Salute

Nuove speranze per la terapia dei linfomi

Trattati in Italia, all’Ospedale San Gerardo di Monza, i primi pazienti con un inibitore di ALK noto come crizotinib

di Redazione

Nel corso del meeting della Società Americana di Ematologia (ASH), tenutosi a Orlando (USA) domenica 5 dicembre, sono stati presentati dal professor Carlo Gambacorti Passerini i risultati preliminari sul trattamento di pazienti affetti da linfomi ALK+ con un nuovo inbitore di ALK (crizotinib). Il gene ALK produce una proteina responsabile della trasformazione neoplastica dei linfomi ALK+. Il meccanismo attraverso cui ALK viene deregolata in questa malattia è una traslocazione cromosomica, simile a quella che avviene nella leucemia mieloide cronica, che fonde parte del gene ALK con il gene NPM, producendo così un gene ibrido NPM-ALK. I linfomi ALK+ rappresentano una malattia estremamente aggressiva, con rapida crescita, sintomi sistemici e mortalità elevata. Il gruppo di ricerca diretto da Gambacorti Passerini ha prodotto nel passato importanti contributi nella ricerca preclinica su questo tipo di linfoma, ed ora presenta i risultati ottenuti sui primi tre pazienti al mondo con questa patologia in cui un inibitore specifico di ALK é stato utilizzato.

«Si tratta di tre casi estremamente avanzati, in cui vari livelli di chemioterapia, incluso il trapianto autologo di midollo osseo avevano fallito; questi tre pazienti, tutti giovani, tra i 20 e i 26 anni, non avevano più di 2-3 settimane di vita», commenta il professor Enrico Pogliani, direttore dell’Unità di Ematologia dove i pazienti sono stati inizialmente ricoverati, date le loro gravi condizioni. La terapia con crizotinib ha evidenziato una risposta soggettiva (scomparsa della febbre, diminuzione o scomparsa dei dolori) già dopo 3 – 4 giorni di trattamento, con successiva regressione completa (2 casi) o parziale (1 caso) delle lesioni presenti dopo un mese di terapia. Tutti e tre i pazienti sono stati dimessi dall’ospedale dopo 2-3 settimane e ora continuano a casa la terapia. Crizotinib viene infatti assunto dal paziente per bocca due volte al giorno, ed è ben tollerato. Un paziente ha già raggiunto i sei mesi di trattamento, un secondo cinque mesi, mentre la terza è in terapia da poco più di un mese.

«Si tratta peró di pazienti con malattia in fase estremamente avanzata e la durata della risposta nel lungo periodo rimane da verificare. Ciò che invece è sicuro, data l’entità della risposta e i risultati molto simili nei tre pazienti trattati, è l’esistenza di un’attività terapeutica molto importante» conclude il professor Gambacorti Passerini. «Le risposte sono state rapide, a tal punto che in un caso i radiologi che hanno effettuato le TAC e PET di controllo pensavano non fosse possibile ottenere un tale risultato giá dopo poche settimane», commenta il professor Pogliani.

La notizia è stata giudicata di grande interesse anche dal New England Journal of Medicine, la più prestigiosa rivista di medicina, che ha deciso di pubblicarla a breve. Anche la ditta che produce crizotinib é rimasta impressionata favorevolmente da questi risultati, e ha deciso di intraprendere uno studio allargato ad altri 7 centri italiani e coordinato dal professor Gambacorti Passerini.

Questi risultati dimostrano come sia importante, possibile e doveroso coniugare ricerca di base e ricerca clinica al fine di ottenere importanti risultati terapeutici, come avvenne per imatinib e la leucemia mieloide cronica nel 1999.

Le ricerche del professor Carlo Gambacorti Passerini, associato di Medicina Interna all’Università di Milano Bicocca, responsabile dell’Unità di Ricerca Clinica dell’Ospedale San Gerardo di Monza, sono finanziate in parte dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc) e dalla Fondazione Cariplo.


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