Non profit
Referendum, si fanno sul serio
Acqua, nucleare e legittimo impedimento: i sì della Consulta
Via libera ai referendum sull’acqua e sul nucleare, oltre che sul legittimo impedimento. In attesa del pronunciamento sulla costituzionalità dello “scudo” per il premier, la Corte Costituzionale si esprime su quesiti che saranno di grande impatto.
“Consulta, oggi il verdetto. Il premier: io indifferente” è il titolo in prima del CORRIERE DELLA SERA. E infatti è l’attualità politica dell’attesa per la Corte riunita a mettere in sordina le decisioni prese ieri dalla Consulta. Il quotidiano milanese le illustra alle pagine 2 e 3. “Scudo, nucleare, acqua. Ammessi quattro referendum” è il titolo di apertura a pagina 2. Al centro le schede dei quattro referendum ritenuti ammissibili. Eccole. Il quesito sui processi di premier e ministri, il quesito sul nucleare e il no alle nuove centrali nucleari, e poi due diversi quesiti sull’acqua: il primo è sul no ai servizi privati, il secondo è sulla tabella delle tariffe. Nel pezzo di Dino Martirano i primi commenti: “Antonio Di Pietro si è presentato in sala stampa alla Camera per dichiarare vittoria: «E’ arrivato il momento della resa dei conti. In questo modo i cittadini possono ridisegnare un nuovo volto dell’Italia. No alla privatizzazione dell’acqua, no alle centrali nucleari e soprattutto no ai furbi che si mettono in politica per non farsi processare». Un bel «pacchetto di mischia» – questo dei tre quesiti – che preoccupa governo e maggioranza. «Così come concepito dalla nostra Costituzione, l’istituto del referendum andrebbe abolito», azzarda Mario Valducci del Pdl. Il ministro Raffaele Fitto (Pdl) aggiunge che quella referendaria su acqua e nucleare «è una battaglia di retroguardia frutto di una cultura che non ha ancora fatto i conti con la modernità». Stefano Leoni (Wwf) ribadisce l’appoggio alle iniziative referendarie su acqua e nucleare e lo stesso fa Angelo Bonelli (Verdi) che però si rivolge all’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) affinché sospenda lo spot del Forum nucleare. «A primavera si deciderà su un bene essenziale e la vittoria consentirà di invertire la rotta sulla gestione dei servizi idrici e su tutti i beni comuni», ricorda infine il comitato promotore referendum per l’acqua pubblica”. Intanto a Berlino Berlusconi fa spallucce: “Il governo non rischia, ma c’è una patologia del sistema giudiziario”.
LA REPUBBLICA sceglie in pratica una apertura doppia: di spalla più piccolo “Consulta, Berlusconi attaccai i giudici «Sono una malattia»”, mentre al centro “Con il no giusto che Fiat vada via”, ovvero il virgolettato del premier che si schiera con Marchionne. Sul legittimo impedimento e la Consulta l’approfondimento, a pagina 9, spiega come si vada verso l’incostituzionalità e come siano stati ammessi 4 quesiti referendari, oltre a quello promosso da Di Pietro (sul legittimo impedimento), ovvero quelli sulla privatizzazione dell’acqua e sul nucleare. «È oggi il gran giorno. Nelle mani della Consulta l’ennesimo scudo per evitare che il Cavaliere si sobbarchi allo stillicidio delle udienze dei casi Mills, Mediaset, Mediatrade», scrive Liana Milella. «È un fatto, siamo divisi, la decisione sarà comunque presa a maggioranza, e qualcuno ci resterà male o si sentirà frustrato, ma questo non ci preoccupa, l’importante è che essa sia chiara, comprensibile, e non lasci adito a dubbi» dice una fonte qualificata della Corte.
“L’ora della verità sul legittimo impedimento” è il titolo della spalla della prima pagina de IL GIORNALE, che nel testo definisce quella del referendum «il piano B dei giudici». Il pezzo è in talgio basso a pagina 6 “Prima della sentenza il via libera al referendum”, con solo poche righe in coda dedicate ai quesiti referendari su nucleare e acqua.
