Volontariato

Sette giorni di Nasdaq per un miliardo di vite

Il G8 sotto i riflettori ha fatto tante promesse. Ma a riflettori spenti ha lasciato i Paesi poveri a mani vuote

di Carlotta Jesi

Più profondo, più veloce, più efficace. E, naturalmente, a prova di inflazione. Un super eroe del Debito, insomma. Che ci credessero davvero oppure no, è così che, undici mesi fa, i Paesi più industrializzati del mondo riuniti a Colonia per l?ultimo G8 del Millennio presentarono al mondo l?Hipc II. Il loro nuovo programma per l?abbattimento del debito estero, in realtà una versione rivista, alleggerita e corretta delle misure varate nel 1996 da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale per aiutare le nazioni più fortemente indebitate, che con uno stanziamento pari a 100 miliardi di dollari entro la fine del 2000 avrebbe liberato dal debito i 36 Paesi più poveri del mondo. Avrebbe, giusto. Perché a quasi un anno dal Summit di Colonia, solo Bolivia, Uganda, Mauritania, Mozambico e Tanzania hanno beneficiato dell?intervento di ?Mister Debt?. «Il resto», ha dichiarato al mondo Kofi Annan il 14 marzo scorso, «aspetta ancora che l?aiuto più profondo, più veloce e più ampio promesso un anno fa si materializzi». Ma siamo ancora all?inizio del 2000! Forse ce la possiamo fare, viene da dire pensando agli oltre 5 milioni di miliardi di lire che, tutti insieme, i Paesi in via di sviluppo devono al mondo ricco e industrializzato. Una cifra pazzesca, certo. Ma ben poca cosa per i grandi della terra se si pensa che 5 milioni di miliardi è esattamente quanto il Nasdaq ha perso dal 3 al 10 aprile speculando sui titoli tecnologici. Possibile che i Paesi più industrializzati del mondo non trovino il modo di rinunciare a un credito che compromette il futuro di oltre 1 miliardo di persone e che, evidentemente, non è indispensabile ai loro cittadini pronti a giocarselo in borsa in una sola settimana? Sì, purtroppo. Già, perché l?Hipc II, unica vera misura contro il debito varata dai governi, fa acqua da tutte le parti e i suoi ideatori continuano a ricevere soldi dai Paesi indebitati che in diretta televisiva dichiarano di aver ?salvato?: delle 5 nazioni che a fine aprile sono state ammesse a beneficiare del programma, sei in meno di quelle stimate dal Fondo Monetario Internazionale, a nessuna è stato effettivamente cancellato il 100% del debito estero. Possibile? Sì: la media di riduzione del debito dei cinque Paesi è appena del 40% e prima del 2002 nessuna delle nazioni in questione avrà una riduzione totale del debito. Percentuali davvero poco soddisfacenti di fronte a cui viene da sperare che almeno siano numerosi i Paesi coinvolti nel programma. E invece no, sbagliato anche questa volta: la Banca Mondiale ha da poco annunciato che invece degli iniziali 36, saranno probabilmente solo 19 o addirittura 14 i Paesi che avranno una riduzione del debito entro il 2000. Ma cosa aspettano i governi internazionali a fare qualcosa di concreto? Forse un nuovo summit e nuove telecamere. In queste occasioni, infatti, gli annunci si sprecano. Lo abbiamo appena visto a Washington: il Giappone, un anno dopo i colleghi del G8, ha annunciato che rinuncerà al 100% dei suoi crediti con i Paesi Poveri; Spagna, Canada, Svizzera e Giappone dicono che aumenteranno i loro contributi al Fondo internazionale Hipc, da cui attinge la Banca Mondiale, rispettivamente di 104, 85, 58 e 200 milioni di dollari; tutti i Paesi partecipanti al Summit promettono di creare un nuovo comitato che monitori i progressi dell?Hipc. «I responsabili di questi ritardi? Dalla Banca Mondiale che nonostante sia garantita per oltre 180 miliardi di dollari ha paura di andare in rosso cancellando il debito di Paesi altamente indebitati e di perdere quindi la sua reputazione di Istituto di Credito in piena salute, all?Unione europea che rifiuta di devolvere alla campagna contro il debito dei fondi avanzati dal suo Fondo per lo Sviluppo prima che l?America faccia la sua parte»», spiegano da Londra a Jubilee2000. Risultato: mentre i creditori litigano su come aiutare i Paesi altamente indebitati, 41 secondo il programma Hipc I e 52 per le campagne di abbattimento del debito che tra le nazioni in grave pericolo inseriscono anche Paesi come Bangladesh e Nigeria indebitate per 1637 e 30315 milioni di dollari, i diretti interessati continuano a morire pagando un debito che si tramandano da generazioni. E, purtroppo, cresce a dismisura: secondo il World Development Fund, dal 1980 al 1997 il debito totale dei Paesi poveri è aumentato del 280%, più o meno il 7,4% l?anno. Come combattono questa ingiustizia i Paesi in via di sviluppo? «Con un Club dei debitori dell?Avana», ha dichiarato da Cuba il capo dello Stato nigeriano Olusgun Obasanjo in qualità di presidente del Summit del G-77, il vertice dei Paesi più minacciati dalla globalizzazione che, spiega provocatorio Obasanjo, «forse come Club potrà farsi ascoltare dall?esclusivo Club di Parigi». Il gruppo di 17 Paesi industrializzati che dal 1956 negozia con i Paesi poveri il loro debito bilaterale cercando nuove soluzioni per la ristrutturazioni dei debiti. O almeno questo dovrebbe fare. Dovrebbe, ancora il condizionale. Già, perché non sempre accade: se il 14 aprile dopo essere stato circondato da una folla di organizzazioni non profit e volontari il Club ha annunciato di voler cancellare immediatamente il debito estero della Tanzania (390 milioni di dollari), qualche settimana fa ha praticamente ignorato gli appelli che l?ex first lady del Mozambico Graca Machel e il presidente del Paese Joachim Chissano hanno lanciato alla comunità internazionale perché cancellasse il debito della loro nazione in ginocchio per le inondazioni di marzo. No, ha risposto il Club: al Mozambico si può concedere al massimo una sospensione. Nemmeno una nuova promessa come quella che Francia e Germania hanno fatto al vertice Europa-Africa del Cairo lo scorso 4 aprile: vogliamo cancellare il 100% del debito dei Paesi Poveri. «Sul come, ovviamente, nessuna indicazione specifica», hanno contestato gli attivisti di Jubilee2000. Che una proposta per smuovere questa situazione di stallo ce l?hanno: instaurare regole eque per la gestione dei debiti internazionali attraverso un arbitrato trasparente e indipendente affidato alle Nazioni Unite. L?unica alternativa, per il momento, sembra essere quella che Noam Comsky e l?economista Karen Lissaker dagli Usa suggeriscono ai governi del mondo: “Secondo una definizione coniata dagli Stati Uniti quando un secolo fa cancellarono il debito di Cuba con la Spagna, ogni debito imposto con la forza è un ?debito odioso?. Un principio che oggi è riconosciuto dal diritto internazionale: per cancellare in un istante il debito della maggio parte dei Paesi poveri basterebbe applicare la legge”.


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