIRE sul naufragio dei migranti. Nell’editoriale “L’insidia più estrema”  Giuseppe Anzani si interroga sull’ultima tragedia del mare e scrive: «Non è la traversata l’insidia estrema. È il rifiuto, è lo scoprirsi e il sapersi rifiutati, il dover muoversi nell’ombra, appoggiarsi a scafisti simili a moderni predoni, a prezzo d’essere spolpati all’osso; è il cercare approdo a nuove terre dove frattanto il pensiero dominante si ingegna a trovar modo di rintuzzarli … Fin che non si attua, sotto l’Onu, una governance mondiale dell’economia, con equilibrio di sviluppo per i popoli della terra, le migrazioni soltanto represse con il soccorso e la giustizia restano il campo di una “tortura della speranza”, dove il divario tra il sogno “umano” irresistibile e la realtà disumana inaccettabile è un’agonia che si prolunga, un naufragio che inghiotte la vita degli uomini più che i mari della morte». A pagina 3 un fotoreportage di Sergio Ramazzotti racconta il viaggio dei profughi dai campi ai barconi in Libia. Alla “strage degli innocenti nel Canale di Sicilia” sono dedicate altre quattro pagine con il racconto degli scampati e un’intervista al vescovo di Agrigento, monsignor Montenegro che afferma: «Questi morti pesano sulla coscienza di tutti. L’Occidente deve liberarsi dall’idea della colonizzazione e aiutare i popoli dell’Africa con progetti mirati di cooperazione internazionale». A proposito dell’accordo con la Tunisia, in base al quale verranno concessi 20mila permessi temporanei ai tunisini già in Italia (mentre i nuovi arrivati saranno rimpatriati) AVVENIRE riporta il commento di Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas: «Si doveva fare prima. Ciò che si sta verificando è in pratica la conseguenza di decisioni non assunte precedentemente. La grande questione è come gestire, in un momento di grande crisi umanitaria in Libia, migliaia di persone che da anni aspettano di arrivare in Europa perché perseguitati, quindi richiedenti asilo. Esistono strumenti umanitari, che consentono di redistribuire i profughi in Europa, tramite procedure già codificate». Un taglio basso informa che “Tra governo e Regioni si è trovata l’intesa”: La Russa annuncia “Le caserme a disposizione”. Oggi il decreto sul permesso di soggiorno ai tunisini sbarcati. «Il sì delle Regioni ad accollarsi al Nord  come al Sud una quota d migranti», scrive Luca Liverani «arriva quando il governo assicura che non andranno in tendopoli».

Secondo un calcolo di “Fortress Europe” sono 4249 le persone inghiottite in questi ultimi anni dal Canale di Sicilia, lungo la rotta fra Tunisia, Libia, Egitto e Malta, che quasi mai interviene per soccorrere. Lo scrive LA STAMPA in un servizio a corredo dell’ampio reportage da Lampedusa che apre l’edizione di oggi. «A Lampedusa nessuno crede più che il naufragio del giorno prima possa essere considerato “l’ultima tragedia”. Ormai tutti sanno che ce ne saranno altre» scrive Francesco Licata, «che i commercianti di uomini non esiteranno a caricare barche destinate al macero, all’ultimo viaggio, con una “merce” umana esposta a un incertissimo destino». A piede del reportage da Lampedusa un’intervista di Francesca Paci a monsignor Nozza, direttore della Caritas, che ha offerto 3mila posti in tutta Italia per l’accoglienza dei profughi. Circa i possibili interventi per evitare tragedie come quella di ieri dice: «Immagino dei percorsi facilitati, fasce di territorio protette, una specie di corridoi umanitari gestiti dalla comunità internazionale che servano a controllare il movimento delle persone ma al tempo stesso a proteggerle da abusi a violazioni dei diritti. Insomma, i 250 migranti naufragati ieri non dovrebbero poter partire allo sbaraglio con quel mare e in quelle condizioni».
   
E inoltre sui giornali di oggi:

