Cultura

Raccolta di firme per la sua liberazione

La donna pakistana accusata di blasfemia è stata condannata a morte

di Redazione

 

Popoli, il mensile internazionale e missionario dei gesuiti italiani ha sottolineato il caso di Asia Bibi, la donna pakistana accusata di blasfemia contro il profeta Muhammad e condannata a morte il 7 novembre. Il caso ha destato l’attenzione internazionale ed è al centro di una campagna in sua difesa promossa da Tv 2000. L’agenzia Asianews.it invita a una raccolta internazionale di firme indirizzate a salviamoasiabibi@asianews.it o direttamente al presidente pakistano Asif Zardari, publicmail@president.gov.pk. Il 17 novembre anche Benedetto XVI ha chiesto espressamente che la donna sia liberata.
Asia Bibi, 45 anni e madre di cinque figli, vive nel Punjab. Circa un anno fa ebbe un diverbio con altre donne, musulmane, durante il lavoro nei campi. Sarebbe stata accusata di essere «impura» in quanto cristiana e avrebbe risposto difendendo la sua fede. La discussione è degenerata e la donna è stata accusata di bestemmie contro il fondatore dell’islam da parte del marito di una delle donne e fatta arrestare. Da allora Asia Bibi è in carcere.
La condanna all’impiccagione è stata pronunciata dal tribunale in base all’articolo 295C del codice penale pakistano. La legge, introdotta nel 1986 sotto il regime di Zia ul-Haq, riflette l’acuirsi dell’estremismo islamico nel Paese. L’articolo in questione proibisce di danneggiare luoghi di preghiera islamici, oltraggiare i sentimenti religiosi, deturpare il Corano, ma soprattutto diffamare il profeta Muhammad. In questo caso la pena prevista arriva alla condanna a morte, ma soprattutto può essere comminata anche senza che sia riconosciuta l’intenzionalità dell’atto.
La norma inquieta le minoranze. Complessivamente un migliaio di persone sono state incriminate: cristiani, hindu e ahmadi (movimento islamico eretico), ma anche musulmani. Spesso viene strumentalizzata per risolvere dissidi su questioni non religiose, ma personali o economiche.
Fortunatamente le corti d’appello hanno molte volte annullato le condanne, ma questo non allontana il pericolo di ritorsioni o atteggiamenti aggressivi da parte di estremisti religiosi. I tentativi fatti a livello politico di modificarla, introducendo indagini più accurate prima di procedere con la definizione delle accuse, sono stati finora inutili.
Il 18 novembre, il ministero degli Esteri italiano ha comunicato che il ministro pakistano competente avrebbe ordinato di svolgere nuovamente le indagini sul caso.

 

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