Politica
L’ombra di Pechino
Il Vertice di Tripoli si chiude con un nulla di fatto e la solita dichiarazione finale
Divergenze a profusione, provocazioni politiche a intermittenza e nessun accordo raggiunto. Un Vertice nelle terre di Gheddafi non poteva andare diversamente. Ma la delusione al termine del terzo Summit Ue-Africa che si è svolto a Tripoli è tanta. Anche perché tra lotta contro la povertà, accordi di partenariato economici (Epas), clima, good governance, pace, sicurezza e investimenti esteri, l’agenda sembrava promettente. Forse troppa.
Basta leggere la dichiarazione finale sottoscritta dagli 80 leader europei e africani presenti in Libia per capire che gli scontri emersi durante il Summit sugli Epas (nell’impasse da ormai tre anni), le migrazioni, il climate change e gli investimenti hanno bloccato ogni ipotesi di svolta nei rapporti tra i due continenti.
Così, bisogna accontentarsi di dichiarazioni generiche in cui l’Unione Europea e il suo alterego africano (l’UA) ribadiscono la loro volontà di proseguire “una partnership strategica per le due parti, fondata sul rispetto e l’uguaglianza reciproca”. Un partenariato rilanciato nel 2007 a Lisbona dopo sette anni di coma profondo.
A Tripoli, gli europei hanno voluto sfidare la crisi economica che sta mettendo in pericolo le economie del Vecchio continente promettendo aiuti pari a 50 miliardi di euro entro il 2013. La promessa, scritta nero su bianco nel documento finale, sembra in realtà destinata a placare gli animi degli africani che non si sono certo tirati indietro per esporre le loro divergenze. “Divergenze nettamente meno importanti rispetto a quelle emerse nel 2007” ha precisato il presidente della Commissione dell’Unione africana, Jean Ping. Ma i punti di discordia rimangono. Ping ne ha citati tre: “gli aiuti, gli investimenti e il commercio”.
A tenere banco sulle questioni commerciali sono stati gli Epas. Chiamati a sostituire il regime commerciale preferenziale concesso dall’Europa alle sue ex colonie, regime giudicato incompatibile con le regole internazionali del WTO, gli accordi di partenariato economico continuano a non convincere l’Africa. Con gli Epas infatti i paesi africani sarebbero costretti ad abbattere le loro barriere doganali per aprire progressivamente i loro mercati ai prodotti europei. Molti governi temono di indebolire ulteriormente le loro già fragili economie e privarsi di una buona parte delle loro entrate budgetarie provenienti da tasse prelevate sulle importazioni europei.
Non è andata meglio sul fronte climatico. Anzi, assai clamorosa è stata la decisione dei capi di Stato africani di non volere sottoscrivere una dichiarazione comune tanto ricercata dall’Ue per “lanciare un messaggio forte a Cancun”. Gli africani hanno giustificato il loro rifiuto denunciando un documento che non teneva conto delle priorità dell’Africa.
Con altrettanta fermezza, i leaders africani hanno puntato il dito contro la mancanza di investimenti europei nel continente meno sviluppato del pianeta. Il riferimento agli sforzi commerciali colossali prodotti da Pechino nell’ultimo decennio è stato reso esplicito durante la conferenza stampa congiunta del presidente della Commissione europea Barroso e del suo omologo africano Jean Ping.
Senza tanti giri di parola, il presidente della Commissione dell’Unione africana ha infatti dichiarato che “non è necessario criticare il ruolo della Cina in Africa. Pechino ha fatto osservare Ping, non vi ha mai impedito di venire sul continente africano”.
La Cina e l’Ue differiscono molto nella quantità di investimenti in Africa, inoltre gli investimenti cinesi non hanno obiettivi politici e sono privi di condizioni. L’Europa, al contrario, per via dei problemi esistenti in Africa, spesso non vuole investire, e se lo fa impone le proprie condizioni.
Dal canto suo, Barroso ha ricordato che gli europei “versano più della metà degli aiuti allo sviluppo” e che “nessun paese è passato da una situazione di paese in via di sviluppo a una situazione di paese sviluppato con i soli aiuti”.
Insomma, la trasparenza nella gestione della res pubblica e dell’impresa privata è la via maestra per attrarre gli investimenti esteri. Qui risiedono secondo l’Ue le grandi sfide che attendono l’Africa. Ma gli africani hanno esigenze diverse. Giuste o sbagliate, non importa. Ed è questa la differenza rispetto al passato. A Bruxelles l’hanno capito?
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