Non profit
Acli su dati Istat «competenze da riqualificare»
Pesante il ritardo dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei sul fronte dell'occupazione giovanile
di Redazione
È «pesante» il ritardo dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei sul piano della disoccupazione giovanile. Serve una «diffusa ed efficace riqualificazione delle competenze», per valorizzare il capitale sociale e agganciare la domanda di lavoro, superando il pregiudizio nei confronti del lavoro manuale e della formazione professionale.
È questo il commento delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani ai dati sulla disoccupazione diffusi oggi dall’Istat. Parla il responsabile del dipartimento lavoro delle Acli, Maurizio Drezzadore: «I numeri esprimono con chiarezza il nostro pesante ritardo rispetto agli altri paesi europei. Abbiamo una disoccupazione giovanile che raggiunge il 29 per cento, due giovani ogni 10 sono in dispersione, cioè fuori di ogni circuito di studio o di lavoro, 25 su 100 si ferma all’assolvimento dell’obbligo scolastico».
Le Acli evidenziano la contraddizione tra la crescente disoccupazione giovanile, il saldo occupazionale in crescita per gli immigrati e l’ampia gamma di professioni ricercate dalle imprese, ma non reperibili su mercato.
«Bisogna decidersi a superare – afferma Drezzadore – il diffuso sentimento di discredito che pervade il lavoro manuale, avviando una azione educativa verso le giovani generazioni che rimetta il lavoro al centro delle scelte di studio e di vita di tutti, riqualificando l’istruzione tecnica e la formazione professionale ed inoltre facilitando l’incontro con le imprese attraverso tirocini e stage aziendali. Il Paese potrà tornare a essere competitivo solo se avvierà una diffusa ed efficace riqualificazione delle competenze, a partire dagli oltre 650mila lavoratori che sono in cassa integrazione. Un massiccio processo di riconversione produttiva per valorizzare il capitale sociale e agganciare la domanda di lavoro che già oggi le imprese richiedono».
Ma la sfida riguarda in particolare i giovani, e chiama in causa imprese e scuola: «Oltre il 60 per cento delle propensioni ad assumere delle imprese italiane è orientato verso chi non ha alcun diploma. C’è una visione della selezione tutta orientata al risparmio sul costo del lavoro. Ma è una scelta perdente. Bisogna puntare invece sui giovani e la formazione, valorizzando il contratto di apprendistato professionalizzante, rafforzando il compito formativo delle piccole imprese e stabilendo una forte coesione tra impresa e offerta formativa professionale, aprendo la scuola alle esigenze del territorio».
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