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Libia, le paure dell’Europa

Guerra civile a Tripoli, intanto l'Italia è in crisi con l'Ue

di Franco Bomprezzi

La settimana dominata dalla rivolta contro Gheddafi trova anche oggi sui giornali un’ampiezza adeguata alla gravità della crisi e alla complessità delle conseguenze, politiche, sociali ed economiche. Intanto a Tripoli si vivono ore di violenza e di terrore.

“Tripoli alla battaglia finale”, apre così il CORRIERE DELLA SERA, che pone molta attenzione alla questione di politica internazionale, ossia all’atteggiamento dell’Unione Europea e dell’Italia, non solo rispetto all’ipotesi di un intervento umanitario a soccorso della popolazione in Libia, ma anche per i timori di un’ondata migratoria dalle conseguenze pesanti per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. A Tripoli riesce ad arrivare uno degli inviati del quotidiano milanese, Fabrizio Caccia: “Aggredito nella città della rabbia” è il titolo in prima, mentre il reportage è a pagina 3. Sette giornalisti italiani vengono fermati a un posto di blocco. Leggiamo: “Così, ci aprono a brutto muso le portiere e ci fanno uscire spintonando. Imbracciano i fucili e sembrano animati da pessime intenzioni. «Sono italiano» , dico allora io semplicemente, mostrando il passaporto col visto e accennando un sorriso di amicizia. Alla parola «italiano» , però, uno di loro ha un’esplosione terribile di rabbia, grida qualcosa in arabo e mi colpisce al volto, facendo volare via gli occhiali (intatti) e lasciandomi sordo per un po’ all’orecchio destro. Poi mi frugano nelle tasche, mi prendono il telefono satellitare e mi invitano ad entrare in un gabbiotto al lato della strada, dove davvero temo che possa concludersi il pestaggio. Per fortuna, però, grazie anche all’intervento dei miei colleghi che riescono con pazienza a spiegare al gruppo la nostra completa inoffensività, lentamente la matassa si sbroglia, ci vengono restituiti soldi e satellitari e il ragazzo che mi ha colpito mi tende la mano in segno di scuse. Le accetto, naturalmente. E stringo la sua. Ma è il segno di una città ormai rabbiosa, con i nervi scoperti, che si sente accerchiata e difende il suo Raìs da tutto e tutti”. Guido Olimpio, a pagina 5, da esperto, va dietro le quinte di questa guerra non dichiarata: “Un’armata di pretoriani per schiacciare i ribelli”. Intanto Pierluigi Battista fa le pulci all’indignazione mondiale: “Da Londra al Palazzo di Vetro, l’ipocrisia degli amici diventati «ex»”. Giuseppe Sarcina, a pagina 6, affronta il tema delle migrazioni: “L’esodo degli stranieri disoccupati”. Fiorenza Sarzanini, a pagina 9, si occupa delle misure predisposte in Italia: “Profughi, Italia avanti da sola. Sì ai centri senza vigilanza”. E Massimo Franco, nella sua nota a pagina 8, coglie il rischio politico della situazione: “E’ come se le istituzioni della Ue osservassero il Mediterraneo con un distacco ai limiti del cinismo; e fossero tentate di scaricare strumentalmente sull’Italia un problema che toccherà tutti. Il risultato è quello di esporre il governo di Roma e degli altri Paesi del fronte sud, ad un’emergenza dai contorni destabilizzanti”. Infine, last but not least, l’incubo energetico: a pagina 11 lo scenario del petrolio. “La sfida di Putin: la vostra energia costerà di più”, scrive Luigi Offeddu, e sotto, un’interessante intervista di Stefano Agnoli a Faith Birol, capo economista dell’Agenzia internazionale dell’energia, cittadino turco che vive a Parigi: “Birol: sul petrolio l’Italia rischia una bolletta da 50 miliardi”.