Piccolo richiamo in prima pagina de IL MANIFESTO per l’ammissione dei quesiti referendari su acqua e nucleare «Acqua e no nuke stavolta si può fare». «Vincono i cittadini: sì della Consulta a due quesiti per l’acqua bene comune non profit e a quelli dell’Idv contro il nucleare e il legittimo impedimento. Si vota in primavera. Esultano i comitati: “Ora parte la corsa al quorum”», due le pagine che raccontano le reazioni (la 6 e la 7), apre il commento di Guglielmo Ragozzino «Un’occasione per far saltare la malapolitica» dove si legge «Ai referendum di primavera sull’acqua e sul nucleare servirà una straordinaria mobilitazione politica, sempre che si voglia vincere e non solo fare una bella figura di ambientalisti generosi e perdenti (…)» e conclude: «Chi vuole prendersi la gestione dell’acqua e quindi mettere in vendita il suo valore d’uso, chi vuole per sé il territorio per farne una fornace atomica, controllata dalle guardie armate ha deciso di racchiudere quel particolare bene comune in un recinto inaccessibile e di escluderne tutti gli aventi diritto, con la forza di una legge estorta con l’inganno. La spoliazione dei diritti, dei beni comuni, è uno degli aspetti dell’impoverimento generale della popolazione, a favore di pochi, sempre più ricchi, sempre più protervi, sempre più disposti a ingannare le masse, a derubarle con la scusa della modernità. I referendum sono dunque una grande occasione per rimettere qualcosa a posto, ricostruire un futuro di cui non vergognarsi».
“Ora si decide su Fiat e Berlusconi”. Gli eventi più importanti della settimana politica ed economica condensati in un pezzo a pag. 3 nella sezione Primo Piano di ITALIA OGGI. Il pezzo mette in evidenza l’appoggio del premier alla linea dura di Marchionne, ma soprattutto fa l’analisi delle parole del premier sulla sentenza della consulta pronunciate ieri a Berlino. Secondo ITALIA OGGI «il premier si sta preparando ad assorbire il colpo». Quello che sta facendo Berlusconi, aggiunge il pezzo è «di smontare le attese su un verdetto che anche se sarà positivo o parzialmente positivo per Berlusconi, non scriverà la parola fine. Perché intanto ieri la Consulta ha dato il via libera al referendum sul legittimo impedimento di Antonio di Pietro». Nella Nota Politica a pag 2, Marco Bertoncini, parla del possibile scenario post consulta. «Il presidente del consiglio, ha captato che né Fini né Casini intendono infastidirlo più di tanto, così da provocare elezioni anticipate. Conta di durare senza logorarsi, con l’appoggio di fatto del terzo polo. La stessa Lega per portare a casa il federalismo è pronta a qualsiasi intesa con le opposizioni, o meglio con una parte di esse. Il pezzo s’intitola “L’imperativo del Cav è uno solo: durare”.
AVVENIRE dedica un piccolo fotorichiamo in prima alla decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. A pagina 12 l’articolo di Giovanni Grasso sullo scudo al premier. Per Berlusconi «non c’è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l’esito della decisione della Consulta» e aggiunge: «Non ho chiesto io la norma che sospende i processi, ma in caso di stop andrò in tv a spiegare la giustizia politicizzata». Dure le opposizioni. Il Pd, con Donatella Ferranti, incalza: «Se Berlusconi veramente non fosse stato interessato al legittimo impedimento avrebbe potuto non usufruirne, mentre i suoi legali lo hanno utilizzato immediatamente». Mentre Di Pietro si dice sicuro che «la resa dei conti giudiziaria per Berlusconi si avvicina: se non ci penserà la Consulta, il legittimo impedimento sarà spazzato via dal referendum». AVVENIRE ricorda in un colonnino gli altri quesiti su cui deve decidere la Consulta che riguardano l’acqua e il nucleare. Dichiarati ammissibili i referendum sulla determinazione della tariffa dell’acqua e quello sull’affidamento e la gestione ai privati dei servizi di pubblica utilità. Sul nucleare possibile un nuovo stop alle centrali.
