Mondo
Egitto, Mubarak perde amici
Obama abbandona il Faraone, l'Italia sta a guardare
Mentre in Italia siamo alle prese con le convulsioni del sistema politico e istituzionale, il mondo assiste preoccupato alle vicende dell’Egitto, dove la rivolta popolare sta mettendo alle corde Mubarak, e gli Stati Uniti consigliano all’anziano capo di Stato di farsi da parte per una transizione verso la democrazia.
- In rassegna stampa anche:
- BERLUSCONI
- CARCERE
- MIGRANTI
- VOLONTARIATO AZIENDALE
- PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
“Obama spinge Mubarak all’addio” è il titolo a centro pagina del CORRIERE DELLA SERA che apre con una lettera esclusiva di Silvio Berlusconi al quotidiano diretto da de Bortoli. Una lettera tutta incentrata sulla proposta di un piano bipartisan per rilanciare lo sviluppo (ne parliamo più sotto). Questo intervento costringe dunque il quotidiano a dedicare tutte le prime pagine dell’edizione del lunedì alla politica interna e all’inchiesta sulle feste di Arcore. Bisogna arrivare a pagina 10 per trovare i fatti egiziani, anche se in prima, alla politica internazionale è dedicato l’editoriale di Giovanni Sartori: “Illusioni e delusioni”. Scrive Sartori: “Venendo al Medio Oriente, lì il grosso sbaglio del missionarismo americano è stato l’Iran. Lo scià Reza Pahlavi era sì un despota, ma un despota illuminato inteso a modernizzare il suo Paese. Quando scoppiò la rivolta istigata dal clero islamico, gli americani consigliarono ai generali dello scià di non resistere, di arrendersi. Khomeini rientrò trionfante da Parigi e li fece tutti fucilare. E da allora l’Iran degli ayatollah minaccia tutti i suoi vicini. Passando all’Iraq, probabilmente Bush credeva davvero che Saddam Hussein fabbricasse armi nucleari; ma in ogni caso credeva che la sua guerra avrebbe instaurato una democrazia a Bagdad. Poverino, l’intelligenza non è mai stata il suo forte. E lo stesso discorso si dovrà fare al più presto per l’Afghanistan, dove il problema non è di trasformare un millenario sistema tribale in uno Stato democratico, ma di impedire che diventi, o ridiventi, uno «Stato canaglia » nel quale il terrorismo islamico possa liberamente produrre micidiali armi chimiche e batteriologiche”. E più avanti conclude: “Al momento il caso più preoccupante è quello dell’Egitto. E al momento in cui scrivo Mubarak non è fuggito, è ancora lì; ma ha dovuto cedere il potere ai militari. Gli Stati Uniti hanno condannato, come da copione, Mubarak per l’impiego della violenza contro i manifestanti e sospeso gli aiuti militari. E ora il rischio è (come ha scritto sul Corriere Benny Morris) di ripetere «un secondo Iran». Mubarak è stato un leale alleato dell’Occidente, ha firmato la pace con Israele, non è stato un dittatore sanguinario e ha bloccato i Fratelli musulmani (che si presentano come un islam moderato che però appoggia Hamas in Palestina). Spero che Obama sappia come è andata in Iran e che non ripeta gli errori di allora. Viviamo in un mondo pericolosissimo, che dobbiamo fronteggiare non da missionari ma scegliendo il male minore”. Sempre in prima parte un altro commento, quello di Massimo Gaggi: “Obama e la sindrome del faraone”, che prosegue a pagina 28: “A questo punto, però, l’America non può che scommettere sulla maturazione delle principali componenti della società egiziana, a cominciare dai Fratelli Musulmani, la principale forza islamica del Paese. E sperare che i militari pilotino con equilibrio il Paese verso la scadenza elettorale già programmata. «Se vuoi la democrazia – nota l’analista Robert Kaplan – devi sapere che dovrai fronteggiare situazioni molto più complesse e imprevedibili: in democrazia non basta fare un solo numero di telefono per ottenere un risultato»”. A pagina 10 intervista di Cecilia Zecchinelli al politologo egiziano Hisham Kassem: “Questione di giorni. Mubarak cadrà e a succedergli sarà lo 007 Suleiman”. Ecco il suo parere: “Non siamo in Tunisia. Qui 79 milioni di persone su 80 vogliono legalità e ordine, i saccheggi e le violenze fanno paura. E Suleiman è rispettato e non è corrotto. Contro di lui protesteranno i movimenti di base e i partiti di opposizione che sono però una minoranza e non guidano la rivolta, che è senza capi. L’intero sistema è ormai disgregato. A far scoppiare tutto è stata la bomba demografica e la tecnologia, ovvero i giovani, internet e il satellite, non certo l’opposizione”. Il resto è cronaca, anche della vita quotidiana durante la rivolta: “Con le ronde anti-saccheggio: coltelli, tè e frustini” è il titolo del bel pezzo dell’inviato Davide Frattini a pagina 11.
