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Il Mediterraneo brucia

Dalla Tunisia la protesta dilaga in Egitto e in Libano

di Franco Bomprezzi

Le tensioni in Egitto e nell’area del Mediterraneo ci riportano a temi di grande rilevanza internazionale, e i giornali oggi, per la prima volta dopo l’esplosione del caso Berlusconi, danno ampio spazio a un tema differente.

Falsa apertura con foto notizia, questa la scelta del CORRIERE DELLA SERA: “«Basta Mubarak» Scontri e morti nelle vie del Cairo”, e subito sotto il titolo, l’analisi di Antonio Ferrari: “La paura del contagio”. Migliaia in marcia ieri nelle vie del Cairo, scontri e vittime (il bilancio stamattina parlava di cinque morti). E’ la protesta più imponente da trent’anni. Al grido di “La Tunisia è la soluzione”, “Mubarak vattene, l’aereo t’aspetta” in migliaia hanno risposto ieri in Egitto all’appello per la “giornata della rabbia” lanciato su Facebook e diffuso con il passaparola. Servizi alle pagine 2 e 3 del CORRIERE. “La rivolta contagia l’Egitto, scontri e vittime” è il titolo del pezzo di Cecilia Zecchinelli, con una enorme foto-simbolo: un manifestante sfigura il volto di Mubarak su un manifesto ad Alessandria. Di spalla, a pagina 3, Lorenzo Cremonesi racconta: “Tunisia, tensione ancora alta. Due disoccupati si danno fuoco”, mentre, altro titolo basso, “I libanesi in piazza contro il premier vicino a Hezbollah”. Viviana Mazza, infine, scrive un pezzo interessante sulla diffusione dei social network: “La protesta dei giovani si dà appuntamento su Facebook e Twitter”. Ma leggiamo l’analisi di Antonio Ferrari: “Certo quel che accade in Egitto non è lontanamente paragonabile a quanto è accaduto in Tunisia. Nel piccolo paese che fu di Ben Ali la rivolta (che non si è ancora conclusa) avrà conseguenze importanti ma limitate. Se dovesse sfaldarsi il potere egiziano (c’è davvero da augurarsi che non accada) sarebbe una vera catastrofe sia per il paese, che è il più importante del mondo arabo, sia per l’intera regione. Che si allarga a tutto il Medio oriente.”. E più avanti: “Ma ci sono altri due problemi – scrive Ferrari – a rendere ancor più amaro questo inizio d’anno per il presidente Mubarak, che è al timone dell’Egitto da 30 anni: uno riguarda l’uomo che ha incoraggiato la gente a scendere in piazza, Mohammed El Baradei, che ben oltre il ruolo avuto all’agenzia nucleare è riuscito a conquistare grandissima popolarità nel paese. Il secondo problema arriva da Alessandria, la storica città infinitamente più piccola del Cairo dove tutto è cominciato con la strage dei cristiani-copti, la notte di Capodanno, all’uscita dalla chiesa dei due Santi. La strage, sicuramente pianificata da estremisti sunniti legati ad Al Qaeda, aveva un obiettivo: quello di creare un conflitto tra musulmani e copti. Ma il piano non è riuscito, anche se ieri le manifestazioni più dure contro il regime di Mubarak si sono svolte proprio ad Alessandria. Il paradosso è questo. Mentre i fratelli musulmani, al Cairo, parevano defilati, ad Alessandria erano in prima fila”.