LA REPUBBLICA va in trincea. A prendere parola lo stesso direttore, Ezio Mauro, titolo “Con la libertà”, appena sotto al titolo di apertura in prima: “I ribelli marciano su Tripoli”. Scrive Mauro: «È umiliante che con le navi da guerra nel Mediterraneo il premier tenga governo e Parlamento in scacco per studiare cinque misure di salvacondotto dai suoi processi: prescrizione breve, conflitto di attribuzione, improcedibilità, processo breve, più riforma della Consulta». Alla vicenda LA REPUBBLICA dedica da pagina 2 a pagina 13. Commenti di Bernardo Valli e Renzo Guolo, ma anche articoli di Daniele Mastrogiacomo e la cronaca degli ultimi eventi scritta dai tre inviati, Pietro Del Re, Vincenzo Nigro e Giampaolo Cadalanu. Il corrispondente da Berlino, Andrea Bonanni, fa invece il punto su quanto si sta decidendo a Bruxelles: “Intervento umanitario, si muove l’Europa. Gli Usa: “Non esclusa l’opzione militare”», da cui si evince un certo scetticismo dei paesi nordici sulle cifre allarmanti con cui Maroni ieri ha chiesto soldi e condivisione agli altri ministri dell’Interno europei. A pagina 11 intervista a Ignazio La Russa che avverte: «L’Europa del Nord non può chiudersi nel suo egoismo». Maurizio Ricci a pagina 13 cerca infine di dare il quadro sulle ricadute della crisi libica sull’economia del BelPaese: «Dimenticate depressione, recessione, anche inflazione. Sono le paure di ieri. Adesso la paura, che evocano economisti e operatori, è la stagflazione, cioè la somma di tutti i mali possibili: produzione e redditi si fermano, ma i prezzi, invece di diminuire, come vorrebbe la teoria, continuano ad aumentare, strangolando progressivamente l’economia».

“I rifugiati ci costeranno 500 milioni al mese strilla in prima pagina IL GIORNALE che spiega da pag 12 a 14 che «Il ministero fa i conti: l’invasione  di immigrati dalla Libia  in fiamme sarebbe  un disastro economico e Maroni lancia l’allarme, dall’Unione europea per ora nessun aiuto: giallo sui 25milioni promessi». IL GIORNALE mette in evidenza l’atteggiamento UE. In particolare riporta le dichiarazioni del responsabile per l’immigrazione, Wathelet, che dice l’allarme immigrati dalla Libia bisogna evitare cifre demenziali». Il quotidiano mette in evidenza che si tratta di una affermazione « non fatta al bar, ma  durante il Consiglio affari interni  Bruxelles. Il ministro Billstrom avrebbe aggiunto che le ondate di migranti non si sarebbero ancora viste e che bisognerebbe avere un atteggiamento più equilibrato. La Svezia l’anno scorso ha accolto 32mila richiedenti asilo su una popolazione di 9 milioni di persone. Facendo le dovute proporzioni è come se in Italia fossero arrivati 200mila  immigrati». IL GIORNALE   commenta queste affermazioni  così: «Insomma i soliti italiani esagerati, vittimisti» e poi riporta altre dichiarazioni da fonte UE, dall’Agenzia europea per il controllo delle frontiere che indica che in Libia ci sono fra 500mila e un milione e mezzo di migranti e poi da parte dell’Onu che stima 15mila profughi».

