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Libia, la risposta crudele di Gheddafi

Bombe sulla folla, morti e violenza. Finalmente protestiamo.

di Franco Bomprezzi

La Libia è nel caos: la rivolta popolare e la repressione violenta, le reazioni nel mondo, la preoccupazione per l’economia e per l’ondata migratoria, il ruolo dell’Italia, l’amicizia di Berlusconi con Gheddafi, sono i temi che vengono affrontati e sviluppati da tutti i quotidiani oggi in edicola, mentre le notizie vengono aggiornate sui siti web, anche attraverso le testimonianze dirette degli inviati che sono riusciti a passare il confine egiziano.

“Libia nel caos, bombe sulla folla” titola a tutta pagina il CORRIERE DELLA SERA, e questo il riassunto della situazione al momento di chiudere il giornale: “Gheddafi all’ultima battaglia. Fa bombardare Tripoli. Elicotteri e aerei contro la folla. I palazzi del regime bruciano. Più di 250 morti nelle piazze. I diplomatici libici all’Onu si dimettono: «E’ un genocidio»: Gheddafi potrebbe essersi rifugiato nel deserto o fuggito in Venezuela (ma da Caracas la notizia è stata smentita). Berlusconi: violenza inaccettabile. Il petrolio vola, giù le borse”. Il commento in prima è di Franco Venturini: “Interessi e valori”. Sempre in prima parte un pezzo di Fiorenza Sarzanini: “Maroni: unità di crisi aperta all’opposizione”, mentre Gian Antonio Stella scrive: “Onori, regali, baci. I tempi (non lontani) del Muammar show”. Altri tre richiami in prima: Guido Olimpio segue le notizie sulla fuga del rais: “Gli ordini del colonnello via telefono”, Michele Farina fa il ritratto della famiglia: “Infermiere e amazzoni per il rais”, e Paolo Mieli racconta la storia del nostro rapporto con la Libia: “Noi e loro tra dolori e fallimenti”. Il tutto prosegue sino a pagina 13. Venturini sottolinea, nel suo editoriale, il ritardo della presa di posizione di Berlusconi contro le violenze del regime: “Nascosti dietro una poco credibile volontà di «non ingerenza», fino a ieri sera continuavamo a trascurare quei principi umanitari nei quali proclamiamo di credere. Ma resta da domandarsi se siamo in tempo, se siamo certi che il nostro ritardo non possa farci pagare un prezzo proprio sul piano degli interessi, oltre che su quello dei valori identitari. Dovremo contare sul petrolio e sul gas che la Libia avrà comunque bisogno di vendere. Sugli affari vantaggiosi con lo Stato e con le imprese italiane che nessuno vorrà buttare nel cestino. Sulla convenienza degli investimenti in Italia”.

«In Libia esplode la guerra civile» è il titolo di apertura a tutta pagina de LA REPUBBLICA. Le vicende libiche occupano le prime undici pagine del quotidiano. Si parte dalla cronaca dell’inviato Pietro del Re: «Gli aerei di Gheddafi bombardano. Strage di manifestanti a Tripoli. L’inviato dell’Onu: “è genocidio”». Mentre Laura Pertici raccoglie le «testimonianze» da Bengasi: «Ho visto donne uccise mentre offrivano acqua»; e Daniele Mastrogiacomo racconta la rivolta: «La piazza contagia l’esercito, boom di defezioni dopo le stragi, divise le Falangi del Colonnello». A pagina 9 Ettore Livini analizza le ricadute economiche della crisi: «Borse a picco, petrolio alle stelle: Crolla Piazza Affari, giù Eni, Impresilo e Unicredit. Commesse a rischio». Scrive Livini: «L’italia Spa rischia di pagare un conto salatissimo della crisi libica» come «primo partner commerciale del Colonnello». I rapporti tra i due paesi sono ricostruiti grazie ai documenti di Wikileaks, con cui Repubblica continua a collaborare. Le reazioni internazionali invece sono descritte in un retroscena: «L’ira della Ue contro la Farnesina: “Non può difendere un dittatore”», critiche per la «doppia linea» di Frattini. Il commento è affidato all’editoriale in prima di Bernardo Valli: «La primavera dei popoli». Scrive Valli: «Due cambiamenti, sufficienti per segnare la svolta di un’epoca, sono già intervenuti mentre le rivolte nel mondo arabo sono ancora in corso». Il primo «è che uomini e donne rivendicano i diritti dei cittadini di uno Stato democratico, e quindi rifiutano il modello del rais, onnipotente e insostituibile, dominante dall’Atlantico all’Oceano indiano per decenni. Dopo il tunisino Ben Ali e l’egiziano Mubarak, adesso traballa anche Gheddafi, caricatura dell’autocrate arabo miliardario in petrodollari, in esercizio da più di quarant’anni. Altri birilli cadranno». Il secondo «riguarda l’immagine che gli arabi hanno di se stessi e che da noi era tanto diffusa, al punto da essere un’ossessione. Il manifestante di piazza Tahrir al Cairo o di avenue Burghiba a Tunisi, e l’oppositore al regime di Gheddafi che sacrifica la vita a Bengasi, hanno sostituito l’immagine del terrorista barbuto e fanatico».

