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“Cancun? No, grazie”

Uno dei climatologi più esperti al mondo, James Hansen, non era presente al summit messicano. Ecco il perchè e le sue proposte per affrontare il cambiamento climatico

di Daniele Biella

Il professore James Hansen è uno dei più importanti climatologi al mondo, nonché direttore del Goddard institute per gli studi spaziali della Nasa, professore al dipartimento della Terra e delle scienze ambientali della Columbia university e recente vincitore del prestigioso Blue planet prize (l’equivalente del Premio Nobel nel campo delle scienze ambientali). È lui la persona più indicata per capire lo stato di salute attuale del clima. Ci si aspetterebbe di trovarlo a Cancun, Messico, dove nei giorni scorsi, fino al 10 dicembre, si sono riunite le delegazioni di oltre 190 paesi con l’obiettivo di dare un nuovo slancio ai negoziati sulla lotta contro il cambiamento climatico, dopo la delusione di Copenaghen un anno fa. Invece no: il professore si trova in giro per l’Italia. A Milano, Torino, Roma, a incontrare chi ha voglia di ascoltare davvero quello che ha d adire sull’emergenza climatica. Lo trovereste in università, ad una piccola mostra sulla sostenibilità, in un circolo letterario, ad una fiera dell’editoria, dove, tra l’altro, potrebbe presentare il suo ultimo libro ‘Tempeste – Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti – L’urgenza di agire’, edito da Edizioni Ambiente.

A Copenhagen, come a tutti i precedenti meeting, Hansen ci è andato anche troppo, e troppe volte ha relazionato davanti al Congresso Americano, quasi sempre ha sentito parole a cui non sono seguiti i fatti. Ha deciso quindi di tacere per alcuni anni e poi di tornare a parlare, rivolgendosi questa volta direttamente alle persone, dal basso. “Il professore statunitense è uno dei pochi, tra i climatologi di livello mondiale, che può vantare previsioni che risalgono agli anni ’80 puntualmente confermate oggi, come, ad esempio, l’apertura del passaggio a nord-ovest, lo scioglimento dei ghiacci artici che ha consentito nel 2008 la navigazione dall’oceano Atlantico al Pacifico”, spiega Matteo Rudello, cofondatore dell’associazione Oltre e divulgatore scientifico esperto in tema di sostenibilità e cambiamenti climatici, che ha incontrato Hansen a Milano. “Lui usa uno stile pragmatico, diretto, chiaro e semplice. Spiega i fatti, le conclusioni, per poi illustrare le previsioni ed infine le possibili contromisure”. Uno dei punti di forza delle teorie di Hansen è illustrare la correlazione tra l’andamento della temperatura terrestre e la quantità di CO2, anidride carbonica, una delle forzanti principali che regolano il clima terrestre.

Hansen spiega che il clima ha subìto negli ultimi 65 milioni di anni una progressiva diminuzione della temperatura media del globo legata alla diminuzione di anidride che naturalmente si libera nell’atmosfera. In particolare, analizzando gli ultimi 400mila anni, tale abbassamento medio della tempera si è verificato alternando periodi temperati e freddi, nelle cosiddette ere glaciali. “Il primo problema è che l’uomo, da circa cento anni, sta causando una variazione della quantità di CO2 ad un ritmo 10mila volte più veloce rispetto a quanto accaduto nelle ere precedenti per motivi naturali”, continua Rudello. La seconda questione è che gli effetti di questo cambiamento si verificano con ritardo, “consentendoci oggi di renderci conto solo dell’inizio dei cambiamenti complessivi che abbiamo indotto”. Lo stesso Hansen, negli scorsi decenni, considerava il livello di sicurezza di CO2 non ancora raggiunto, mentre oggi, alla luce dei cambiamenti climatici che già si sono verificati, ha dovuto rivedere la sua stima confermando che siamo già ben oltre il limite di sicurezza: 389 parti per milione di anidride carbonica misurati oggi, contro un limite pari a 350 ppm. “Significa che la preservazione del pianeta e della nostra civiltà passa per una reazione rapida e corale di tutti gli Stati, come contromisura non solo possibile ma necessaria”, chiarisce Rudello.

La soluzione principale proposta da Hansen prevede l’imposizione di una tassa sulla produzione di energia da combustibili fossili il cui ricavato andrebbe riconsegnato direttamente ed equamente nelle tasche di tutti i cittadini. “Di fatto questo significa attribuire un valore economico agli effetti negativi che il consumo di combustibili fossili crea sul clima, sull’ambiente e sulla salute degli esseri viventi che sono valori di proprietà della collettività. Aumentare il costo dell’energia fossile sosterrebbe una riduzione del suo consumo, mentre il denaro raccolto andrebbe a rinforzare l’economia dal basso”. Tra le misure d’urgenza immediata Hansen individua la sospensione entro 20 anni dell’utilizzo del carbone su scala globale, la rinuncia allo sfruttamento dei combustibili non convenzionali, la rinuncia allo sfruttamento fino all’ultima goccia del petrolio ancora disponibile. “Al momento le politiche della maggior parte dei paesi risultano divergenti rispetto alle misure d’emergenza descritte. Ad ogni modo la Cina sta mettendo in atto un grande sforzo per diminuire il proprio impatto, e l’Europa si sta muovendo in tal senso”, specifica Rudello, commentando l’Hansen-pensiero. “Un accordo basato sulla tassazione della CO2 potrebbe coinvolgere il resto del mondo tramite l’imposizione di un dazio all’importazione di energia fossile equivalente alla tassa imposta internamente. In questo modo si potrebbe innescare un circolo virtuoso che obbligherebbe gli altri paesi ad adeguarsi”.

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