 “In Egitto esplode la rivolta anti-Mubarak, 4 morti”: LA REPUBBLICA apre con il premier (“Berlusconi: la mia verità su Ruby”) ma riserva la foto-notizia in taglio centrale ai disordini del Cairo. I servizi da pagina 16: riferisce Bernardo Valli parlando di una città invasa dalla rabbia condivisa. «Da ieri sera il vecchio rais, al potere da trent’anni, non traballa, ci vuole altro per scuoterlo dal potere fino a che l’esercito è alle sue spalle, ma egli ha potuto constatare quanto gli avvenimenti tunisini abbiano acceso gli animi del mondo arabo. Ed anche nel suo paese, il più storicamente prestigioso e strategicamente importante. E questo non deve lasciarlo tranquillo». A settembre scade il mandato politico di Mubarak (che ha 82 anni). Certo il suo ritiro dalle scene sarebbe un avvenimento di grande rilievo. «In particolare», prosegue Valli, «se si passasse a un certo tipo di democrazia, in cui sarebbe inevitabile dare legittimo spazio ai movimenti religiosi» (i Fratelli musulmani non hanno ufficialmente aderito alla protesta, ma molti suoi esponenti erano in piazza a titolo personale). Era dal ‘77 che non vi vedeva una manifestazione simile; da qui la smisurata reazione della polizia. La protesta motivata dal rincaro dei prezzi si è comunque estesa a tutto il paese. Sostenuta da Twitter e Facebook: i social network che hanno incoraggiato alla protesta (ma poi i provider hanno ricevuto l’ordine di oscurare internet; sono stati zittiti anche i cellulari). Gli Usa ostentano serenità: secondo la Clinton «il governo egiziano è stabile e sta cercando soluzioni». In appoggio un pezzo di Alberto Stabile sulla crisi libanese, dove nasce l’esecutivo degli Hezbollah. L’incarico di formare un nuovo governo è stato dato a Najib Miqati, miliardario di Tripoli e di religione sunnita. Una sorte di golpe bianco, visto che all’opposizione è andato il partito che nel 2009 aveva vinto le elezioni.

IL GIORNALE apre sui guai finanziati di Fini per la casa di Montecarlo, continua con 8 pagine sugli scandali politici, il fango che uccide, l’assalto mediatico a Berlusconi e gli scontri politici e parla della situazione in Egitto solo a pagina 13. Il titolo è “Brucia anche l’Egitto, trema il faraone Mubarak”. Una cartina dedicata alla polveriera del Maghreb illustra “l’effetto domino” che dopo le proteste a Tunisi ha acceso le proteste anche al Cairo causando tre morti. La polizia costretta a ritirarsi davanti alla folla inferocita che, come i manifestanti tunisini, chiede migliori condizioni sociali, stipendi più alti e prezzi del pane più contenuti e soprattutto la fine di un regime autocratico e poliziesco. In un box intitolato “Ecco perché Washington scarica gli ex alleati” Marcello Foa svela i retroscena e spiega perché Obama non ha speso una parola in difesa di Ben Alì, considerato un amico fedele: «Anzi, a rivoluzione conclusa, Obama ha salutato “il coraggio e la dignità del popolo tunisino”. Nel frattempo erano usciti i file di Wikileaks, come sempre provvidenziali, nei quali risultava che l’ambasciata americana confidenzialmente aveva criticato aspramente Ben Alì. Quando si dice le coincidenze… Di fronte agli sviluppi in Egitto, Washington sembra ricalcare il copione tunisino. Negli ultimi giorni sono emersi segnali inquietanti sul Cairo. Ora la folla occupa il centro del Cairo. E Washington tace. Forse perché l’anziano e malato Mubarak, al pari di Ben Alì, non è più considerato indispensabile dall’Amministrazione Obama? Questa, sì, sarebbe una svolta…».