Su IL MANIFESTO ancora quattro pagine (dalle 2 alle 5) e l’apertura della prima per la rivolta in Libia che viene illustrata fotograficamente con l’immagine del comando di polizia di Tobruk assaltato dai rivoltosi sovrastata dal titolo “L’assedio”. « I rivoltosi libici occupano i pozzi petroliferi e si dirigono in armi verso Tripoli. Scontri e raid ad al-Zawiah a 40 km dalla capitale. Gheddafi torna a parlare dal suo bunker e accusa: “Al Qaeda dirige la rivolta”. In migliaia in fuga dalla Libia. La Ue respinge l’Italia sui migranti. E pensa a un “intervento umanitario”». Sempre in prima iniziano due articoli. Il primo di Maurizio Matteuzzi, è un reportage da Tripoli in cui si racconta l’arrivo in Libia, con tutti i particolari dell’accoglienza, poco amichevole ricevuta dai giornalisti italiani (nove tra cui lui) e le prime impressioni di una città surreale in cui loro in realtà sono embedded del governo libico. Il secondo articolo è di Tommaso Di Francesco «Verso un’altra guerra “umanitaria”» che scrive: « Siamo ai prodromi di un’altra guerra umanitaria. Che andrebbe ad aggiungersi a quella già sul campo. Stavolta in Libia. La Nato dichiara che «non è all’ordine del giorno, per ora», l’Unione europea che «nemmeno ci pensa», il ministro della difesa italiano La Russa che «non è nei nostri pensieri, però…». Ma ci stanno pensando, ci ragionano, e soprattutto si attivano forze e strumenti istituzionali di copertura. Sanzioni, no fly zone. (…)al di là del disfacimento evidente del regime di Gheddafi, delle sue drammatiche responsabilità e del suo delirio, emerge la disinformazione (…) Quasi un déjà vu balcanico: per il Kosovo, quando ci fu poi la verifica sul campo dei medici legali del Tribunale dell’Aja risultò falso il numero delle vittime e inventata la strage di Racak. Ma fu ben utile, nell’immediato, per 78 giorni di bombardamenti aerei della Nato che provocarono 3.500 vittime civili. (…) alla fine interverranno. Non per un ruolo umanitario da subito degli organismi delle Nazioni unite, non per un corridoio umanitario che porti soccorso a chiunque, insisto chiunque, soffra – giacché la crisi libica si rappresenta più come guerra civile che come rivolta secondo il modello di Tunisi e del Cairo. Interverranno perché, qualsiasi sia il potere che arriverà dopo Gheddafi, svolga per noi la stessa funzione del Colonnello: elargire petrolio per i consumi dell’Occidente e impedire l’arrivo dei disperati relegandoli in un nuovo sistema concentrazionario». Tra gli articoli delle pagine interne, l’apertura delle pagine 4 e 5 è dedicata alla ricadute in Europa con il titolo “Migranti, l’Europa respinge Maroni”. « Bruxelles respinge tutte le richieste italiane. E invita il ministro a non usare toni allarmistici: “Non sono previste invasioni epocali”» riassume l’articolo da Bruxelles che si chiude ricordando che: «L’unico modo per suddividere i migranti tra i 27 è infatti sottoporli tutti a protezione internazionale (solo i richiedenti asilo possono essere ridistribuiti tra gli stati membri su base volontaria) e questo si può fare grazie alla direttiva sulla protezione temporanea che si può attivare in casi di flussi straordinari determinati da crisi politico-umanitarie. Ma è un’opzione che non piace al governo perché, una volta riconosciuto a tutti un diritto alla protezione, non li si può più espellere, se non dopo un anno, anzi gli va riconosciuta assistenza e diritti pari a quelli dei richiedenti asilo». 

“Riad fornirà più petrolio” è il titolo dell’apertura del SOLE 24 ORE. Due gli editoriali in prima. Stefano Folli “L’ultima guerra di Libia e noi”: «Tutto si tiene. La tragedia della Libia non è solo un tremendo banco di prova per la debole politica estera dell’Italia. Sta diventando un test cruciale anche per la politica interna del nostro paese, finora incapace di sollevarsi al di sopra delle polemiche inter-partitiche quotidiane. E soprattutto si rivela un test altrettanto decisivo per i rapporti fra il governo di Roma e l’Unione europea: proprio quell’Europa così esitante e burocratica nella sua mancanza di solidarietà e di slancio verso il «fianco Sud» esposto alla minaccia di una migrazione senza precedenti. (…) Nei prossimi giorni il presidente del Consiglio non potrà dedicare la maggior parte del suo tempo alle strategie processuali che lo riguardano. Dovrà dimostrare con i fatti che la sua priorità politica è la gestione dell’emergenza, che non può essere delegata ai soli Maroni e La Russa. E il centrosinistra all’opposizione avrà il dovere di mostrare la sua cultura di governo: il che significa accantonare le ossessioni anti-berlusconiane in favore di una logica nazionale». Khaled Fouad Allam “La prima guerra globale e l’Europa”: «C’è un tassello mancante all’origine dei disastri che vivremo nei prossimi anni: è l’assenza di una visione politica della sponda sud del Mediterraneo, e della consapevolezza che una relazione fra le due sponde avrebbe potuto creare un inedito spirito costruttivo per uno spazio euromediterraneo. Sembra che tutto sia stato pensato come se la sponda sud dovesse limitarsi a svolgere il ruolo di cintura di sicurezza per frenare islamismo e immigrazione. Non aver pensato a una reale costruzione politica ha fatto sì che quelle società si siano sentite abbandonate dal nord, e non capite né dai loro regimi né dall’Europa.  È mancata una grammatica euromediterranea che avrebbe potuto creare un nuovo organismo internazionale in grado di progettare e definire ciò di cui queste società hanno bisogno nell’odierna inevitabile transizione. Ciò che sta accadendo trova l’Europa del tutto impreparata. E, al contrario di quanto è accaduto nei confronti dei paesi ex comunisti dell’Est, qui c’è solo il vuoto e l’emergenza; ma nell’emergenza è contenuto l’enorme rischio di non poter controllare fenomeni di dimensione epocale».

