Politica

Ecco il discorso di Napolitano alla Camera

L'intervento del presidente della Repubblica scaricabile online

di Redazione

“Sento di dover rivolgere un riconoscente saluto ai tanti che hanno raccolto l’appello a festeggiare e celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, a tutti i cittadini che mi hanno rivolto pensieri sinceri; a istituzioni, Regioni e Province, e innanzitutto municipalità, sindaci anche e in particolare di piccoli Comuni, a conferma che quella è la nostra istituzione di più antica e radicata tradizione storica, fulcro dell’autogoverno democratico e di ogni assetto autonomistico”. Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Montecitorio alla cerimonia per i 150 anni dell’Unità d’Italia.

In un passaggio il capo dello Stato ha sottolineato che nonostante l’Italia fosse divisa, con gli italiani che venivano descritti ‘come stranieri gli uni agli altri’, per Giuseppe Mazzini era “indubitabile” che una nazione italiana esistesse “e che non vi fossero ‘cinque, quattro, tre Italie, ma una Italia’”. “Fu dunque la consapevolezza di basilari interessi e pressanti esigenze comuni, e fu, insieme, una possente aspirazione alla libertà e all’indipendenza – ha aggiunto – che condussero all’impegno di schiere di patrioti nelle battaglie per l’unificazione”.

L’unificazione italiana, ha scandito, “ha rappresentato un’impresa storica straordinaria, per le condizioni in cui si svolse, per i caratteri e la portata che assunse, per il successo che la coronò superando le previsioni di molti e premiando le speranze più audaci”. “Non c’è discussione, pur lecita e feconda, sulle ombre, sulle contraddizioni e tensioni di quel movimento – ha proseguito Napolitano – che possa oscurare il dato fondamentale dello storico balzo in avanti che la nascita del nostro Stato nazionale rappresentò per l’insieme degli italiani, per le popolazioni di ogni parte, Nord e Sud, che in esso si unirono”.

“Oggi dell’unificazione celebriamo l’anniversario – ha detto Napolitano – vedendo l’attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un’evoluzione in senso federalistico – e non solo nel campo finanziario – potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale. E’ tale rafforzamento, e non il suo contrario, l’autentico fine da perseguire”.

“Non ha nulla di riduttivo – ha rimarcato quindi il presidente della Repubblica – il legare patriottismo e Costituzione, come feci in quest’Aula in occasione del Sessantesimo anniversario della Carta del 1948. Una Carta che rappresenta tuttora la valida base del nostro vivere comune, offrendo – insieme con un ordinamento riformabile attraverso sforzi condivisi – un corpo di principii e di valori in cui tutti possono riconoscersi perché essi rendono tangibile e feconda, aprendola al futuro, l’idea di patria e segnano il grande quadro regolatore delle libere battaglie e competizioni politiche, sociali e civili”.

Inoltre, guardando alla “cruciale” questione meridionale, “vale il richiamo a fare del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia l’occasione per una profonda riflessione critica, per quello che ho chiamato un ‘esame di coscienza collettivo'”. “Un esame cui in nessuna parte del Paese – ha ammonito – ci si può sottrarre, e a cui è essenziale il contributo di una severa riflessione sui propri comportamenti da parte delle classi dirigenti e dei cittadini dello stesso Mezzogiorno”.

Quanto al rapporto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica “si manifesta oggi come uno dei punti di forza su cui possiamo far leva per il consolidamento della coesione e unità nazionale. Ce ne ha dato la più alta testimonianza il messaggio augurale indirizzatomi per l’odierno anniversario – e lo ringrazio – dal Papa Benedetto XVI”. “Un messaggio – ha aggiunto il capo dello Stato – che sapientemente richiama il contributo fondamentale del Cristianesimo alla formazione, nei secoli, dell’identità italiana, così come il coinvolgimento di esponenti del mondo cattolico nella costruzione dello Stato unitario, fino all’incancellabile apporto dei cattolici e della loro scuola di pensiero all’elaborazione della Costituzione repubblicana, e al loro successivo affermarsi nella vita politica, sociale e civile nazionale”.

Concludendo il suo discorso a Montecitorio Napolitano ha quindi affermato: “Reggeremo – in questo grande mare aperto – alle prove che ci attendono, come abbiamo fatto in momenti cruciali del passato, perché disponiamo anche oggi di grandi riserve di risorse umane e morali. Ma ci riusciremo ad una condizione: che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità”.

“Non so quando e come – ha proseguito il capo dello Stato – ciò accadrà; confido che accada; convinciamoci tutti, nel profondo, che questa è ormai la condizione della salvezza comune, del comune progresso. Valgano le celebrazioni del Centocinquantenario a diffondere e approfondire tra gli italiani il senso della missione e dell’unità nazionale: come appare tanto più necessario quanto più lucidamente guardiamo al mondo che ci circonda, con le sue promesse di futuro migliore e più giusto e con le sue tante incognite, anche quelle misteriose e terribili che ci riserva la natura. Viva la Repubblica – le ultime parole di Napolitano – viva l’Italia unita”.


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