L’immagine scelta da IL MANIFESTO è quella dei disordini al Cairo, al centro della foto una ragazza che si contrappone ai poliziotti in tenuta antisommossa. Evocativo il titolo «La nipote di Mubarak», si spiega nel sommario: «La rivoluzione tunisina fa scuola in tutto il mondo arabo e mediterraneo. Si infiamma anche l’Egitto, che scende in piazza contro il regime di Mubarak. Al Cairo tentato assalto al Parlamento, un poliziotto muore schiacciato nella calca. Due manifestanti uccisi a Suez, decine i feriti, centinaia di arresti. Ma la protesta non si ferma: “Vogliamo lavoro e libertà”». Giuliana Sgrena, sempre in prima pagina scrive nell’articolo intitolato «Gelsomini contagiosi»: «Effetto a catena. S’incendia tutto il Mediterraneo. Ora tocca all’Egitto, dopo Albania, Tunisia, Algeria, Marocco, Giordania e Mauritania. È solo effetto della rivoluzione dei gelsomini? Certo, l’esplosione della Tunisia che sembrava il regime più solido nella sua repressione ha provocato un effetto dirompente. (…) Ben Ali non era l’unico despota della regione, la concorrenza è sfrenata con Mubarak, Bouteflika e Berisha. Molti gli obiettivi comuni della rivolta: cambio di regime, giustizia, lotta alla corruzione e miglioramento delle condizioni di vita. In alcuni casi, come la Tunisia, si è partiti dalle condizioni sociali per arrivare al cambio di potere (…)». E continua guardando all’Algeria: «Anche in altri paesi “contagiati” dalla protesta come l’Algeria le condizioni di vita sono state l’elemento scatenante. Alla base vi è il forte squilibrio tra chi sfrutta la rendita petrolifera e chi invece continua a vivere in condizioni di estrema povertà, senza lavoro e senza futuro (…). Conclude Sgrena: «Se la rivolta porterà all’abbattimento delle repubbliche monarchiche si vedrà, quel che è certo è che l’Europa e l’Italia dovranno fare i conti con la rivoluzione dei gelsomini. E ora che la protesta è arrivata anche al Cairo, a preoccuparsi sono anche gli Stati Uniti, mentre Hillary Clinton assicura che «Mubarak è stabile». Una rivolta si può soffocare, una rivoluzione no, tanto più che tocca i più fedeli alleati dell’occidente. Finora l’Europa si è limitata a costruire la propria fortezza sfruttando i mercati e la manodopera dell’altra sponda del Mediterraneo, oltre che la collaborazione nel respingimento degli immigrati. Domani forse ci chiederanno il conto». A pagina 9 gli articoli dedicati al «contagio mediterraneo».
 
«L’hanno chiamata «la giornata della collera». Una rabbia covata da molto tempo, pronta ad esplodere alla prima occasione utile. La collera dapprima si è manifestata sui social network, dove ha raccolto l’adesione di quasi 100mila simpatizzanti. Da Facebook e Twitter, a un certo punto oscurato – che hanno informato i partecipanti sui luoghi veri della protesta – la gente si è riversata nelle piazze del Cairo.» Comincia così l’articolo di Roberto Bongiorni su IL SOLE 24 ORE a pagina 12 dedicato alle rivolte che stanno colpendo l’Egitto. Immancabile il commento sull’apporto di Internet in occasione delle manifestazioni di piazza. Ci pensa Karima Moual in taglio medio nella stessa pagina: «Ancora una volta la protesta è partita da Facebook. Come in Tunisia, come in gran parte del nord Africa, è dai nuovi strumenti di comunicazione che sale la primavera araba. Perché è qui, intorno ai blog e ai social network, che le nuove generazioni si aggregano, imparano nuove idee e le diffondono su larga scala. Ed è proprio in ricordo di un blogger, Khaled Sa’id, pestato a morte dalla polizia lo scorso giugno, che si è tenuta la manifestazione di ieri al Cairo  (…)  Come ha osservato Zouhir Louassini, sul portale arabismo.it, “i tunisini hanno demolito quell’alibi che voleva gli arabi incapaci di ribellarsi contro l’oppressore. A loro spetta distruggere un altro pretesto usato anche dagli occidentali: gli arabi non sono pronti per la democrazia”». Il tutto, è bene sottolinearlo, lanciato in prima con una fotonotizia, tagli taglio medio, su cui campeggia un manifestante con un cartello con su scritto: “Mubarak, vai via”. Il commento (inutile) alla notizia arriva invece direttamente dalla direzione. Siamo a pagina 14, poche righe per ripetere (peggio) quello che è descritto a pagina 12.

“Egitto – Prove di rivolta anti-Mubarak”. Fotonotizia in prima su AVVENIRE per i fatti del Cairo. Il servizio di Federica Zoia è a pagina 7 “Egitto, la «collera» esplode nelle piazze”. Il pezzo di cronaca racconta degli scontri, di taglio un’analisi che sottolinea il ruolo delle componenti economiche “Inflazione alle stelle, come nel 2008”: «Le autorità egiziane hanno cercato di correre ai ripari con una serie di misure tese ad allentare la morsa della miseria (…) Innanzitutto il ministero dell’Agricoltura ha aumentato l’importazione di carne dal Kenya e di mucche dall’Etiopia per contenere e abbassare il prezzo di un alimento sempre più assente dalle tavole egiziane. Ma sono tutti beni primari ad aver subito un rialzo vertiginoso: secondo stime, l’inflazione nelle aree urbane avrebbe superato il 14% a dicembre».

