Politica

Al voto per (non) cambiare

Il paese decide sulle riforme istituzionali. Da un lato i vecchi partiti e dall'altro i giovani di piazza Tahrir

di Redazione

L’Egitto del dopo Mubarak si prepara al voto. Sabato 19 marzo 40 milioni di persone (circa metà della popolazione) sono chiamate alle urne per esprimersi su un pacchetto di dieci emendamenti alla Costituzione, riguardanti in particolare la durata del mandato presidenziale, le prerogative del capo dello Stato e le modalità per candidarsi.

Con le modiche della Costituzione il futuro presidente potrebbe essere eletto solamente per due mandati di quattro anni (con Mubarak non vi era alcun limite alla rielezione e il mandato durava 6 anni); inoltre il presidente eletto dovrebbe obbligatoriamente nominare un suo vice.

Altri emendamenti renderebbero più semplice la candidatura alla carica di presidente, ristabilirebbero il controllo giudiziario sulle elezioni e renderebbero più difficile per un presidente mantenere uno stato di emergenza.

Intaccato, però, l’articolo 2 della Costituzione, molto contestato dalla comunità cristiana – come sappiamo i coopti sono il 10 per cento della popolazione – che stabilisce che la fonte principale della Costituzione è la sharia islamica, ovvero la legge islamica, sul genere di quella che è in vigore in Arabia Saudita. Ma non solo. 

I rivoluzionari non sono contrari a una riforma costituzionale ma chiedono più tempo per poter analizzare e discutere sulle modifiche alla Costituzione proposte dal Consiglio Militare Supremo. I movimenti che hanno sostenuto i 18 giorni di rivolta denunciano il fatto che le modifiche sono state redatte in appena 10 giorni è il tempo per un dibattito pubblico è stato di appena tre settimane.

I due potenziali candidati alla presidenza, il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, e l’ex capo dell’agenzia dell’Onu per l’Energia Atomica, Mohamed ElBaradei, vogliono che una nuova costituzione venga riscritta da zero prima delle elezioni.

Le due maggiori forze politiche del Paese invece – il Partito Nazionale Democratico di Mubarak e i Fratelli musulmani – spingono la cittadinanza a votare in favore delle riforme costituzionali paventando i rischi di un vuoto di potere troppo lungo. Alcuni analisti, però, sostengono che questi ultimi preferiscono avere un vantaggio nelle eventuali elezioni anticipate perché sono già strutturati come partiti politici rispetto ai movimenti rivoluzionari che devono ancora organizzarsi.

Nel caso in cui vincesse “no” e quindi le modifiche proposte vengano respinte respinte, la Costituzione dovrà essere riscritta totalmente. Fonti della sicurezza sostengono che questo farebbe slittare le elezioni parlamentari e presidenziali rispettivamente a dicembre e inizio del 2012. Nel frattempo, il Consiglio Militare Egiziano continuerebbe a guidare il Paese con un decreto costituzionale.


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