“L’Italia arma i caccia” è questo il titolo di apertura in prima pagina de IL GIORNALE. Il caso Libia segue a pagina 10 e 11, dopo interminabili servizi dedicati al solito Rubygate. Da segnalare il retroscena imbastito dal quotidiano che cita i servizi segreti (un’abitudine consolidata per il quotidiano di casa Berlusconi): «Una fonte di intelligence conferma a Il Giornale: “Stanno facendo quadrato e prevediamo che scorrerà del sangue in maniera significativa”». Lo scrive Fausto Biloslavo nel suo “L’incubo dei nostri 007: “C’è il rischio secessione e di un emirato islamico”. Il commento è invece di Giuseppe De Bellis con il suo “La partita per difendere gli interessi dell’Italia”: «Prepariamoci tutti – scrive De Bellis – La Libia che esplode è qualcosa che ci riguarda più da vicino di quanto accada per l’Egitto». Infine a firma Livio Caputo l’apertura di pagina 10 il cui titolo è tutto un programma: “Tre emergenze per l’Europa Ma ora gli Usa non ci salvano”: «tre sono le emergenze cui dovremo fare fronte. La prima è l’inevitabile ripresa della immigrazione clandestina (…) La seconda emergenza riguarda il petrolio, i cui prezzi stanno schizzando rapidamente in alto (…) La terza emergenza è forse la più grave, ma anche la meno immediata. È la possibilità, evocata sia da Saif, sia da Frattini, che la Libia si spacchi in due e che in Cirenaica, dove la tradizione lo favorisce, nasca un «emirato islamico».

“Massacro” è il titolo di apertura del MANIFESTO,  appoggiato da una foto rubata al caos che regnava ieri nelle vie di Tripoli, dove la rivolta ha portato il suo attacco finale al rais Gheddafi. La sintesi della prima parte del sommario è da cronaca dal fronte: “Bruciano il palazzo del governo e il Parlamento. Violentissima la repressione del regime: cecchini all’opera e raid dell’aviazione contro i manifestanti, centinaia di morti. Il viceambasciatore all’Onu denuncia «È un genocidio, fermatelo». Cui segue un commento, polemico, sui risvolti politici della rivolta libica: un colpo alla Ue, che “condanna timidamente le violenze”, e al ministro degli esteri Frattini, che “dopo Ben Ali e Mubarak, non scarica nemmeno Gheddafi”. La cronaca di quella che il quotidiano definisce “La guerra di Tripoli” è frammentaria e poggia su dati incerti (“i morti potrebbero essere centinaia”, “secondo notizie sempre da confermare i dimostranti avrebbero dato fuoco a diversi edifici pubblici”…), per via del divieto posto dalle autorità libiche “all’ingresso dei giornalisti, e fanno di tutto per ostacolare le comunicazioni via telefono e via internet”. Nell’editoriale, Angelo Del Boca prova, a freddo, a spiegare “Perché Gheddafi ha fallito”, e attribuisce l’errore del rais e due sottovalutazioni di politica interna: non aver considerato la potenziale pericolosità della Cirenaica, regione ancora “pervasa dal mito di Senussia e di Omar el Mukhtar”, e di aver “minimizzato l’importanza delle tribù del Gebel”. Sarebbero da cercare all’interno di questi due gruppi le “menti” della rivolta. Un pezzo di spalla a pag. 3 parte all’attacco del silenzio pubblico di Berlusconi sul massacro libico, e poi analizza le ricadute negative del vuoto di potere sugli impegni economici italiani nel paese, per il balzo del prezzo del petrolio in primis, ma anche per gli impegni di imprese italiane come Impregilo e per le forniture militari Italia-Libia. A seguire,  a pag. 4, uno sguardo sull’Egitto (“Prove di coalizione militari-musulmani”), sui primi focolai di rivolta – per ora ancora soft – in Marocco (“Marocco, in piazza contro la Monarchia. Nasce il Movimento 20 febbraio per riforme radicali”), e sulle proteste degli arabi apolidi che risiedono in Kuwait.

