Mondo

Erin Brockovich, davvero

Julia Roberts interpreta la protogonista di un’incredibile battaglia legale vinta da una donna comune

di Giampaolo Cerri

Oggi la riconoscono nei negozi. E, in un mese, ha ricevuto quasi cento copioni. In capo a poche settimane Erin Brockovich è diventata una star. Un?altra stella, Julia Roberts, recita la sua storia al cinema. Storia che tocca al cuore l?America. E che dice di come una donna di provincia – tenace quanto si vuole, ma abbastanza bastonata dalla vita – sia riuscita a piegare uno dei più grandi gruppi americani. E a scucirgli più di 333 miliardi di dollari, il più alto indennizzo mai pagato negli Usa. Alla fine degli anni ?90 la Brockovich è un?ex-moglie (per ben due volte), ex-miss Costa del Pacifico 1981, ex-ragazzina del Kansas in fuga da una famiglia piccolo-borghese (madre giornalista, padre ingegnere). Sola con tre figli a carico, disoccupata, non riesce a racimolare le poche centinaia di dollari necessari a farle riacquistare il cognome da nubile, Patte. Un giorno subisce anche un pesante incidente d?auto a Reno e, al culmine della sua parabola di sfortuna, non riesce neppure a farsi indennizzare come le sarebbe spettato. Colpa del suo avvocato, pensa lei. Così un giorno si presenta nello studio di Los Angeles di mr. Ed Masry e gli fa una scenata: che almeno, per risarcirla dei suoi pessimi uffici, le dia un lavoro! Il legale californiano, preso in contropiede, accetta: Erin la bellona – scolli profondi, minigonne, tacchi alti – lavorerà come assistente: documenti da far firmare, testimoni da recuperare, citazioni di consegnare. Ma qui, come racconta anche le storia in celluloide, inizia il suo riscatto. Nel ?92, Erin inciampa sul dossier d?un affaire, quello della piccola città di Hinkley, nel deserto californiano, i cui seicento abitanti lamentano di bere acqua avvelenata. La falde, dicevano impotenti, è contaminata dal cromo utilizzato nelle stazioni di pompaggio di gas naturale del gigante Pacific Gas & Electric. Risultato: aborti spontanei e casi di cancro. Senza aver mai seguito una lezione di diritto, Erin Brockovich prende la pratica in pugno: cerca testimoni, trova le persone che hanno abbandonato le case e si sono trasferiti altrove. Tre anni più tardi la Pacific Gas, in ginocchio, è costretta ad aprire i cordoni della borsa. Come dice ancora oggi il vecchio avvocato Masry: «È surreale?». Roba da cinema appunto. Normale che una simile epopea interessi Hollywood. Ma anche qui la storia vera di Erin Brockvich è rocambolesca. Due anni fa, Carla Shamberg, moglie di un produttore, in una seduta dal suo fisioterapista viene a sapere della vicenda. È il medico stesso a raccontargliela: Erin è una sua cliente. Affascinata da quest?avventura, la Shamberg chiede di conoscerla; due giorni più tardi, suo marito acquista i diritti cinematografici della vicenda. Erin gli ha rivelato il segreto del suo successo: «È perché sono bionda: tutto il mondo crede che sia stupida. Questo mi avvantaggia». Julia Roberts riceve un esemplare del copione (altro miracolo: ancora oggi nessuno sa chi glielo abbia inviato). In una notte, l?attrice si decide. Si riconosce, dice, in questa donna buona, combattiva e simpatica. Entrambe hanno sangue irlandese. Tutte e due sono donne caotiche. L?una e l?altra hanno debuttato in concorsi di bellezza e poi hanno fatto le venditrici e le stenodattilografe. A differenza di altri casi già raccontati dal cinema come i recenti A Civil Action o Insider (vedi box a fianco), qui l?iniziativa non la prende un avvocato, ma una donna senza alcuna esperienza; anzi, perfino la sua istruzione è tutt?altro che elevata. La decisione matura nella coscienza di questa donna, omaggiata dal film con un cameo in cui è la cameriera in un bar. Di nome… Julia.


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