Non profit

La Colletta alimentare: ecco come funziona

Speciale "Cantieri" in edicola con il settimanale VITA

di Benedetta Verrini

NON A CASO IL PARLAMENTO EUROPEO ha dichiarato il 2010 Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Lo ha fatto innanzitutto a partire dalla constatazione che 78 milioni di persone, tra cui 19 milioni di bambini, risultano particolarmente esposti a entrambi questi rischi. «Il fenomeno delle eccedenze e degli sprechi alimentari apparirebbe ancor più insensato se alcuni innovatori non avessero trasformato questa contraddizione in una opportunità positiva per le persone in stato di bisogno e per l’intero sistema sociale ed economico», sostengono due esperti del calibro di Luigi Campiglio e Giancarlo Rovati, «dando vita al fenomeno delle banche alimentari, cioè ad organizzazioni non profit specializzate nella raccolta delle eccedenze produttive delle imprese e degli agricoltori e nell’impiego diretto o indiretto rivolto alle famiglie in difficoltà».

Il dado (Star) è tratto
In Italia il Banco Alimentare esiste dal 1989, grazie all’incontro tra il patron della Star, il cavalier Danilo Fossati, e monsignor Luigi Giussani. In 21 anni, la fondazione si è estesa in un network di 20 realtà regionali che insieme sostengono – letteralmente – le fondamenta del sociale italiano: oltre 8mila enti caritativi (su circa 15mila totali) ricevono dal Banco Alimentare migliaia di tonnellate di cibo (78.270 nel 2009), raggiungendo un milione e mezzo di indigenti. La Giornata nazionale della Colletta Alimentare, che quest’anno si svolgerà in tutta Italia il 27 novembre, è il momento culminante di un’attività quotidiana e silenziosa. Le derrate raccolte in oltre 8mila supermercati, grazie alla promozione di 110mila volontari mobilitati (fra questi un ruolo importate lo giocano storicamente gli alpini), rappresentano infatti “appena” il 15% del totale del cibo recuperato annualmente dal Banco Alimentare. «Per noi la Colletta è soprattutto un momento fondamentale di sensibilizzazione», spiega Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare.

«È una giornata importante perché invitiamo le persone a riflettere sul tema dello spreco e le coinvolgiamo nel fondamentale lavoro del Banco Alimentare nel recupero delle eccedenze e nell’aiuto agli indigenti». Lucchini tiene molto alla definizione esegetica di “Banco” come “food bank”: «Perché acquisisce materie con un valore iniziale basso o pari a zero che aumenta esponenzialmente», spiega. «Ogni euro donato al Banco Alimentare si moltiplica fino a 18-20 euro di cibo redistribuito».

Un’impresa milionaria
Un “miracolo” economico – l’anno scorso il Banco ha redistribuito alimenti per un valore complessivo di 170 milioni di euro – che si fonda, oltre che sulla giornata della Colletta, sul recupero delle eccedenze attraverso quattro diversi canali: gli aiuti europei distribuiti attraverso l’Agea- Agenzia generale per le eccedenze alimentari (che costituiscono oltre la metà della raccolta annuale del Banco Alimentare), l’industria alimentare, la grande distribuzione, la ristorazione collettiva.

Il Programma Ue di “Aiuto ai bisognosi” oggi assegna a ciascun Paese membro, in relazione al numero di poveri stabilito da Eurostat (per l’Italia pari a 2 milioni 800mila persone), un montante economico per l’acquisto di materie prime (cereali, riso, latte ecc) che vengono trasformate in prodotto finito e poi assegnate, attraverso l’Agea – Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ad alcune realtà accreditate (tra cui Banco Alimentare, Cri, Caritas). L’anno scorso il Banco Alimentare ha ricevuto oltre 53mila tonnellate di aiuti dall’Europa. Più di 10mila tonnellate, invece, sono arrivate dall’industria. Si tratta soprattutto di eccedenze ed “errori” nella catena produttiva: packaging fallati, scadenze di concorsi, prove di produzione, nuovi prodotti che hanno riscosso scarso successo. È interessante notare come il mondo dell’impresa abbia iniziato a valutare questo margine di “errore” sotto una luce differente, da quando i prodotti vengono recuperati e donati. Nel suo recente rapporto di sostenibilità, una grande impresa come la Barilla ha comunicato di aver donato al Banco Alimentare, solo dalla propria sede centrale di Parma, oltre 6 milioni di euro in pasta, merendine, sughi, fette biscottate. «Con la globalizzazione le imprese hanno una responsabilità sempre maggiore, e devono quindi contribuire a risolvere i problemi », ha dichiarato Luca Virginio, responsabile Comunicazione di Barilla, aggiungendo che «il non profit deve però prendere coscienza del fatto che le aziende non sono l’origine dei problemi, ma un elemento per risolverli».