AVVENIRE apre con il titolo “Gheddafi all’angolo” e affianca una foto sul caso dei baby soldati “pagati” da Usa e Ue in Somalia, dove il governo federale recluta minorenni. A pagina 3 il reportage da Mogadiscio che documenta l’arruolamento di un ragazzino di 9 anni nelle truppe riconosciute e finanziate dalla comunità internazionale. Della Libia si parla da pagina 4 a pagina 9. Gheddafi agita gli spauracchi di al-Qaeda e del petrolio e dice che «come in Iraq e in Afghanistan, gli americani potrebbero attaccare la Libia con la scusa della lotta al terrorismo». Ma c’è anche chi è pronto a giurare, come Karim Bengharsa, presidente del Comitato Libia democratica, che «non è Gheddafi» quello che ha farneticato alla Tv libica: «Conosco la sua voce da 42 anni, non è la sua».  Intanto, mentre cadono altre città dell’Ovest in mano agli insorti, che marciano verso Tripoli, il colonnello ammassa le forze ancora fedeli e i mercenari nella capitale. Un articolo spiega come “Nello Stato frantumato è resa dei conti tra le tribù”: «Le relazioni basate sulla parentela rappresentano la base della vita sociale, persino il tifo sportivo riflette le divisioni tra famiglie e villaggi. Lo scontro è in atto tra i Ghadadfa e i Magarha». A pagina 6 AVVENIRE parla di “Bruxelles indifferente” perché secondo la Ue i profughi devono restare in Italia e della delusione del ministro Maroni che insiste chiedendo subito misure efficaci per fronteggiare l’emergenza umanitaria. L’Europa però «non esclude la possibilità di lanciare un’operazione militare sulla scia della crisi libica, anche se l’ipotesi è ancora da definire». Anche il governo inglese pensa all’invio di forze speciali delle Sas, vista la presenza di un centinaio di cittadini britannici “in pericolo” nel deserto libico. A pagina 7 si parla del vertice italo-tedesco di ieri tra Napolitano e Wulff  che hanno definito Gheddafi “un tiranno pericoloso e psicopatico” e anche della telefonata notturna tra Berlusconi e Obama «segno che l’iniziativa internazionale entra nel vivo». A pagini 9 lo scenario economico è sintetizzato dal titolo “Il petrolio ‘vede’ quota 1120. Gas al sicuro, allarme benzina”. Per l’economista Guy Maisonnier, i barili libici mancanti si possono trovare altrove, ma bisogna «fare attenzione all’Arabia Saudita. Lì rischiamo lo choc».

