Non profit
I nuovi quartieri della movida sotto attacco Guerriglia urbana anti cambiamentoIstanbul
di Redazione
agli influssi occidentali.
Pub e discoteche prendono il posto di antiche sale da tè.
Una trasformazione che a qualcuno non piaceIstanbul, fine settembre. Una ventina di giovani, armati di lacrimogeni, spranghe e coltelli, assalta tre gallerie d’arte che ospitano vernissage. Circa 15 persone sono state ferite, tra cui turisti provenienti da Polonia, Paesi Bassi, Germania e Gran Bretagna e un artista anglo-turco. A evitare il peggio, una pattuglia della polizia che si trovava a transitare lungo quella strada per puro caso e che ha chiamato subito rinforzi. Pretesto dell’assalto? La presenza di un gruppo di partecipanti ai vernissage che consumava bevande alcoliche in mezzo alla strada e ascoltava musica ad alto volume. L’attacco ha attirato l’attenzione dei media e la preoccupazione dell’opinione pubblica, anche perché non si è trattato di un gesto istintivo, ma di un attacco premeditato: stando a quanto raccontato dai testimoni, le persone assalite hanno avuto appena il tempo di accorgersi di quello che stava avvenendo, senza che vi fosse il minimo preavviso, una lite, una provocazione.
Trasformazioni in corso
Per spiegare la natura dell’assalto bisogna capire in che quartiere è avvenuto: le gallerie si trovano vicino a una strada chiamata Bogazkesen, letteralmente “il tagliatore di gola”. Nome a parte, la strada sta nel quartiere di Tophane e sorge a poche decine di metri dall’Istiklal Caddesi, regno della movida notturna di Istanbul, in cima alla collina di Galata, e da Çukurcuma, ieri zona degradata e a rischio crollo, oggi riqualificata ed eletta a luogo di residenza di stranieri e intellettuali e piena zeppa di antiquari dai prezzi da capogiro.
A Çukurcuma si sente parlare più inglese che turco e folle di studenti passano i loro pomeriggi e le loro sere seduti ai tavolini della “Strada Francese”, una stradina caratterizzata dalla presenza di vecchie case ottomane, tutte trasformate in ristoranti o locali alla moda e tappa irrinunciabile per gli stranieri e per chi vuole godersi la dolce vita della megalopoli sul Bosforo.
Poco più in giù, verso il mare, lo scenario muta radicalmente. A Bogazkesen, dove ormai non vive più di qualche centinaio di persone, all’inglese si sostituisce il turco, ai pantaloni a vita bassa delle ragazze e alle loro chiome sciolte, un abbigliamento molto più castigato, spesso accompagnato dall’utilizzo del velo islamico. Nessun pub, nessun locale alla moda. Solo sale da tè e sedie di legno su cui, durante la bella stagione, gli anziani del quartiere passano i pomeriggi a chiacchierare. Nessuna musica, solo la voce dei venditori ambulanti e l’odore del pane appena sfornato. Ma l’ondata di cambiamento tende ad allargare i suo confini. E le gallerie d’arte che spuntano come funghi, in questo contesto sono, per qualcuno, un indebito sconfinamento.
Strategia della tensione
Gli abitanti temono di fare la fine fatta, qualche anno fa, da quelli di Çukurcuma: abbandonare le loro case a prezzi ridicoli e vederle trasformate in edifici di lusso e le strade dove sono nati passare da viottoli male asfaltati in percorsi bohèmien. «Molti sociologi sostengono questa teoria e danno la colpa alle gallerie d’arte che aprono», spiega la titolare di una galleria, «sostenendo che la mutazione del quartiere spinge in alto gli affitti. Ma il mio padrone di casa – a causa della crisi finanziaria – mi ha fatto un forte sconto pur di darmi in affitto i locali della galleria».
«Non è la prima volta», ha spiegato Nazim Dikbas, una delle vittime dell’aggressione, «che si ha notizia di attacchi del genere. Magari non così gravi, ma è già successo in passato che persone del quartiere compissero atti di violenza contro le gallerie, arrivando anche a disturbare inaugurazioni come quelle di settembre. Sono persone che si organizzano via internet e che abitano in ben precise zone della città».
Il prefetto di Istanbul, Huseyin Avni Mutlu, adesso teme altre tensioni sociali nel quartiere. Anche per questo, subito dopo l’accaduto, ha cercato di buttare acqua sul fuoco dichiarando: «Nemmeno i cittadini di Bogazkese accettano quello che è successo. Il nostro obiettivo è capire chi ci sia veramente dietro questo attacco e quali siano le sue intenzioni, se sia parte di una strategia pianificata». Il suo timore è che l’equilibrio nel quartiere possa degenerare, che qualche persona particolarmente esaltata si possa fare prendere la mano da quello che è successo. Le indagini sono in corso. L’ipotesi è che gli assalitori siano in realtà membri di organizzazioni eversive ultra-nazionaliste, vicine ad alcune tifoserie calcistiche. Il che spiegherebbe come mai fossero in possesso di gas urticanti, normalmente non reperibili in commercio.
Specialisti nell’alimentare la tensione, quindi, quelli che si sono messi all’opera nei quartieri di Istanbul. Che fotografano la doppia natura del Paese della Mezzaluna, Stato laico e musulmano a un tempo. Un Paese che da una parte ha riscoperto la sua matrice religiosa, soprattutto da quando Recep Tayyip Erdogan ha preso il potere. Qualcuno lo accusa di operare deliberatamente una sorta di islamizzazione strisciante del Paese. Altri considerano il recupero delle tradizioni religiose una reazione agli anni di ferreo controllo dei militari sulla società.
Modelli e minacce
Quel che è certo è che il governo deve fare i conti con una minoranza pronta a usare la carta religiosa per fomentare gli animi di persone infiammate non tanto dall’ideologia, quanto da condizioni di vita precarie, in contrasto con lo stile di vita dei nuovi ricchi della Turchia moderna e degli stranieri, che vengono a vivere nel Paese sempre più numerosi. Accade così che culture e modi di vivere differenti non vengono più visti come un modello diverso con cui convivere pacificamente ma come minacce da cui guardarsi e nel caso da respingere. Un effetto della “gentrification”, la trasformazione dei quartieri, che riguarda molte metropoli del mondo, ma che a Istanbul può essere fonte di tensioni particolari.
Così la vede un commerciante di Tophane, Ahmet Kurt, che vende borse di pergamena:«Si tratta di differenze culturali tra i nuovi arrivati e la gente che ha sempre vissuto in questo quartiere. Ma credo che questo episodio sarà dimenticato presto». Sarà proprio così?
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