LA STAMPA titola in prima, taglio alto, “Egitto e Libano, la rabbia incendia la piazza”. Sotto due fotonotizie degli scontri. Tra le due immagini un commento di Lucia Annunziata “Le crepe di un fragile equilibrio”. «Il primo febbraio del 1979 l’ayatollah Khomeini ritornava in Iran, il 26 marzo dello stesso anno il presidente egiziano Anwar al Sadat firmava a Washington gli accordi di pace con Israele. Il mondo occidentale risolveva un problema e ne acquistava un altro; trovava un nemico e guadagnava un amico. Per capire l’importanza dell’Egitto occorre tenere in mente quella data che segna anche il delinearsi del nuovo turbolento Medio Oriente in cui ancora viviamo. Da allora il mondo – e il nostro in particolare – si regge su questo precario bilanciamento fra un mondo musulmano con governi a ispirazione religiosa e governi moderati. L’Egitto è da allora il perno di un incerto equilibrio fra queste due realtà; un Paese sostenuto e strapagato, per questo suo ruolo, da tutte le democrazie occidentali, in primis gli Stati Uniti che al Cairo dedicano il loro secondo contributo in aiuti internazionali (dopo quello a Israele) anche per il ruolo che il Paese gioca nella lotta al terrorismo musulmano. L’Egitto stesso vive immobilizzato da questo precario equilibrio fra stato di polizia e patria del radicalismo dei Fratelli Musulmani. Immobile al punto che il presidente Hosni Mubarak è ormai chiamato il Faraone. Immobile, fino a ieri. Ieri infatti è successo qualcosa che gli egiziani e il resto del mondo non vedevano da tempo: grandi manifestazioni che hanno riempito le strade del Cairo, di Alessandria di tante altre città del Delta. In nome della Tunisia, rendendo visibile e fattibile l’ipotesi di un contagio della rivolta democratica a tutti i Paesi del Nord Africa. Con la differenza che si diceva: se l’Egitto esce dal suo immobilismo la crisi che si apre ha esiti imprevedibili, e soprattutto incalcolabili nel loro impatto». All’interno il retroscena di Claudio Gallo, inviato a Beirut “Il Libano filo-occidentale si ribella agli iraniani”. «C’ è stato un attimo nei giorni scorsi in cui è sembrato che la crisi libanese potesse ricomporsi grazie alla mediazione di Arabia Saudita e Siria. Armati di lima, i due arcinemici avevano cercato di ridurre i contrasti tra i loro protetti: la coalizione del 14 marzo (i sunniti di Hariri e soci) e quella dell’8 marzo (gli sciiti di Hezbollah e soci). Il momento magico è ormai un’ipotesi ragionevole ma inverificabile del passato, come quella che sia stato Washington a volere il tracollo della trattativa per non perdere una buona occasione di fare i conti con Hezbollah. Il partito sciita, che molti in Libano chiamano semplicemente “la resistenza”, occupa i primi posti nella lista americana delle organizzazioni terroristiche. A dividere i due schieramenti, quello filo-occidentale e filo-saudita di Hariri e il fronte del partito di Dio sostenuto da Siria e Iran, è stata l’esplosiva questione del Tribunale dell’Onu (Stl) che indaga sull’omicidio di Raiq Hariri (padre di Saad, premier fino a una settimana fa) il giorno di San Valentino del 2005. Le indagini del Tribunale presero subito la via di Damasco, che allora aveva il controllo ferreo dell’intelligence libanese, ma uno scandalo di falsi testimoni ha rovesciato il tavolo e le carte».  In conclusione Gallo spiega che «L’America non vuole che Hezbollah e i suoi alleati conquistino una maggiore legittimazione nella regione». Idea confermata dal segretario di Stato Hillary Clinton che avverte: «Un governo controllato da Hezbollah avrebbe chiaramente ripercussioni». In più, Washington spera che l’azione del Tribunale speciale trascini volente o nolente l’Europa a riconoscere Hezbollah come organizzazione terroristica. A quel punto, il passo verso un regime internazionale di sanzioni in stile iraniano contro un Libano a guida sciita sarebbe breve. E infatti voci incontrollate uscite sulla stampa israeliana vogliono che nel dossier di incriminazione sia citata la partecipazione diretta all’omicidio dei Guardiani della rivoluzione, secondo un ordine della Guida Suprema Khamenei. La crisi assumerebbe così un rilievo internazionale. Dopo il promettente discorso del Cairo, Obama si ritrova invischiato nel Libano di Bush». Paola Caridi invece da Il Cairo racconto della rivolta egiziana firmando “Dieci cento Tunisie. La rivolta corre sul Web”. Da questo articolo sul sito del quotidiano viene prposto un filmato degli sconti e un giovane che si oppone ad un camio dell’esercito. Si legge nella didascalia: «Il 5 giugno del 1989 uno studente cinese si piazzò di fronte a un carrò armato e gli sbarrò il passo verso Tienanmen. Non si è mai saputo chi fosse, ma il filmato che riprese l’uomo armato solo di due buste di plastica è passato alla storia. Se ne è ricordato il giovane egiziano che in una strada del Cairo ferma la marcia di un camion che usa gli idranti contro la folla di manifestanti. Il filmato che lo riprende è stato postato su YouTube, e riporta la memoria a ventidue anni fa. Al manifestante si uniscono, poi, altri due, tre ragazzi che il camion, dopo qualche secondo di incertezza, spinge in avanti avanzando lentamente, fino a liberarsene». E sempre online viene sottolineata quella che la Caridi definisce una «lotta a colpi di mouse» del web egiziano con un altro articolo a cura della redazione “Egitto, la rabbia buca la censura. E’ l’inizio della nostra Intifada”. In cui si racconta la guerra attraverso post su blog, social network (Twitter, Facebook) e siti vari. La guerra 2.0. 