«I ribelli puntano su Tripoli» è il titolo di apertura de LA STAMPA, che dedica alla Libia le prime dieci pagine. La cronaca è dell’inviato da Tripoli Guidi Ruotolo: « Si divincola il Golem del deserto, per non farsi vedere barcollante ficca i piedi nella poca terra che gli resta, arso da un soffio di rivoluzione che lo consuma. Gheddafi difende il suo ultimo lembo di Libia, come ha promesso, tra gli schioppi delle fucilate, uno spettro fatto per la notte e la tempesta». Il commento è affidato a Lucia Annunziata, per la giornalista quella libica è «Una rivolta contro le certezze», per questo bisogna stare «Attenti ai luoghi comuni». L’interpretazione «delle rivolte arabe (certo, la memoria del nostro iniziale entusiasmo per la rivoluzione iraniana del 1979 brucia ancora) si sta rapidamente ritirando nei consueti paradigmi. Se ne immagina, come risultato, il rafforzamento della componente islamica radicale, una crescita di egemonia dell’Iran rispetto all’Arabia Saudita e il mondo pro-occidentale, un Israele accerchiato. E, per finire, un’Europa minacciata da una migrazione biblica. Può essere che vada così. Ma ci sono anche molte domande». Le rivolte gioveranno solo al «movimento religioso, bigotto e radicale com’è stato finora?» Oppure «non sarà, come in Iran dopo tutto, anche lo stesso movimento islamista radicale a rimanere scottato dalle più recenti fiamme?». Mario Deaglio, invece, si occupa delle ricadute economiche sull’occidente: la Libia è «Lo specchio del nostro cinismo». Secondo Deaglio «i diplomatici, gli economisti e gli statistici si accorgono che gran parte dei loro strumenti di conoscenza della realtà economico-sociale è del tutto inadeguata. Una delle tante lezioni di Tripoli, di Tunisi e del Cairo è che non si dispone di indicatori del disagio che siano veramente credibili in società sempre più in grado di dare a tutti un telefonino e sempre meno in grado di dare un lavoro per lo meno ai capifamiglia. Anche qui una revisione radicale appare necessaria, così come è necessario per l’Europa, in particolare, domandarsi se i principi di libertà e dignità umana che tanto fermamente proclama debbano poi sempre cedere di fronte a interessi spiccioli».

E inoltre sui giornali di oggi:

WIKILEAKS
LA REPUBBLICA – Doppia pagina (14-15) sul caso Assange. Il giudice inglese Howard Riddle non ha infatti voluto sentire ragioni: il fondatore di Wikileaks va estradato in Svezia, dove la magistratura vuole interrogarlo e processarlo per i reati sessuali 1di cui due donne accusano il fondatore di Wikileaks. Assange, che rimarrà in libertà su cauzione, assiste impassibile alla lettura del verdetto. Intanto il giornale diretto da Ezio Mauro propone l’analisi dei rapporti fra Berlusconi e Gheddafi rileggendo i cablogrammi riguardanti l’Italia di cui è entrato in possesso.

MILLEPROROGHE
IL MANIFESTO – Nelle due pagine di politica interna (la 6 e la 7) si apre sulle intercettazioni telefoniche «Berlusconi ha chiesto ai suoi di tornare al vecchio e durissimo testo sulle intercettazioni telefoniche. Sarà il colpo di grazia di un’offensiva sulla giustizia a tutto campo, da accendere al momento opportuno. Sì alla prescrizione brevissima, probabilmente con un testo autonomo. E nuova offensiva mediatica, in un salotto da seconda serata». Del Milleproroghe si sottolinea che nel testo viene fatto saltare il divieto degli incroci stampa-tv. Il titolo riassume: “Da aprile lui si può comprare il Corriere”.

ITALIA OGGI – Più che un provvedimento è una finanziaria. E’ questo il giudizio che Marco Bertoncini dà al Milleproroghe nella sua Nota Politica intitolata “Il Milleproroghe ce la fa ad essere approvato”. «Infatti» scrive Bertoncini riferendosi al provvedimento «reca tutte le caratteristiche che avevano le leggi finanziarie: una barca di disposizioni caotiche, molto clientelismo, complicazioni in luogo di semplificazioni». Ancora Bertoncini: «Questo Milleproroghe, tuttavia, porta una novità sgradevole per la maggioranza. L’altolà intimato da Giorgio Napoletano inibisce al governo di ricorrere, in futuro, al consueto giochetto  di un decreto –legge vasto, pur non torrenziale e relativamente omogeneo, da modificarsi in corso d’opera con aggiunte di dimensioni assirobabilonesi…». In sintonia con Bertoncini, è anche Mario Collevecchio, (esperto Legautonomie studio Collevecchio P.a Consulting Pescara). In un suo intervento “Il Milleproroghe, una forzatura costituzionale”, spiega in modo tecnico il perché Napoletano ha fatto bene a richiamare il governo.