Anche LA STAMPA dà conto del via libera della Corte Costituzionale a due dei quattro referendum proposti (gestione servizi idrici ai privati e ritorno al nucleare); bocciato un altro quesito sui servizi idrici; in sospeso il quesito sul legittimo impedimento, in attesa del via libera dalla Cassazione, che si pronuncerà in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale – sullo stesso tema – prevista per oggi. È ovviamente proprio il quesito ancora in stand-by quello che catalizza l’attenzione del quotidiano di Torino, che apre in prima pagina con a questione legando il tema referendum, l’attesa per la pronuncia della Consulta, la reazione sprezzante di Berlusconi («I giudici: una patologia») e un commento-editoriale affidato a Marcello Sorgi, il quale ipotizza che, comunque vada, il premier abbia già in tasca una “soluzione di riserva”. Che sarebbe, in sintesi, questa: non arrivare a una cancellazione completa della legge sul legittimo impedimento, ma una sua precisazione, che consentirebbe ai giudici di concordare con il premier la sua partecipazione al processo, senza lasciargli il privilegio – come prevede ora la legge – di dichiarare le sue assenze con sei mesi di anticipo. Nella pagina dedicata invece ai due quesiti approvati, oltre alla cronaca di approfondimento La Stampa apre il dibattito tra gli esperti: messi a confronto il ministro Raffaele Fitto (pro) e Stefano Rodotà (contro) sul tema dell’acqua ai privati, mentre lo scontro sul nucleare vede la “pro” Margherita Hack («Uno sbaglio fermarci, è l’unica fonte di energia pulita») contrapposta a Paolo Cento, che si augura che il referendum sul nucleare sia l’occasione per aprire davvero un dibattito, e non una «battaglia di bandiera» del solo Di Pietro.
E inoltre sui giornali di oggi:
FIAT
IL GIORNALE – “Le riforme silenziose che servono al mercato” è il titolo del commento di Nicola Porro. «Verrebbe voglia di dire che quando questo governo si sveglia e fa qualcosa di destra, di destra liberale, fa bene. Il caso Fiat, e il referendum Mirafiori, è una di queste occasioni. Ieri il presidente del Consiglio si è limitato a dire, sulla vicenda, alcune frasi di buon senso, ma che danno il tono della sua politica economica: nel caso in cui il referendum bocciasse l’intesa raggiunta “le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi”. Berlusconi si è augurato ovviamente che i sì prevalgano e che dunque la Fiat resti italiana. L’opposizione è insorta: si va dall’alto tradimento sventolato dal presidente della Regione Puglia, che sembra stare ovunque tranne che a Bari, all’urlo «vergognati» del segretario del Pd. Per carità di patria non elenchiamo la lunga lista di contumelie che si è beccato il premier. Ma, non fosse altro che per sottrazione, il punteggio di un governo che fa da sponda alla rivoluzione di Marchionne è più che positivo. Tra le tante balle che hanno caratterizzato l’agnellismo, una continua ad avere un certo commercio nei nostri retropensieri: solo un governo di sinistra può fare riforme di destra. Ebbene, l’atteggiamento del governo Berlusconi sulla vicenda Fiat è stato, per una volta, perfetto e riformatore rispetto ai costumi del passato. Gli imprenditori non si aiutano con i convegni sulla politica industriale. Il lavoro, tocca metterselo una volta per tutte in testa, non si crea salvando le imprese morte. Le fabbriche non si gestiscono con gli incontri a Palazzo Chigi tra sindacati, Confindustria e politici. Berlusconi ieri ha gettato a mare (speriamo che non si faccia nei prossimi giorni trasportare dal suo fianco populista) un’idea assurda di politica industriale. I governi, e quello attuale deve fare ancora molta strada, debbono piuttosto mettere le imprese nelle condizioni migliori per operare: meno burocrazia, tasse non penalizzanti e fattori produttivi, tipo energia, a costi competitivi. Per il resto è il mercato che decide la sopravvivenza delle imprese. Nessuno si augura che la Fiat vada a produrre all’estero. Ma nessuno può oggi ragionevolmente pensare che per trattenere una fabbrica in Italia si adottino quelle vecchie politiche industriali fatte da un impasto di veterosindacalismo e aiuti di Stato che ci trasciniamo da troppi anni. Si ha l’impressione che gli operai abbiano capito più dei politici di sinistra (con alcune lodevoli eccezioni, tipo Renzi) questa realtà».