“Gheddafi bombarda la folla”. È il titolo di apertura del SOLE 24 ORE di oggi. Ugo Tramballi scrive l’editoriale in prima, dal titolo “Il coraggio di guardare al futuro”: «Gli arabi incominciano a pensare a un Medio Oriente senza il detestato Gheddafi e a loro – re, monarchi, ministri e soprattutto la gente comune – la cosa sembra eccitante. A noi non troppo. In questi giorni siamo in una condizione permanente da stato d’emergenza: per gli “emirati islamici” che certamente prenderanno il posto del governo centrale di Tripoli; per l’imminente massa d’immigrati che sbarcheranno sulle nostre coste; per l’energia che non arriverà più dalla Libia; per gli investimenti finanziari libici in Italia e quelli delle nostre imprese in Libia che corrono qualche rischio con chiaro danno per la nostra economia. (…) Perché non provare ad essere un po’ ottimisti come gli arabi, sia pure senza il loro entusiasmo? Essere ottimisti in questo caso significa guardare al futuro, non a ciò che oggi è la Libia ma a quello che sarà domani. Il paese è una specie di laboratorio possibile: l’Italia non ha molte multinazionali ma quelle che abbiamo sono praticamente tutte laggiù, in un paese dalle immense risorse e poco abitato. Alla lunga non è difficile ricostruire la stabilità necessaria perché anche i libici siano cittadini soddisfatti quanto gli investitori stranieri. L’assicurazione su cui avevamo riposto il 100% dei nostri investimenti si chiamava Gheddafi. Ma quanto può essere garanzia a lungo termine un regime che controlla milioni di barili di petrolio e lascia due terzi dei suoi abitanti con meno di due dollari al giorno?  L’accordo col dittatore ha rallentato l’invasione degli immigrati, ma non risolve il problema sociale che la provoca. Ricordiamo cosa era l’Europa e cosa eravamo noi poco più di 60 anni fa. La storia dimostra che le genti emigrano verso le democrazie e quando la democrazia ce l’hanno in casa, le opportunità di lavoro crescono e loro non se ne vanno. (…) La Libia, quello che è accaduto in alcuni paesi e quello che ancora deve accadere in altri ci propongono di riflettere sulla democrazia anche come investimento: non più rischioso di altri ma raccomandabile».

Sotto al titolo “Il governo è in fuga da Gheddafi “ ITALIA OGGI annovera una serie di dichiarazioni dell’opposizione che critica il comportamento, definito nel migliore dei casi tardivo – da Pier Ferdinando Casini-, di Berlusconi sulla vicenda libica. Ne citiamo due. «Il governo tace perché si è compromesso stracciando anche la nostra dignità», è il commento di Bersani e Vendola rincara la dose «L’Italia svetta peri suoi traffici e le sue amicizie con i peggiori dittatori del Mediterraneo e del modo». Sul caso un box a firma Ishmael «Berlusconi ha dichiarato che di fronte ai massacri non è intervento per non disturbare il rais. Ciò è indice di educazione ma di scarsa intelligenza e sensibilità politica. Ammazzare centinaia di dimostranti non è come fare il bunga bunga o cantare nelle osterie di Arcore. Non c’è indulgenza fra gli elettori berlusconiani per gli assassini totalitari e per chi, non volendo disturbare, li lascia liberi di menare la scimitarra».