LA REPUBBLICA apre con il titolo “Egitto, la sfida di El Baradei” e da pagina 2 a pagina 9 dedica articoli e commenti alla situazione nel Paese arabo. Renato Caprile firma il reportage sul discorso del Nobel per la Pace 2005, ex diplomatico e leader dell’opposizione: «“Indietro non si torna”. Poche, scontate parole urlate al megafono, sufficienti però a mandare in visibilio la piazza… Il presidente egiziano deve capire che il suo tempo è finito e lasciare pacificamente il potere, perché voi continuerete a essere qui, a manifestare fino a quando non se ne sarà andato». Nelle stesse ore, durante la prima riunione tra Mubarak e il nuovo esecutivo, il neo vicepresidente Omar Suleiman avrebbe consigliato a Mubarak di dimettersi. Intanto la strage non si ferma, il Paese è ridotto alla paralisi ed è scattato l’esodo degli stranieri. A pagina 6 viene riportata l’intervista che Hillary Clinton ha rilasciato al network americano Cbs in cui invoca libere elezioni ma spera che non finisca come in Iran e Obama ha dichiarato il suo «sostegno a una ordinata transizione verso un governo che sia in linea con le aspirazioni del popolo egiziano». Renzo Guolo firma l’articolo “La fratellanza musulmana” sull’altra faccia della rivoluzione: il ritorno in scena dei partiti islamici. «L’islam politico – scrive – è il fantasma che ha garantito l’appoggio americano al raìs ben prima dell’11 settembre. Dopo il 1981 l’Egitto ha assunto il ruolo di attore del contenimento islamista attraverso un modello di inclusione-repressione fondato sull’interdizione dalla scena politica dei Fratelli Musulmani e il pugno di ferro nei confronti dei radicali. Una mossa che impediva agli islamisti di fare politica ma consentiva loro di agire nel sociale, sul terreno dell’educazione e del welfare religioso… In molte cancellerie occidentali, ma anche nei meandri del potere mediorientale, i maggiori timori riguardano oggi proprio la Fratellanza, associazione religiosa ma anche partito politico di massa, unica forza organizzata e diffusa territorialmente nel panorama egiziano, guidata da una dirigenza in cui sono assai influenti gli esponenti di quella borghesia religiosa che da anni controlla gli ordini professionali di medici, avvocati, ingegneri… A dimostrazione della loro capacità tattica, ma anche della consapevolezza di non essere all’origine della protesta, essi danno ora la loro investitura, come leader provvisorio dell’opposizione, incaricato di negoziare il processo di transizione, a El Baradei». E nell’editoriale “L’occasione che perderemo”, Lucio Caracciolo sostiene: «L’occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo – spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall’Occidente – che destabilizza Nordafrica e vicino Oriente. Il successo della rivoluzione avvierebbe la transizione a un Egitto “normale”, con un potere politico legittimato dal popolo…. Obama e alcuni leader europei forse cominciano a capirlo. Non noi italiani. Continuiamo ad aggrapparci a un Egitto che non c’è più. L’Egitto che prova a nascere non lo dimenticherà».
