Mondo

Redditi: -2,7 per cento nel 2009

È la prima volta dal 1995. Una flessione da attribuire alla marcata contrazione dei redditi da capitale

di Lorenzo Alvaro

Nel 2009 il Reddito disponibile nazionale ha visto una flessione del 2,7 per cento, la prima dal 1995. Lo comunica l’Istat nella sua analisi sul reddito disponibile delle famiglie italiane da cui emerge un impatto piu’ forte nel settentrione (-4,1 per cento nel Nord-ovest e -3,4 per cento nel Nord-est) e piu’ contenuto al Centro (-1,8 per cento) e nel Mezzogiorno (-1,2 per cento). In generale, sottolinea l’Istat, tale diminuzione e’ essenzialmente da attribuire alla marcata contrazione dei redditi da capitale, anche se, in alcune regioni (in particolare Piemonte e Abruzzo), un importante contributo negativo e’ venuto dal rallentamento dei redditi da lavoro dipendente.

Nel triennio 2006-2009 il reddito disponibile si e’ concentrato, in media, per circa il 53 per cento nelle regioni del Nord, per il 26 per cento circa nel Mezzogiorno e per il restante 21 per cento nel Centro. Nel periodo considerato tale distribuzione ha mostrato alcune variazioni che hanno interessato principalmente il Nord-ovest, il quale ha visto diminuire la sua quota di 0,6 punti percentuali (dal 31,1 del 2006 al 30,5 per cento nel 2009) a favore di Centro e Mezzogiorno (+0,4 e +0,2 punti percentuali rispettivamente). La quota di reddito disponibile delle Famiglie del Nord-est e’ rimasta invariata al 22 per cento.

La significativa diminuzione del reddito disponibile registrata dal Nord-ovest nel 2009 e’ da imputarsi alla cattiva performance di Piemonte e Lombardia, che da sole rappresentano il 90 per cento del reddito disponibile della circoscrizione. In Piemonte, infatti, si e’ verificata una forte contrazione dell’input di lavoro dipendente e, di conseguenza, dei relativi redditi da lavoro; la Lombardia sconta, invece, la battuta d’arresto degli utili distribuiti dalle imprese a seguito della diminuzione del valore aggiunto.

Le famiglie residenti nelle regioni meridionali – si legge ancora nella nota dell’Istat – sembrano aver subito in misura minore l’impatto della crisi. Calabria e Sicilia sono le uniche due regioni italiane in cui il reddito disponibile delle famiglie ha mostrato tassi di crescita lievemente positivi; in tali regioni, peraltro, anche la dinamica del Pil e’ stata migliore che altrove. Le regioni meridionali hanno anche beneficiato di una tenuta degli interessi netti ricevuti dalle famiglie, spiegata in parte dalla minore propensione delle famiglie meridionali agli investimenti rischiosi.

Tale comportamento, che negli anni passati aveva frenato la crescita degli interessi netti, nel 2009 ha messo al riparo le Famiglie dalla diminuzione degli interessi attivi conseguente alla crisi (sono stati proprio i tassi di interesse delle attivita’ finanziarie meno rischiose, come ad esempio i depositi postali, a tenere di piu’). Inoltre, la difficolta’ per le famiglie meridionali ad accedere ai finanziamenti bancari ha contenuto l’impatto negativo sul risultato lordo di gestione della crescita dei costi intermedi per Sifim, indotta dall’aumento degli spread sugli interessi passivi.

La reazione delle Alci

«Arriva purtroppo la conferma di una percezione ampiamente diffusa tra le famiglie italiane», afferma il presidente delle Acli, Andrea Olivero, «la percezione di una progressiva erosione dei redditi disponibili a fronte di una contemporanea contrazione dei servizi pubblici. Una diminuzione delle risorse, tra l’altro, non equamente distribuita, ma che allarga la forbice tra famiglie ricche e famiglie povere». Per Olivero il dato è «preoccupante anche dal punto di vista simbolico, perché rappresenta la conferma per le famiglie di uno slittamento verso il basso, che può incidere negativamente sul futuro, ingenerando un processo pericoloso di sfiducia e di rassegnazione». «Bisogna intervenire urgentemente per sostenere le famiglie» avverte Olivero. «E’ necessario operare per redistribuire maggiormente il reddito, anche attraverso la riforma fiscale. Serve un piano di rilancio dell’economia che abbia al centro non solo le imprese, ma le famiglie, oggi schiacciate, che possono invece rappresentare il motore della ripresa. Scommettere sulle famiglie segnerebbe un passaggio culturale strategico, nella direzione di una crescita non solo economica, ma relazionale e sociale»


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