Politica

Sir: i governi hanno affossato il documento a difesa dei cristiani

L'agenzia della Conferenza episcopale attaca l'annunciato ma poi mancato pronunciamento dei 27 ministri degli esteri riuniti a Bruxelles

di Redazione

«Se i diritti fondamentali, fra cui s’impone la libertà di credo, vengono negati, ogni occasione va colta allo scopo di custodirli. Per far questo, però, occorre un’azione politica e diplomatica non improvvisata, che sappia convincere di tale necessità tutti i governi dell’Unione: sono questi, infatti, che hanno materialmente affossato il pronunciamento del 31 gennaio, non una generica e indistinta Europa». È questo il duro commento diffuso oggi dal Sir, l’agenzia promossa dalla Conferenza episcopale italiana, sul ritiro del documento che i 27 ministri degli Esteri dell’Unione avrebbero dovuto approvare in materia di tutela dei diritti delle minoranze. Il dibattito si è bloccato sulla presenza o meno nel testo di un riferimento esplicito alle persecuzioni contro i cristiani.

«Non sarà semplice», spiega ancora la nota del Sir, «il cammino verso prese di posizione che – al di là della vuota verbosità, e sganciate da inopportuni fini politici ed elettorali nazionali – riescano a promuovere una reale, concreta tutela delle minoranze religiose in Europa e nel resto del mondo».

«In tal senso», osservano i vescovi, «il prossimo documento da portare all’approvazione dei 27 ministri degli esteri europei dovrebbe anzitutto tracciare un preciso quadro della situazione delle violenze e delle discriminazioni in atto nel mondo; in secondo luogo dovrebbe prevedere una durissima e non fraintendibile condanna dei Paesi che non tutelano i gruppi religiosi minoritari e la libertà di culto (su questi due punti la recente risoluzione del Parlamento europeo può fare da guida); dovrebbe infine indicare impegni precettivi sul piano politico e diplomatico».

Quindi «perché tale documento non rimanga carta straccia, dovrà infatti vincolare la stipulazione di accordi commerciali, lo stanziamento di aiuti per la cooperazione, la firma di trattati o il varo di partnership di qualunque tipo, alla piena e assoluta difesa dei diritti umani, fra cui l’imprescindibile libertà religiosa».

«Certo», rileva l’agenzia della Cei, «questo comporterebbe una severa rivisitazione della politica estera (ed economica) non solo dell’Ue nel suo complesso, ma di tutti gli Stati membri. I governi, le opinioni pubbliche, le imprese, i cittadini-consumatori dovrebbero anche coerentemente essere pronti a pagare il “prezzo necessario” per assicurare e promuovere i diritti umani e la libertà di fede nel mondo».

In una situazione di violenze e rivolgimenti diffusi nel mondo di cui speso le comunità cristiane sono vittime, si legge poi nel testo «l’annunciato e poi mancato pronunciamento dei 27 ministri degli esteri Ue riuniti a Bruxelles il 31 gennaio deve far riflettere. La riunione prevedeva infatti, all’interno di un fitto ordine del giorno, un dibattito sulla libertà di religione, ma il testo, steso dall’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, non ha soddisfatto i capi delle diplomazie, prevedendo riferimenti troppo generici all’argomento e omettendo di citare espressamente le violenze subite dalle comunità cristiane in tanti angoli del globo».

Quindi una considerazione di fatto: «L’insistenza di alcuni governi per un testo più coraggioso, con la condanna di casi ben individuabili, che prevedesse anche possibili misure politiche contro gli Stati che violano tale libertà, non ha ottenuto il necessario consenso unanime».

 

 


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