Famiglia

Le adozioni internazionali rimangono senza famiglie

Fra gennaio e giugno via libera a 1.553 coppie. Nel 2006 erano state 6mila. La Cai: «Segno di maturità». Le associazioni: «No, c'è troppa sfiducia»

di Benedetta Verrini

Aumenta progressivamente l’età dei minori adottati, ma diminuiscono le coppie disponibili. Sono le due facce del sistema-adozione che emergono dall’ultimo rapporto statistico pubblicato dalla Cai, – Commissione adozioni internazionali relativo al semestre gennaio-giugno 2010.
L’età media dei minori adottati dagli italiani si è attestata intorno ai 5,9 anni. I più grandi provengono dalla Bielorussia, si tratta di ragazzini di oltre 14 anni; i più piccoli dal Vietnam, con meno di 2 anni. Quasi la metà delle coppie italiane, il 44%, ha adottato un bambino tra i 4 e i 9 anni.

Parola alla Cai
«È un dato che conferma un trend costante nelle ultime statistiche e che rivela la grande apertura e preparazione delle coppie italiane rispetto al tema dell’accoglienza», commenta Daniela Bacchetta, vicepresidente della Cai. «Se messo a confronto, ad esempio, con i dati francesi, in cui si registra un maggior numero di ingressi nella fascia 0-3 anni, è evidente che le famiglie italiane si dimostrano maggiormente sensibilizzate. È il risultato di un buon lavoro fatto in collaborazione con altre autorità centrali, ad esempio quella colombiana, riconosciuto anche nel corso dell’ultima riunione del Bureau Aja».
Ma se questa parte del report conferma una sostanziale continuità con gli anni passati, a colpire invece è la diminuzione, progressiva ma inesorabile, dei decreti d’idoneità delle coppie. Se nel 2006 erano state 6.237 le famiglie pronte ad adottare, nel 2007 sono state 5.635, nel 2009 4.377 e via così, fino al numero parziale della prima metà del 2010 che ha registrato 1.553 coppie con decreto d’idoneità. «È un dato che va letto con la chiave della consapevolezza», spiega la Bacchetta. «Credo si tratti di una scrematura saggia, in cui le coppie che arrivano all’idoneità hanno già una visione realistica e con cognizione di causa dell’adozione, non quella ideale e immaginata del bambino piccolo, sano, perfetto. In questo senso, leggerei la diminuzione come un aumento della capacità delle coppie di affrontare, fin dall’inizio, l’esperienza della genitorialità con responsabilità e realismo».

La replica dell’Aibi
Non è d’accordo Marco Griffini, presidente di AiBi – Associazione Amici dei Bambini, uno dei maggiori enti autorizzati all’adozione internazionale. «Le idoneità sono crollate del 50%, dal 2006 ad oggi, perché sono sostanzialmente dimezzate anche le dichiarazioni di disponibilità», commenta. Non c’è più voglia di essere genitori? «Tutto il contrario: sappiamo bene che i centri per la fecondazione assistita non conoscono diminuzioni di utenza. Allora la risposta al calo delle disponibilità è che, purtroppo, stiamo registrando una fuga dall’adozione internazionale. E dobbiamo chiederci a cosa sia dovuta».
Griffini rigetta la teoria del maggior senso di responsabilità. «Direi che è proprio il contrario, direi che questa è una resa. Comprenderei la rinuncia effettuata durante il percorso, ma la diminuzione delle disponibilità significa che le famiglie non vogliono più nemmeno tentare l’esperienza dell’accoglienza. Qualcosa, in questi anni, non ha funzionato: oggi c’è sfiducia nell’adozione, che ha un’immagine negativa per la scarsa trasparenza nella questione dei costi, per i tempi d’attesa lunghi come una via crucis, per i bambini che sono lontani dallo stereotipo ideale. E mentre diminuiscono le coppie, i minori in stato di abbandono nel mondo aumentano. Erano 145 milioni nel 2002. Oggi sono 168 milioni».

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