AVVENIRE – Parla del voto “ad alta tensione” a Mirafiori alle pagine 6 e 7 dando risalto all’appello di Marchionne alla fiducia da parte dei lavoratori e alle dichiarazioni di Berlusconi: «Se vince il no è giusto che la Fiat lasci l’Italia. Il mondo corre, non capirlo è imperdonabile». Nell’editoriale “Senza alibi, senza sconti” Francesco Riccardi scrive: «La politica sbaglia a schierarsi anzichè offrire analisi. Soprattutto dovrebbe evitare le uscite estemporanee come quelle di Berlusconi e di Vendola, che rischiano di ideologizzare ancor più la questione, invelenire il clima e spaccare, persino più drammaticamente, i lavoratori. È importante invece che dipendenti Fiat abbiano strumenti di valutazione possibilmente obiettivi, perché possano esercitare meglio la loro responsabilità…. Votando oggi e domani, si assumono la loro responsabilità. Poi toccherà a Marchionne esercitare fino in fondo la propria, con investimenti, modelli di auto, uno scambio forte tra coinvolgimento e democrazia economica. Andrà preteso: senza alibi, senza sconti».
IL MANIFESTO – Prima pagina dominata dal referendum Fiat: «Torino, Italia» è il titolo di apertura sull’immagine della fiaccolata di Torino. Quattro le pagine interne dedicate al caso Mirafiori (dalla 2 alla 5) «”Se vince il no la Fiat fa bene ad andarsene dall’Italia”, l’uscita di Berlusconi scatena la bufera. L’azienda ferma la produzione e organizza le sue assemblee per indottrinare i lavoratori alla vigilia del referendum. Protesta la Fiom. Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori. Mentre le strade di Torino si riempiono di fiaccole contro il ricatto del Lingotto. Urne aperte da questa sera, votano in 5.400», riassume il sommario. Sullo stesso tema anche il commento di Gabriele Polo «Coraggio sovrumano» e la lettera aperta di Rossana Rossanda al presidente della Repubblica. Scrive Polo: « Lui vuole “cambiare l’Italia”. Ora finalmente è chiaro perché è pagato tanto, perché a lui si affida tanta parte delle élite politiche e massmediologiche nostrane, perché “dopo di lui il diluvio”. Ovvio che, se la missione di Sergio Marchionne è modernizzare e salvare l’Italia, tutto può e deve essergli concesso. Anche le bugie su fabbriche (Mirafiori e Pomigliano) che in realtà vuole chiudere. Anche imporre a un gruppo tutto sommato ristretto di persone di caricarsi il peso – su sua ispirazione e per suo conto – di un’ipoteca epocale per loro stessi e per gli altri. Questo chiede il manager col golfino a 5.300 operai torinesi: avallare un piano industriale inesistente, un’organizzazione del lavoro insopportabile e un comando incostituzionale non per costruire assurdi Suv o incredibili jeep, ma per un «fine generale». Un passaggio della lettera di Rossanda recita, invece: «(…) Non sono in grado di sapere se sia ammissibile che una azienda privata possa obbligare i dipendenti a un referendum che, se proposto su scala nazionale, la Corte Costituzionale non ammetterebbe. Ma mi permetto di chiederLe se giovi al clima politico che Lei auspica che nella maggiore azienda italiana si indica un referendum fra lavoratori su un “accordo” con la proprietà che preveda la sospensione di alcuni diritti sindacali di fondo, come quello di sciopero garantito dall’art. 40 e dalle successive leggi di attuazione. E se anche si considera che tale referendum possa essere tenuto, è legittimo che in quell’accordo si dichiari che il sindacato che non lo avesse firmato sarà interdetto di ogni attività nell’azienda? (…)». Anche la vignetta di Vauro parla del referendum Fiat: ci sono due urne, una con scritto sì e una con il no, quest’ultima sovrastata da una ghigliottina la cui corda è tenuta da Marchionne.
