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Il giorno del giudizio

Vigilia di sangue al referendum sullla separazione del Sud del Paese

di Redazione

Domani 9 gennaio gli abitanti del Sudan decideranno, tramite referendum popolare, previsto dagli accordi di pace del 2005, se la regione a sud del Paese sarà indipendente (nella foto, Jimmy Carter e il segretario generale dellla commissione per il Southern Sudan Referendum Mohamed Osman al-Nujomi). Una scelta per arrivare alla quale ci sono stati lunghi preparativi, e non privi di tensioni, come sottolinea un dossier di Ispi.Il nord favorevole all’unità, il sud separatista. La comunità internazionale segue con attenzione il voto che potrebbe creare due stati confederati. Tutte le informazioni sul Referendum sul sito www.afronline.org

Come si vota

Domenica i sudanesi registrati dovranno dare esprimere il proprio voto (favorevole o meno all’indipendenza del sud del Paese) facendo una croce su uno dei due simboli disegnati sulla scheda. Chi si esprimerà a favore della scissione dovrà indicare il simbolo raffigurante una mano alzata che suggerisce un gesto d’addio. Chi invece si esprimerà a favore dell’unità dovrà indicare il simbolo raffigurante due mani strette come a suggellare un patto.

Un paese diviso in due

Secondo gli osservatori, al nord si prevede che prevarrà un appello all’unità nazionale; al sud invece il sentimento dominante è quello secessionista. D’altro canto, sottolinea l’Ispi, «sono state rilevate delle irregolarità nelle procedure di registrazione: una falla ritenuta inevitabile, ma che ha dato adito al partito di governo, il National Congress Party (NCP), di lanciare l’allarme su un possibile non riconoscimento del risultato elettorale. Di contro, il partito maggioritario al sud, il Sudan People’s Liberation Moviment (SPLM), ha accusato il NCP di spingere i sud sudanesi residenti al nord a votare solamente in caso di una scelta a favore dell’unità nazionale».

L’auspicio dei paesi occidentali

In generale i paesi occidentali auspicano che si arrivi a una soluzione in grado di evitare un ritorno della violenza in Sudan (nel cui nel sottosuolo riposano 5 miliardi di barili di greggio). Gli Stati Uniti guardano al referendum sperando porti alla definitiva pacificazione del paese: una transizione cancellerebbe il Sudan dalla lista degli “stati canaglia” stilata dagli Usa. L’Onu, attraverso l’agenzia interna Unired, ha contribuito alla consultazione sia addestrando 14mila poliziotti sudanesi a prevenire e gestire eventuali scontri nei giorni del referendum sia fornendo il materiale (registri e tessere) perché possa avvenire la votazione. L’Europa, tra i principali donatori, è concentrata sull’esito delle urne e guarda con attenzione a una possibile indipendenza del Sud Sudan. «Al contrario i paesi orientali, in particolare la Cina, e i vicini arabi, riuniti nella Lega Araba», sottolinea l’Ispi, «si oppongono a una separazione soprattutto per motivi economico-commerciali e continuano a supportare il governo centrale di Khartoum. Le autorità egiziane, in particolare, si preoccupano per la condivisione delle acque del fiume Nilo sulle quali Il Cairo ha – per ora – la totale esclusiva di utilizzo».

Intanto una vigilia di sangue

È una vigilia insanguinata quella del referendum sull’autodeterminazione del Sud Sudan. Nove i morti negli scontri tra uomini armati e l’Esercito popolare di liberazione (Spla), ex milizia ribelle del semiautonomo Sud Sudan divenuta di fatto un esercito. L’Spla ritiene responsabile dell’attacco gli uomini di Gatluak Gai, capo di una milizia sudista ostile, accusata di complicità con il governo di Khartoum per destabilizzare il Sud, dove domenica inizia il referendum sulla separazione dal resto del Paese. L’attacco sarebbe stato condotto all’alba di oggi 8 gennaio nella contea di Mayom, nello stato petrolifero di Unity.  Monsignor Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid intanto lancia un allarme: «Passata l’euforia dell’indipendenza si dovranno poi fare i conti con la dura realtà delle migliaia e migliaia di sud sudanesi che sono rientrati nel sud e che non hanno nulla. Non vi sono scuole né ospedali, né case e manca persino l’acqua potabile –  -. Il movimento di rientro è già iniziato da tempo.

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