Politica

«Un delirio di onnipotenza»

Marco Revelli su Vita in edicola da domani sul dramma in Giappone

di Marco Revelli

Di fronte alle terribili immagini che in questi giorni arrivavano dal Giappone, non sono riuscito a sottrarmi a una riflessione. Il primo giorno, quello dello tsunami provocato dal catastrofico terremoto, mi ha colpito il senso estremo di fragilità che restituivano quelle immagini. Quella massa di acqua nera che portava via tutto.

Le cose umane, le barche, le strade, le case, le autovetture, apparivano del tutto irrilevanti: fuscelli, granelli di polvere di fronte alla forza immensa e cieca della natura. Chi non ha provato il senso di finitezza guardando quelle navi triturate nei gorghi, quelle case che si scioglievano sotto la massa d’acqua e venivano portate via come fossero giocattoli di bambini dentro un ruscello mostruoso per proporzioni e colori. E poi la consapevolezza che lì c’erano degli uomini e delle donne, migliaia. Il senso della fragilità e della finitezza che colpiva il cuore di una società ipertecnologica e iperorganizzata, probabilmente la più tecnologica del mondo e la più preparata a questo tipo di eventi. Sembrava che l’unica barriera che l’uomo può opporre alla propria finitudine fosse il senso della dignità personale, l’autocontrollo e la solidarietà di fronte ad una natura che appare indifferente al destino umano.

Il giorno dopo lo tsunami ecco lo shock nucleare che invece parlava del delirio di onnipotenza che stava dietro la decisione folle di seminare 55 reattori nucleari nel Paese più sismico del mondo. Come se dietro quella decisione umana e politica si rivelasse questa follia che non riesco a definire se non come delirio di onnipotenza. Ecco, bisognerebbe ragionare su questo contrasto tra la fragilità di fronte alla

natura e il senso di onnipotenza di chi crede di poter dominare la natura attraverso la tecnica. Perché proprio lì mi è sembrato di cogliere una drammaticissima metafora di quello che è il nostro mondo, la nostra contemporaneità. È toccato al Giappone fare da testimone a quella che è una condizione tragica del nostro presente. Abbiamo costruito con la nostra presunzione, le nostre mani e attraverso la nostra tecnica un pianeta fragilissimo. Questo pianeta nel quale le interdipendenze ci rendono vulnerabili a qualunque evento avvenga in qualunque punto del pianeta.

Mai come oggi il pianeta è stato tanto fragile e noi, uomini, mai così tanto presuntuosi. Fragile dal punto di vista fisico, dal punto di vista dell’economia che abbiamo costruito. Fragile per la distruttività delle armi che abbiamo prodotto. Fragile per le immense ingiustizie che abbiamo disseminato, per le disuguaglianze vertiginose. E dentro a questo pianeta fragile i nostri deliri di onnipotenza continuano e paiono senza freni. L’idea folle di poter sfidare ogni limite, di poter

protrarre all’infinito una crescita che non è più possibile, il pretendere di dominare questa natura che appena si scuote anche solo nella sua superficie ci schiaccia. E tuttavia continuiamo a sentirci signori dell’universo! Ecco in questo contrasto tra fragilità e senso di onnipotenza io vedo l’estremo pericolo che noi corriamo, tutti. Non lo so se la tragedia del Giappone riuscirà a farci risvegliare. Se almeno

da questa catastrofe possa nascere un sussulto di consapevolezza. La consapevolezza di essersi spinti sulla strada sbagliata. O se si continuerà in questa subalternità all’effimero della cronaca per cui si è pronti ad archiviare anche le cose più terribili se si intravede la possibilità che la normalità mercantile possa ripartire.

Il mio invito è a riflettere e a lavorare sulla consapevolezza della nostra finitudine che non può essere riscattata con la potenza tecnologica. Il Giappone non è

Chernobyl e ci racconta un’altra storia, ci fa un altro invito. Non siamo all’errore umano, non siamo alla tecnologia decotta. Siamo nel punto più alto di eccellenza tecnologica e organizzativa. E tuttavia anche lì questa fallacia umana ha aperto la strada ad una catastrofe. Io credo che dal punto di vista del significato sia peggio di Chernobyl: comunque vadano le cose nelle centrali nucleari, la catastrofe giapponese ci dice che siamo vulnerabili laddove crediamo di esser più forti. E questo dovrebbe farci riflettere. E farci riconoscere che c’è una dimensione dell’uomo che non può essere travalicata.

Leggi il numero speciale di VITA in edicola da domani sul dramma in Giappone (online per i soli abbonati).

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