HAITI
AVVENIRE – A pagina 10 e 11 il Primo Piano è dedicato alla situazione ad Haiti un anno dopo il terremoto. Un articolo di Lucia Capuzzi denuncia la tratta di bambini “schiavi”: mille bambini ogni mese vengono portati a Santo Domingo passando un confine che è terra di nessuno. Secondo padre Lazard del servizio per i rifugiati «Il traffico è cresciuto dopo l’esplosione del colera. Gli agenti della frontiera spesso prendono soldi per far finta di niente».
SUD SUDAN
IL MANIFESTO – L’ultima pagina de IL MANIFESTO è dedicata al referendum in corso per la secessione del Sud Sudan, a firmare l’articolo intitolato «Tutti pazzi per il Sud Sudan» è Giampaolo Calchi Novati. «Stati Uniti ed Europa esaltano la frammentazione di uno degli stati del mondo arabo-islamico. Un appoggio sospetto, visti gli interessi geo-strategici. E, mentre il referendum in corso sembra «pacifico», rischia di aprirsi il baratro delle secessioni africane» riassume il sommario. Scrive Calchi Novati: « Ci sono feste e feste. Quella che si vorrebbe montare intorno al referendum per la secessione del Sud Sudan ha un retrogusto che sta fra la vita e la morte. Uno dei grandi stati africani, il più vasto per superficie, così orgoglioso della propria storia da risultare indigesto a chi dalla Periferia vorrebbe solo soggezione e docilità, sta portando a termine con la divisione una lunga crisi in cui ci sono stati più anni di guerra che di pace con moltissime vittime e devastazioni inenarrabili (…) Le condizioni di rispetto reciproco che hanno caratterizzato il voto di questi giorni, malgrado scontri sporadici, potrebbero essere di buon auspicio per un’intesa sulla definizione del confine e la gestione congiunta delle risorse». Riflette poi: «La secessione, che è un jolly tuttofare in certi spazi di passaggio fra Nord e Sud e fra Est e Ovest, continua a essere anatema negli stati che si riconoscono nella tradizione di Westfalia. L’auto-determinazione è un diritto dispensato per via selettiva. Da questo punto di vista, suona un po’ vile, fa male dirlo, il testo scritto da Obama per l’occasione, pubblicato in Italia da la Repubblica, che inneggia al diritto di auto-determinazione esercitato nel Sud Sudan come coronamento della democrazia. Per un presidente che aveva dato l’impressione di volersi spendere a fondo per il diritto di auto-determinazione dei palestinesi e che era andato al Cairo per lanciare un messaggio all’universo musulmano, è uno smacco non da poco, dopo essersi piegato all’oltranzismo del governo Netanyahu, ritrovarsi a esaltare la frammentazione di uno degli stati del mondo arabo-islamico, sia pure sui generis, penalizzando in modo particolare proprio quell’Egitto che si aveva ragione di credere destinato a essere un alleato prioritario degli Stati Uniti». E conclude: «(…) ci sono paradossalmente tutte le premesse di un boomerang perché l’umiliazione imposta direttamente o indirettamente all’islam e all’Egitto (…) rischia di fare il gioco del solito Iran e al più, a distanza, della Turchia, se la sua deriva dall’Europa all’Oriente proseguirà».
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