AVVENIRE apre con il titolo “Il tragico tramonto di Gheddafi”. Sei le pagine interne dedicate alla cronaca e all’analisi della sanguinosa rivolta in Libia. Comincia a pagina 2 Fulvio Scaglione con l’articolo “Niente sarà più come prima. Il Colonnello ormai è un intoccabile” ragionando sul fatto che  «Per un crudele paradosso, proprio il Paese più chiuso del Mediterraneo ora ci interpella nel modo più pressante. E ci propone la sfida più complessa… Potremmo perfino sperare che questi poveri morti della Libia servano a dare uno scossone alla vecchia e tremolante Europa. A farle capire quanto grande sia ancora, almeno in potenza, il suo ruolo sulla faccia del mondo». La pagina 3 esamina  i risvolti economici, con il greggio alle stelle, le Borse che cadono e le imprese estere che lasciano il Paese. L’Italia compra energia per nove miliardi di euro e l’Eni ha in Libia il 13% della sua produzione. Nelle pagine 4 e 5 AVVENIRE esamina la situazione in Libia, dove il regime si sfalda:  «sei clan, che sono la spina dorsale del sistema, sono passati dalla parte dei dimostranti. L’ambasciatore Onu parla di “genocidio” con centinaia di morti causati dal raid aereo. Ma il figlio di Gheddafi smentisce i bombardamenti sulla folla». A corredo, Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste nell’intervista intitolata “Dai giovani una forte presa di coscienza” sottolinea che « I giovani non credono più che il Corano darà loro il lavoro, come potevano credere i loro padri. Sono credenti e praticanti, ma non hanno una carica ideologica. E infatti, dallo Yemen all’Algeria di slogan religiosi non ne abbiamo sentiti… I regimi, se non cadranno, saranno costretti comunque a concedere riforme che forse non avrebbero mai fatto. Si è aperta una breccia nella Storia». Le ultime due pagine (6 e 7) riportano la reazione di Bruxelles e del nostro governo. L’Europa “dà l’altolà ma non isola il raìs”: il testo approvato dai ministri degli Esteri dell’Ue stigmatizza la ferocia della repressione ma non prevede sanzioni politiche o economiche: l’Europa teme infatti che il regime non realizzi la minaccia di non frenare l’esodo dei migranti. Finlandia, Svezia e Danimarca avrebbero invece voluto un’azione più energica come il congelamento dei beni del Colonnello. In Italia, “Berlusconi alla fine condanna le violenze”. Ieri pomeriggio Frattini aveva detto che la Libia è sull’orlo della guerra civile e oggi da Tripoli parte il primo volo speciale per evacuare i nostri connazionali.

“Gheddafi bombarda la folla”. LA STAMPA riporta le frammentarie notizie che arrivano dalla Libia, rimarcando nell’editoriale di Belpoliti che quella libica è «una tragedia senza immagini»: non c’è quasi nessuna foto, che trapeli attraverso la totale censura del governo e dei militari. C’è incertezza sulle vittime: la Federazione internazionale per i diritti dell’uomo parla di 400 morti, di 600 il quotidiano israeliano Haaretz. La cronaca si basa sulle testimonianze che riescono a trapelare da internet. A pagina 4 e 5 LA STAMPA dedica un primo piano alle ripercussioni in Europa e in Italia. È la prudenza a prevalere nelle parole del ministro Frattini: «La Ue non può decidere il futuro dei rais». C’è consenso nella condanna, fra Italia e Ue, ma non su quella del capo libico. Il premier Berlusconi non ha telefonato nemmeno ieri a Gheddafi. «Se il leader libico vuole parlare con un Paese che considera amico telefoni lui» dicono fonti del governo non precisate sentite da LA STAMPA.

E inoltre sui giornali di oggi:

SECONDE GENERAZIONI
AVVENIRE – A pagina14 l’inchiesta sulla “Scuola che sorprende” parla della tre giorni di Colloqui fiorentini, l’iniziativa dell’associazione Diesse che quest’anno ha coinvolto 1.600 studenti di 150 scuole di 90 città. Tra questi una ragazza marocchina, Nejoua, che frequenta un istituto professionale di Firenze e parla in una intervista della poesia “Cinque maggio” e del suo amore per Manzoni.

