Non profit
Allarme rosso per il cuore delle donne
Al centro dell'incontro di Alt la prevenzione delle malattie cardiovascolari ma anche la necessità di studi approfonditi sulle donne che sono le più colpite.
di Redazione
Gli studi clinici e i protocolli sviluppati in questi ultimi due decenni nella diagnosi e nella cura delle malattie cardiovascolari mancano di un’adeguata differenziazione di genere e le donne continuano a morire più degli uomini per Infarti, Ictus e Trombosi. Il tema è stato al centro di un incontro, presenti i massimi esperti di ricerca e cura della trombosi e delle malattie cardiovascolari. Preoccupante il quadro emerso. È, infatti, il genere femminile quello più colpito dalle malattie cardiovascolari: nel mondo il 55% delle donne muore per infarto, ictus, embolia o trombosi, contro il 48% degli uomini. La differenza in Europa è ancora maggiore, 43% uomini e 54% donne, come rilevato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In totale, nel mondo ogni anno 12 milioni di persone muoiono di infarto e ictus, 8 milioni per malattie cardiache e 4 milioni per ictus, più del totale dei decessi provocati da cancro, tubercolosi, Aids e malaria messi insieme. La ragione potrebbe risiedere nel fatto che il rischio cardiovascolare nelle donne è spesso sottovalutato a causa dell’errata ma diffusa convinzione che il gentil sesso sia più protetto verso queste patologie, disincentivando così studi specifici sul genere femminile.
A lanciare il monito è l’Alt – Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari, che nel corso di un affollato incontro a Milano ha ribadito la necessità di validi programmi di prevenzione, ricerca e formazione sviluppati su scala europea.
«Prevenire le malattie da Trombosi è così facile che la gente lo considera quasi banale, e non ascolta. Le malattie da Trombosi sono una malattia culturale e la grande epidemia dei nostri tempi: nessuna economia sarà in grado di sostenerne l’impatto nei prossimi anni. Se non si investe subito, in prevenzione e in ricerca» ha detto la presidente di ALT, Lidia Rota Vender. Mentre Valentin Fuster, cardiologo e presidente del Comitato scientifico di Alt, in un videomessaggio ha detto: «Le malattie cardiovascolari sono un’epidemia. Dobbiamo sbrigarci a fare qualcosa per fermarle, altrimenti ci ritroveremo senza le risorse economiche necessarie per curare chi si ammala»
«Le donne hanno un’incidenza di eventi cardiovascolari minore degli uomini in età fertile, ma successivamente, in particolare dopo la menopausa, il rischio aumenta per il loro peculiare equilibrio ormonale che favorisce l’insorgere di noti fattori di rischio come ipertensione, diabete, obesità e sindrome metabolica – ha spiegato Marco Stramba-Badiale, direttore del Dipartimento Geriatrico-Cardiovascolare dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano -. Inoltre le manifestazioni cliniche delle malattie cardiovascolari nelle donne, in particolare nel caso della cardiomiopatia ischemica, possono essere diverse da quelle comunemente osservate sugli uomini, rendendo più difficile e tardivo il loro riconoscimento. I protocolli diagnostici e terapeutici ancora non tengono adeguatamente in considerazione queste e altre differenze tra i due sessi, la cui reale esistenza è ormai più che un sospetto nella comunità scientifica internazionale»
Secondo i dati emersi grazie al progetto EuroHeart – realizzato dalle associazioni europee del settore sotto l’egida dell’European Heart Network, l’Organizzazione consultiva della Commissione del Parlamento Europeo per le Malattie Cardiovascolari, e coordinato in Italia da ALT e FipC (Fondazione italiana per il Cuore) – nelle 62 sperimentazioni cliniche pubblicate tra il 2006 e il 2009 solo il 33% dei pazienti coinvolti erano donne e solo la metà degli studi riportava un’analisi separata tra i due sessi. Questo significa che l’efficacia e la sicurezza della maggior parte degli interventi preventivi e terapeutici viene valutata in una popolazione prevalentemente maschile, quando invece non si può escludere che ci possano essere delle differenze legate al sesso nella risposta alla cura.
Sulla scorta di questi risultati, sempre più grande è l’interesse di ALT per il lavoro collaborativo a livello europeo, svolto sotto l’egida di EHN- European Heart Network, con l’obiettivo di favorire su scala europea la ricerca e la prevenzione delle malattie cardiovascolari e dell’Ictus cerebrale anche in merito alle differenze di genere.
«Oggi più che mai è indispensabile aprire una finestra sull’Europa per confrontare i programmi di prevenzione lanciati dai vari Paesi – ha commentato Sergio Coccheri, professore ordinario di Angiologia e docente di malattie cardiovascolari all’Università di Bologna e vicepresidente ALT -. Occorre infatti coordinarli tra loro, apportarvi la nostra esperienza specifica, ma anche prendere spunto dai risultati straordinari raggiunti in certi stati come la Finlandia, dove le malattie cardiovascolari si sono dimezzate in 10 anni, grazie ad interventi radicali sullo stile di vita e sulle abitudini alimentari. Tutto questo per puntare a una armonizzazione delle politiche sociali, sanitarie, alimentari dell’Europa unita, adattandole alla esigenze del nostro Paese. Abbiamo dei tesori da esportare come la dieta mediterranea. Abbiamo però anche dei punti deboli come l’aumento della sedentarietà, dell’obesità, del diabete la mancata riduzione del fumo soprattutto nelle donne».
È infatti la diagnosi precoce dell’esistenza di fattori ereditari predisponenti a eventi cardiovascolari e la prevenzione dei fattori di rischio l’unica strada possibile per ridurre l’incidenza e la mortalità di queste terribili malattie. Lo ha ribadito il professor Zaverio M. Ruggeri, MD, Divisione di Emostasi e Trombosi sperimentale Roon Research Center for Atherosclerosis and Thrombosis, The Scripps Research Institute, La Jolla, San Diego, California , che ha dichiarato “La ricerca nel settore della prevenzione ha un potenziale molto interessante: permette di identificare le abitudini di vita che hanno un impatto diretto e drammatico sulla probabilità che il sangue coaguli in modo incontrollabile e scateni una malattia da Trombosi. Inoltre la ricerca di base aiuta a mettere a punto test di laboratorio utili per definire il profilo di rischio individuale, anche dal punto di vista genetico”.
L’incontro è stata anche l’occasione per consegnare il premio ALT per la ricerca 2011-2013, selezionato nell’ottobre dello scorso anno da un Comitato di Revisori Internazionali. A ricevere l’ambito finanziamento è stato il progetto presentato da Donato Gemmati del Centro Emostasi e Trombosi dell’Università di Ferrara, volto ad approfondire i meccanismi d’azione di un fattore della coagulazione, dotato di proprietà positive nella guarigione dalle lesioni provocate dall’Infarto e con promettenti potenzialità prognostiche e terapeutiche ancora da approfondire.
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