IL GIORNALE si occupa del caso Egitto in prima in taglio basso. “Nel paradiso degli italiani arrivano i soldati” firmato da Gian Micalessin. «Sono centinaia i turisti che hanno preso letteralmente d’assalto l’aeroporto internazionale del Cairo per partire con il primo volo possibile. Tra loro ci sono anche molti italiani. Gli Stati Uniti hanno consigliato a tutti gli americani in Egitto di lasciare il Paese dopo i disordini degli ultimi giorni e ora i soldati egiziani sarebbero anche nella zona di Sharm El Sheikh: e la paura comincia a serpeggiare anche nel paradiso dei vacanzieri. Alcune società internazionali come Shell, Lukoil, Lafarge e Crédit Agricole hanno organizzato rimpatri per i dipendenti, ma nessun governo ha ancora deciso di evacuare i suoi cittadini.
Da venerdì, quando per la seconda volta in una settimana la folla è scesa in strada a protestare contro il regime e si è scontrata con la polizia, le hall dei grandi hotel del Cairo sono affollate da agitati turisti pronti a partire. Gruppi di americani, inglesi, italiani e francesi, bagagli alla mano, ascoltano attentamente le guide turistiche che forniscono loro informazioni sulla difficile situazione. Molti in queste ore hanno tentato di lasciare il Paese, in pochi hanno deciso di continuare le vacanze». Andrea Nativi firma l’analisi a pagina 10 “L’esercito egiziano, troppo forte per lasciarlo agli integralisti” «l’Egitto ha circa 350.000 soldati in servizio attivo, dei quali 250.000 sono coscritti, arruolati per una ferma di 36 mesi in base a un sistema di coscrizione selettiva. Il bilancio della Difesa è di quasi 2,5 miliardi di dollari all’anno, la forza armata principale è l’esercito, con quasi 300.000 militari e 240.000 riservisti. La punta di lancia è costituita da oltre mille carri da battaglia Abrams, prodotti su licenza e 1.700 M60, tutti americani. I veicoli da combattimento della fanteria sono mille di provenienza olandese e 2.300 M113 americani, oltre a 800 Fahd sviluppati localmente. L’artiglieria affianca 1.200 pezzi di produzione russa a 700 semoventi americani M109. Non mancano i missili balistici Scud e razzi d’artiglieria a lungo raggio. La Marina è invece abbastanza modesta, la forza alturiera comprende 6 fregate, tutte ex statunitensi, 2 corvette ex spagnole e 2 corvette cinesi. L’Aeronautica ha la sua componente principale nei caccia F-16 statunitensi, oltre 200, anche dell’ultimo modello Block 50 in corso di consegna. A questi si aggiungono aerei francesi Mirage, cinesi F-6 ed F-7, vecchi MiG-21, aerei radar e una consistente flotta di elicotteri. Immaginate cosa potrebbe accadere se questo arsenale passasse sotto il controllo di un governo islamico non moderato».
Sul SOLE 24 ORE on line, “Ma che ruolo gioca il gigante Al Jazeera”: Karima Moual, curatrice del blog Zmagria e autrice di un approfondimento sulla situazione in Marocco nell’ultimo numero di Vita, firma un pezzo sul ruolo del network arabo nel fomentare, con una copertura anti regime tunisino, la rivolta in Egitto. «Non c’è dubbio che, non da oggi» scrive Karima «il canale satellitare più diffuso del mondo arabo ha contribuito a diffondere un sentimento di avversione verso i governi autocratici sostenuti dall’Occidente in questa area del mondo». E chi ne trarrebbe vantaggio? Secondo la tesi del pezzo, il network arabo e di conseguenza il governo del Qatar, farebbe il gioco dei gruppi islamici fondamentalisti.
“I militari a Mubarak: dimettiti” titola LA STAMPA, che sottolinea già in prima pagina la presa di distanza degli Usa, per bocca del segretario di Stato Hillary Clinton: «Mubarak non ha fatto abbastanza per risolvere la crisi, in Egitto è necessario procedere a una transizione pacifica verso la democrazia». La Clinton però ha precisato che «gli Stati Uniti non fanno campagna per nessuna fazione politica». LA STAMPA intervista il giornalista egiziano Aladdin Elaasar, autore de “The last Pharaoh: Mubarak”, libro che ha raccontato con due anni di anticipo la caduta del presidente egiziano. L’Occidente ha trattato troppo con i dittatori, accusa Elaasar: «Gli arabi non hanno forse diritto a media liberi, elezioni regolari, a essere governati da civili e non da militari? L’Occidente, prigioniero della dottrina del male necessario, ha trattato troppo con i dittatori».