E inoltre sui giornali di oggi:

CASO CUCCHI
CORRIERE DELLA SERA – Due pagine, 22 e 23, dedicate alla prima condanna e ai dodici rinvii a giudizio per il caso Cucchi, morto sei giorni dopo il ricovero. Accusati sei medici, tre infermieri e tre agenti. Due anni di reclusione dopo il rito abbreviato per Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del “Prap”, il Provvedimento regionale dell’amministrazione penitenziaria per falsità ideologica e abuso d’ufficio. Di spalla Giovanni Bianconi racconta la reazione della famiglia: “Per loro era solo un tossico. Manca l’accusa di omicidio”.

STATI VEGETATIVI
AVVENIRE – “De Nigris scrive a Englaro: ci aiuti a pacificare gli animi”. Il prossimo 9 febbraio sarà la giornata nazionale degli stati vegetativi e il direttore del centro studi per la ricerca sul coma Gli amici di Luca di Bologna invia una lettera aperta a Beppino Englaro: «Questa può essere l’occasione per pacificare gli animi, per trovare un ragionevole punto di comprensione (…) Nessuno ha in animo di contrapporre un movimento pro vita a un altro pro morte. Noi vorremmo soltanto che non si contrapponesse la libertà di scelta al diritto di cura».

FEDERALISMO
LA REPUBBLICA – Nelle pagine di economia, il quotidiano diretto da Ezio Mauro fa il punto sul federalismo, su cui Calderoli presenterà domani una nuova bozza (il Terzo polo è orientato a bocciare anche questo, critico anche il Pd). Confermata la cedolare secca, l’aliquota sull’Imu (ma si discute se del 7,6 per mille o dell’8,5), possibile un mini-quoziente familiare con fondi per 400 milioni.  Di «scatola vuota» parla Marta Vincenzi, sindaco di Genova: mi spaventa «la fretta con cui il governo tenta di portare a casa questo risultato. Una pressione tutta politica che mette in secondo piano i numeri». E di dati parla il dossier accanto: “Addizionali Irpef sbloccate per il contribuente medio un salasso fino a 160 euro”. I comuni premono per lo sblocco dell’Irpef (ferma dal 2008) ma in questo caso ci sarebbe un ulteriore esborso da parte dei cittadini. Lo ha calcolato la Cgia di Mestre: se tutti i sindaci applicassero l’aliquota massima, entrerebbero nelle casse municipali nuovi incassi pari a 2,66 miliardi.