Un altro elemento dell’alleanza tra profit e non profit è la partnership del Banco Alimentare con la grande distribuzione. Consegne quindicinali, bi-tri settimanali o anche quotidiane che riguardano fresco e prodotti con incarto danneggiato o ammaccato, con scadenze eccessivamente ravvicinate. Oltre 1.500 tonnellate, nel solo 2009, che sono state recuperate e che hanno mobilitato le maggiori catene, da Esselunga alla Coop, fino a Bennet e Carrefour. Un recente accordo quadro tra quest’ultimo gruppo e il Banco ha consentito la donazione di prodotti non più commercializzabili in dieci regioni per un totale di 31 punti vendita, a cui dall’anno prossimo si aggiungeranno altri 20 ipermercati e depositi.

Il non profit in rete
Ridare valore a ciò che viene eliminato e ridistribuirlo a chi ha bisogno è una sfida in cui il Banco viene accompagnato da tanti enti caritativi, che ogni anno si convenzionano con la rete impegnandosi a rispettare tutte le norme necessarie per la conservazione degli alimenti e la consegna agli ultimi degli ultimi. «I pacchi che consegniamo nelle case grazie al Banco Alimentare sono un mezzo per sopperire alle necessità dei poveri, ma sono soprattutto il fine per arrivare alla persona, incontrarla nella sua solitudine e sostenerla in un momento di fragilità o disperazione», commenta Claudia Nodari Gorno, presidente nazionale della San Vincenzo. Insieme agli alpini, anche i volontari vincenziani sono mobilitati a migliaia nella giornata della Colletta. I volontari “stabili” nell’ambito delle attività quotidiane del Banco Alimentare sono invece 1.244. «Lavorano in quella che si può definire una piattaforma logistica», spiega Massimo Caprotti, direttore del Banco Alimentare Lombardia, il cui quartier generale è un grande deposito tra Cinisello e Muggiò, nell’hinterland nord di Milano, che copre un’area di 3.500 metri quadrati e “serve” 1.250 realtà caritative. I magazzini centrali funzionano come degli hub: in “entrata” si attiva la macchina logistica del Banco, con mezzi propri che prelevano le derrate presso le aziende, i supermercati e i mercati ortofrutticoli; in “uscita”, invece, sono le associazioni con i loro furgoncini a passare, a cadenze prestabilite, per ricevere gli alimenti loro assegnati.

Il fresco recuperato dalle mense e dalla ristorazione secondo il programma Citicibo, invece, non passa nemmeno dall’hub ma viene prelevato e consegnato direttamente ai destinatari. È proprio sul fresco che si profila una delle maggiori sfide dei prossimi anni: «In Francia riescono a recuperare 25mila tonnellate l’anno, noi soltanto 2mila», rivela Lucchini. «Per questo servizio, che poi rappresenta una vera “spesa” di cibo fresco e cotto, servono più mezzi, volontari e risorse. Il nostro obiettivo sul futuro è l’implementazione di questo servizio, attraverso il sostegno dei donatori e delle Regioni, che a poco a poco stanno riconoscendo il Banco Alimentare come vero anello di una catena di sussidiarietà che educa le persone, stabilisce alleanze con il mondo profit, evita gli sprechi e il collasso delle discariche, risulta vero strumento di solidarietà».

Link: Banco Alimentare

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