FINE VITA
LA REPUBBLICA – «L’appello di Saviano: “Garantire un vero diritto di scelta”» è il titolo a pagina 19. Lo scrittore ha inviato un messaggio all’incontro sul testamento biologico «Le ragioni del cuore», con Beppino Englaro e Ignazio Marino. «La battaglia di Englaro è una battaglia di democrazia, di libertà. Nessuno può scegliere al posto tuo quale vita è degna di essere vissuta, ognuno può e deve poterlo decidere per se stesso. Per questo serve un testamento biologico, non la legge ora in discussione che è solo sopraffazione», ha detto Saviano.

AVVENIRE – Parla a pagina 10 del “pressing laicista sul Pd perché dica no sul ddl che riguarda il biotestamento. Nel giorno in cui la Camera avrebbe dovuto avviare l’esame del disegno di legge Calabrò (slittato alla prossima settimana per la discussione del milleproroghe) si moltiplicano le iniziative contrarie. Anche l’editoriale firmato da Francesco D’Agostino parla delle “aspre e insensate polemiche sul fine vita”.

IL GIORNALE – “Madri che usano le donne”, titolo e fotonotizia in prima per l’ultima intervista dell’attrice Nicole Kidman. Tutta pagina 15 è dedicata al polverone e alla sequela di polemiche che questa intervista ha sollevato.

PROTEZIONE CIVILE
IL SOLE 24 ORE – “Più controlli dell’Economia sulla macchina dei soccorsi”. «Il concerto del ministero dell’Economia sulle ordinanze per lo stato di emergenza e il ritorno dei controlli nell’alveo della Corte dei conti, secondo la protezione civile rappresentano una vera e propria calamità per l’operatività del dipartimento. Non è così però per il ministro, Giulio Tremonti, che in una nota diramata ieri ha precisato che nel milleproroghe non c’è «nessuna novità rispetto allo sperimentato ed efficace schema di intervento d”urgenza applicato, da ultimo, a L’Aquila. La novità viene dopo: le ordinanze successive all’emergenza dovranno, senza più eccezioni, essere riportate allo schema ordinario dei controlli amministrativi e giurisdizionali previsti a miglior tutela del denaro del contribuente». Commento del SOLE a pagina 14: «In Italia è difficile fare cose normali. È il caso della Protezione civile, grande efficienza mostrata in molte emergenze vere. Lasciamo stare le inchieste sugli appalti e la battaglia dell’ex Bertolaso per costituire la Protezione civile spa: è bastato un anno per fare giustizia di certe esagerazioni. Altre anomalie, però, restano, almeno nella legge. Come l’uso abnorme delle dichiarazioni di stato di emergenza che consentono l’uso di poteri eccezionali. Addirittura l’uso della macchina della Protezione civile per i grandi eventi che di emergenza non hanno nulla. Ci saremmo aspettati una riforma seria che ridefinisse il perimetro d’azione della Protezione civile limitandolo alle emergenze vere. Entro quel confine, anche temporali, sarebbe giusto lasciare alla Protezione civile pieni poteri d’intervento. Nel maxiemendamento al Milleproroghe troviamo invece un comma che non limita il perimetro d’azione del dipartimento, ma lo obbliga a chiedere il timbro preventivo del ministero dell’Economia per qualunque spesa. Ricapitolando: la Protezione civile può ancora organizzare le Olimpiadi di Roma, ma se c’è un terremoto bisogna aspettare l’ok di Tremonti per intervenire. Ci sono argomenti che in Italia pare difficile affrontare con razionalità.

ENTI LOCALI
ITALIA OGGI – Enti locali messi a dieta titola in copertina Italia Oggi per annunciare che con la prossima tornat elettorale di primavera scatta il taglio del 20% dei consiglieri comunali e di circa il 25% degli assessori. Il quotidiano nota però che «In virtù del decreto milleproroghe ne sfuggiranno i comuni di Roma e Milano, dove i consiglieri rimarranno 60 e non 48 e gli assessori saliranno da 12 a 15».

WELFARE
LA REPUBBLICA – Nelle pagine di economia si parla dei «fondi destinati ai servizi sociali». Il titolo è «Addio welfare comunale, tagli dell’80%, neppure un euro a nidi e non autosufficienti». Con il focus su tre città: a Palermo «mancano i soldi per il disagio psichico», a Reggio Emilia «I buoni pasto non bastano più» e a Napoli le «cooperative sociali a rischio sono 300».

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