IL GIORNALE – “Terzo polo anti-federalista per colpire la Lega” si intitola a pagina 9 l’articolo di Paolo Bracalini sul braccio di ferro politico intorno al federalismo che parla di vendetta di Fli, rutelliani e Udc contro il Carroccio, dopo il rifiuto di scaricare Berlusconi in cambio dell’appoggio in aula sul provvedimento. I lumbard si dicono disposti solo a concedere modifiche sulla norma, ma non a lasciare gli alleati: «La risposta della Lega è stato un duo di picche clamoroso, condito – nel caso di Fini – con la richiesta ufficiale di aprire un dibattito parlamentare sulla compatibilità del leader Fli con il ruolo di presidente della Camera. Però i leghisti continuano il lavoro di aggiustamento del decreto, per ottenere i voti mancanti in commissione».

LAVORO
IL MANIFESTO – Inizia in prima pagina l’articolo di Loris Campetti, dedicato alla presentazione del Piano di azione per l’occupabilità dei giovani cui viene dedicata pagina 5. Scrive Campetti riferendosi ai tre ministri Sacconi, Gelmini e Meloni: «Non hanno pudore né vergogna. Se i giovani non trovano lavoro, se i laureati sono costretti a fuggire all’estero, se chi ha venti o anche trent’anni non è in condizioni di immaginare un futuro ed è costretto a vivere con i genitori, non si chiedono dove hanno sbagliato, ma perseverano. Anzi peggiorano la situazione e arrivano a insultare le loro vittime. (…)» e continua: «Il trio ministeriale, recuperata la filosofia fascista del “me ne frego”, non ascoltano le parole di Napolitano sul paese che non esce dalla crisi e non cresce, a differenza di quella Germania che governo e imprenditori presentano come modello, ma al fine improprio di bastonare chi non si piega ai loro diktat. Non leggono i dati allarmanti di un organismo tutt’altro che neutrale come il Fondo monetario, o l’Organizzazione internazionale del lavoro. I genitori che già sopportano il ruolo loro imposto di povera banca per dei poveri figli, sono anch’essi dei depravati. Invece di regalare l’automobile ai fannulloni “inadatti all’umiltà” dovrebbero investire i soldi in pensioni private per gli oziosi, visto che dallo stato non l’avranno mai (…)». E conclude: «Questo governo è un pericolo pubblico, ogni giorno in più di vita ne cancellano cento agli “inadatti all’umiltà”. E le immoralità più gravi, probabilmente, non sono le notti di Arcore di Berlusconi. Ma qui siamo in Italia, la Tunisia, l’Egitto e l’Albania sembrano ancora lontane».

AMBIENTE
IL SOLE 24 ORE – Il Fai incorona il Gargano. Si  concluso il censimento annuale organizzato dal Fondo Ambiente Italiano sui “luoghi del cuore”. Scorci di paesaggio, architetture, edifici che necessitano di attenzione e investimenti per essere recuperati, segnalati dagli stessi cittadini al FAI e da questo alle istituzioni. Record dell’iniziativa quest’anno che ha coinvolto mezzo milione di votanti.

COOP
ITALIA OGGI – “Un taglio alle coop farlocche” secondo il quotidiano del gruppo Class è questo il primo obiettivo della nuova alleanza delle cooperative italiane (coinvolte Legacoop, Confcoop e Agci) che nasce domani a Roma. L’obiettivo è quello di “sfoltire” 20mila imprese inattive. Sergio Luciano, autore dell’articolo, la definisce “Operazione-bonifica”. «È un fenomeno che va stanato. Chi costituisce una coop solo per speculare deve essere individuato e punito», spiega Rosario Altieri, presidente dell’Agci. Che aggiunge: «Ci sono in Italia circa 20mila cooperative che dichiariamo spurie, o quanto meno non più attive, che in molti casi, purtroppo, speculano». 

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