E inoltre sui giornali di oggi:
BERLUSCONI
CORRIERE DELLA SERA – Inusuale lettera al quotidiano scritta dal presidente del Consiglio in risposta all’intervento domenicale di Dario Di Vico sulle possibile terapie per ridurre il debito pubblico, e pubblicata ovviamente in apertura. Una lettera il cui clou politico è in questa frase: “Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico – scrive Berlusconi – . Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano. E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani”. Abboccherà Bersani all’esca del premier che cerca di uscire dal tunnel delle elezioni anticipate?
CARCERE
IL SOLE 24 ORE – “In vetrina i prodotti dei detenuti”. «Oltre duecento prodotti di ottima qualità e di ogni tipologia merceologica prodotti nelle carceri italiane da oggi si possono ammirare on-line sul sito del ministero di Giustizia (www.giustizia.it). Sulla homepage di via Arenula, infatti, è consultabile la “bacheca di prodotti dal carcere”; vetrina dell’artigianato di qualità che viene realizzato da oltre 110 tra aziende e cooperative all’interno degli istituti di pena italiani. (…) Gran parte del merito di questa crescita è della cosiddetta Legge Smuraglia (legge 22.6.2000, n.193) che offre importanti sgravi fiscali e contributivi a cooperative e imprese che danno lavoro ai detenuti».
MIGRANTI
LA REPUBBLICA – A Tito Boeri è affidato il commento sulla “Follia del click-day per gli immigrati”, il meccanismo in tre giornate scatta oggi per chiedere il permesso di lavoro di 100mila immigrati: «Bisognerebbe chiamarli abdic-day perché sanciscono l’incapacità di governare i flussi migratori, la scelta di abdicare da questa responsabilità». I servizi a pagina 21.
VOLONTARIATO AZIENDALE
IL SOLE 24 ORE – “Solidarietà in azienda con profitto”. Un articolo di Elio Silva che parte dalla prima e che parte con il racconto di partnership tra Terna e Coopi già raccontata da Vita. Una storia che «non rappresenta un caso isolato. Secondo Massimo Ceriotti, responsabile marketing di Sodalitas, la fondazione per la responsabilità sociale e il non profit di Assolombarda, partner italiano della britannica Business in The Community che organizza il premio europeo sul volontariato d’impresa, “le candidature pervenute quest’anno sono tutte di valore e attestano che l’attenzione e la sensibilità delle imprese nel coinvolgimento delle risorse umane non hanno risentito negativamente della crisi”. (…) Sodalitas stima che il volontariato d’impresa coinvolga ogni anno in Italia oltre 6mila professionisti d’azienda, che dedicano oltre 10mila giornate lavorative alla comunità. E una ricerca effettuata l’anno scorso dalla società Swg per l’osservatorio Socialis di Errepi comunicazione ha rilevato, su un campione di 800 aziende con oltre 100 dipendenti, che il 16,7% degli imprenditori invitano il personale a partecipare a iniziative sociali, mentre per il 54,3% degli intervistati l’opportunità di un coinvolgimento attivo è decisiva per il successo di un progetto».
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
ITALIA OGGI – Il quotidiano dei professionisti dedica l’apertura in prima alla riforma dell’amministrazione digitale entrata in vigore il 25 gennaio. Una riforma che prevede la trasmissione telematica di tutta la documentazione scambiata tra impresa e pubblica amministrazione. Il pezzo “Amministrazione digitale” spiega cosa cambierà per imprese e cittadini. Tra gli esempi citati, c’è il divieto per qualsiasi ente pubblico di richiedere ai cittadini o alle imprese un documento che sia già nella disponibilità di un’altra pubblica amministrazione. Il pezzo fa anche notare che nel decreto legislativo 235 si prevedono meccanismi sanzionatori e premiali per i dirigenti pubblici. Per il momento però non cambierà nulla. Saranno infatti necessari da tre a 12 mesi e numerosi decreti attuativi per dare applicazione alle disposizioni.
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