Salute
Il miglior farmaco è il cervello
Nuovi risultati da uno studio dell'Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma pubblicato dalla rivista internazionale sulle neuroimmagini “Human Brain Mapping”
di Redazione
La cultura è il miglior farmaco per il cervello. Nuovi dati dimostrano infatti che per tenere in forma e in salute la mente bisogna allenarla, soprattutto migliorando il proprio livello di istruzione. Una ricerca dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma ha documentato l’effetto positivo dello studio sull’integrità del cervello, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, in particolare dell’ippocampo, con vantaggio della memoria. Al grado di istruzione scolastico vanno aggiunte le attività svolte durante l’arco della vita, nonchè il tipo di lavoro, l’impegno mentale quotidiano e le attività ricreative: è l’insieme di questi fattori che ha un effetto protettivo del nostro cervello.
Lo studio, tutto italiano, si è guadagnato la copertina della rivista internazionale sulle neuroimmagini “Human Brain Mapping”. Un’accreditata teoria – quella della riserva neuronale – da tempo sostiene che un individuo maggiormente scolarizzato e con un più alto livello di istruzione, quindi più impegnato mentalmente, è in grado di creare una sorta di riserva cognitiva che protegge il cervello dai danni causati dai processi legati all’invecchiamento, come accade nella malattia di Alzheimer. In altri termini, l’allenamento allo studio e il livello culturale permetterebbero di accumulare un “patrimonio” mentale più ingente (sia da un punto di vista della struttura cerebrale che da quello dei contenuti), che poi viene eroso più lentamente dai fenomeni legati all’invecchiamento cerebrale fisiologico e patologico.
Tuttavia, la ricerca svolta in questo settore finora aveva sempre avuto il limite di fornire una misura piuttosto grezza di questa riserva di “giovinezza mentale”, limitandosi solitamente a valutare l’intero volume cerebrale. Inoltre, non era stata localizzata con precisione l’area in cui agisce il processo protettivo. Ora la ricerca della Fondazione Santa Lucia, utilizzando la tecnica di risonanza magnetica denominata Diffusion Tensor Imaging (DTI), ha finalmente contribuito a fare luce su questi punti ancora oscuri.
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