AVVENIRE – Sotto l’occhiello “Le sorti dell’esecutivo” si parla del voto “con qualche brivido” sul Milleproroghe. Prende il via oggi una 36 ore a tappe forzate. Il governo ha posto ieri mattina la fiducia e subito dopo il testo passerà al Senato. Ma ci sono malumori tra i Responsabili. Scilipoti minaccia il no per la norma sugli interessi bancari. Mugugni anche dai “sudisti” del Pdl per lo stop al blocco delle demolizioni di case abusive in Campania.

LA STAMPA – A pagina 15: «Editoria mercato senza limiti», è il titolo. «Nel decreto salta il divieto si avere giornali se si possiedono televisioni. L’opposizione insorge», scrive Alessandro Barbera. «Fedele Confalonieri si schermisce: “A noi non ce ne viene niente”. A Mediaset, dice il suo presidente, non interessa il controllo del Corriere della Sera o di chissà quale altro giornale. “Tutte stupidaggini”». Comunque «a meno di un intervento del presidente del Consiglio», dal primo aprile «il divieto introdotto dalla legge Gasparri di incrocio fra proprietà di televisioni e giornali verrà meno. E’ quel che sancisce l’ultima versione del decreto Milleproroghe» sul quale la Camera (oggi) e il Senato (domani) voteranno la fiducia. Osserva Barbera: «Nel Paese che ha dato i natali a Machiavelli può succedere anche questo: il governo vara una norma in violazione del conflitto di interessi, la modifica due volte, torna al testo iniziale e alla fine di questo giro dell’oca tutti possono dire che la responsabilità è altrui».

FEDERALISMO
IL SOLE 24 ORE – “Corte conti: rischio tasse con il federalismo”. «Col federalismo fiscale regionale c’è il rischio di “aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria”. Mentre i livelli essenziali delle prestazioni sociali (per assistenza, scuola, trasporti) vanno adeguatamente calcolati e finanziati, in un futuro disegno fiscale che appare troppo complesso e poco lineare. Ieri è stata la Corte dei conti, in audizione davanti alla bicamerale, a sollevare dubbi e preoccupazioni su fisco regionale e costi standard sanitari».
 
CRISI
IL MANIFESTO – Continua il diario della crisi economica che a piè di pagina 9 presenta l’articolo “Grecia, Pil in forte discesa. Gli scambi aumentano, ma l’Italia ristagna” firmato da Galapagos. «L’attenzione è tutta rivolta verso le conseguenze economiche della crisi libica. Questo significa cercare di capire quale sarà il futuro del prezzo del petrolio e del gas e prevedere come gli aumenti dei prodotti energetici si trasmetteranno al sistema generale dei prezzi. (…) In Grecia, ad esempio, nell’ultimo trimestre il Pil ha registrato una caduta tendenziale del 6,6% e quasi certamente nell’intero 2011il prodotto lordo diminuirà. (…) In condizioni simili a quelle di Atene si trovano anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda, ma anche l’Italia, dove la crescita è molto lenta. Come sottolinea un rapporto del Centro studi Confindustria di ieri, mentre in molti paesi la ripresa appare consolidata è veloce, l’Italia va a rilento. Una conferma si è avuta dai dati Istat sulle vendite al dettaglio in dicembre e quindi nell’intero 2010: sono aumentate dello 0,2% rispetto a novembre e dello 0,4% rispetto a dicembre 2009. I dati sono a prezzi correnti e questo significa che tenuto conto dell’inflazione le vendite sono diminuite. (…) Secondo l’Ocse a soccorrere l’Italia ci sono solo le esportazioni: nell’ultimo trimestre del 2010 sono cresciute del 9% contro il 7% del trimestre precedente. A titolo di confronto nei paesi Ocse l’export negli ultimi tre mesi dello scorso anno è salito dell’8%, grazie soprattutto al ruolo trainante della Cina» la conclusione è dedicata agli Usa dove non se la passano bene neppure lì, ricordando che in gennaio «le vendite di case nuove sono crollate di un altro 12,6%».


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