VOLONTARIATO
IL MANIFESTO – A pagina 14 si parla di sport e volontariato nell’articolo “I volontari, il motore dello sport sociale”, scrive Pasquale Coccia: «(…) In Italia il volontariato costituisce una fetta importante del mondo sportivo. A differenza degli altri paesi europei, nel nostro è sempre mancato un ministero dello sport in grado di avviare politiche sportive nel sociale. Dal dopoguerra in poi, il Coni ha gestito le varie discipline sportive. Parallelamente allo sport ufficiale e di vertice, e in assenza di qualsivoglia politica sociale nel campo dello sport, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso si è formato un tessuto capillare di associazioni e società sportive di base, che grazie anche all’impegno volontario di migliaia di persone, ha consentito nel corso degli anni ad alcuni milioni di cittadini italiani di praticare sport a prezzi contenuti e al di fuori di quei centri fitness, che ci vorrebbero con i muscoli ipertrofici e abbronzati tutto l’anno dalle lampade. (…) Nel nostro Paese esistono 100mila società sportive delle quali ben 80.000 fanno parte di quel mondo non profit, che risponde al volontariato sportivo, un fenomeno poco considerato dalle istituzioni e dallo sport ufficiale. E’ una realtà ai margini, quella alimentata dai volontari dello sport, che non gode di finanziamenti governativi,ma che impegna a vari livelli circa un milione di persone, le quali consentono ad altre di fare sport. Il loro impegno è pari a 225.000.000 di ore di volontariato per un valore complessivo annuo di 3,4 miliardi di euro (calcolando una retribuzione di 15 euro a ora). Tra loro ci sono anche gli enti di promozione sportiva, sorti nel secolo scorso in tempi di guerra fredda quale emanazione dei partiti ed espressione di contrapposizioni anche nel campo dello sport, come Uisp e Csi, il primo braccio sportivo del Partito comunista italiano e il secondo dell’asse Vaticano-Dc (…)». Segue poi un elenco di società e sigle «poco conosciute» tredici società sportive di alcune si sottolinea l’affiliazione politica o d’area che vengono definite «sigle poco conosciute, emanazione delle forze politiche in Parlamento, e il Coni per tenersele buone, e garantirsi “autonomia” dalla politica, li finanzia per un totale di 18 milioni di euro all’anno (…)».

SERVIZIO CIVILE
AVVENIRE – “Servizio Civile solo per un giovane su quattro” è il titolo a pagina 12 sul decennale in affanno per l’istituto a dieci anni dall’approvazione della legge 64.

CONCILIAZIONE
ITALIA OGGI – “Si litiga sulla conciliazione” il titolo che apre l’inserto La legge e la giustizia, anticipato in prima pagina. A tema, la scelta di alcuni ordini di avvocati locali di “combattere da soli la battaglia contro la conciliazione obbligatoria, smarcandosi quindi sia dalle iniziative di protesta indette dall’Organismo unitari dell’avvocatura, sia dall’azione istituzionale intrapresa dal Consiglio nazionale forense nei confronti del Governo”. Il risultato che si prospetta? “Un tutti contro tutti per un unico obiettivo: cambiare le regole della nuova legge entrata in vigore lo scorso 21 marzo”.

FAMIGLIA
AVVENIRE – “Modena punta sulla maternità. Al via un Fondo” è il titolo di pagina 12 sul via al progetto per le madri in difficoltà. Modena è uno dei primi enti locali che ha istituito un Fondo specifico per l’assistenza alle maternità difficili, impegnando per il 2011 30mila euro. Intervista a Ermes Rigon, presidnete del Forum delle associazioni familiari dell’Emilia Romagna.

ADOZIONI
ITALIA OGGI – A pag. 40: “Adozioni col filtro. Stop (alle adozioni) con parenti entro il IV grado”. Spiega l’articolo, riportando un pronunciamento della Cassazione con sentenza del 28 gennaio 2011, n. 2102, che “deve escludersi lo stato di abbandono del minore in presenza di parenti entro il quarto grado che si dichiarino disponibili a prendersene cura, pur in assenza di pregressi rapporti tra gli stessi ed il minore”.

GERONZI
LA REPUBBLICA – Ampio spazio alle dimissioni del presidente (è il titolo forte in prima: “Generali, la caduta di Geronzi”). Quattro pagine interne per spiegare che si tratta, come scrive Massimo Giannini, «di un cambio di regime. Sul piano politico la fine del “geronzismo” coincide con il declino del berlusconismo… Le dimissioni forzate di Geronzi sono un colpo mortale per quel sistema di potere, cattolico-apostolico-romano che attraverso l’asse Geronzi-Letta ha blindato il cavaliere».

IL SOLE 24 ORE – Grande spazio è dedicato dal quotidiano economico a Geronzi. L’editoriale del direttore Roberto Napoletano che scrive «È saltato il tappo, i mercati plaudono. Cesare Geronzi non ha evidentemente i cromosomi giusti per guidare Generali, uno dei pezzi più pregiati della finanza italiana, e come l’impiegato Kafka ha visto cadere il suo “castello” in meno di un anno. Nel dna del banchiere romano ci sono il credito e le operazioni di sistema presunte o reali, non ci sono le polizze. C’è un’idea del mondo degli affari e delle relazioni che, alla prova dei fatti, si è rivelata incompatibile con azionisti di peso della compagnia ed è stata bocciata dalla comunità degli investitori. Il responsabile passo indietro di Geronzi sana una discontinuità clamorosa in una lunga e proficua azione di collaborazione “gemellare” tra Generali e Mediobanca e mette in discussione il perimetro di uno spartiacque storico nella finanza italiana». Intervengono anche Carlo Azeglio Ciampi con “Quegli anni in Via Nazionale” e Luigi Zingales che invece firma “Ha prevalso l’indipendenza”.  


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