Economia

Guerra Italia-Cina sulla pasta

Dopo che l’Unione Europea ha deciso di iscrivere nel registro IGP la prima pasta “doc” cinese Coldiretti annuncia l’arrivo di quella fatta al cento per cento con grano italiano.

di Redazione

Arriva la prima pasta “Doc” Made in China con l’Unione Europea che ha deciso di iscrivere nel registro degli alimenti a indicazione geografica protetta (Igp) la pasta alimentare “Longkou Fen Si” che sarà così tutelata dalle imitazioni sul mercato comunitario. La Cina così si dimostra un Paese attento alla qualità, e non solo dedito ai falsi, come ha sottolineato Mauro Rosati, segretario generale della Fondazione Qualivita:  «Da oggi siamo certi che esiste un nuovo competitor nel mercato del food . Il Made in China non è solo quello taroccato, ma anche quello buono. Dovremo rapidamente abituarci». E Coldiretti oggi sottolinea che l’Italia risponde con la presentazione della prima pasta fatta con grano cento per cento italiano del pastificio Ghigi nell’ambito del progetto per una filiera agricola tutta italiana.
La pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea L.285/17 è stata accolta con favore in Cina dove c’è chi sostiene siano stati inventati gli spaghetti. La pasta Longkou Fen Si (Igp), nota anche con il nome di vermicelli cinesi (cellophane noodles), è ottenuta con amido secco ricavato da fagiolini verdi e piselli dalla forma di sottili vermicelli di spessore uniforme, morbidi ed elastici, che non si incollano e dal colore bianchi translucido. Sono prodotti in Cina orientale nella penisola di Shandong e la caratteristica principale è che, anche immersi nell’acqua bollente per tempi lunghi, non si incollano e non si spezzano per l’elevato contenuto in amido dei vermicelli dovuto al metodo di lavorazione e alle acque utilizzate. Oltre ai vermicelli sono in attesa della registrazione europea altri prodotti alimentari cinesi come – riferisce la Coldiretti – la mela Shaanxi Ping Guo, il tè verde Longjing cha, il pomelo (un tipo di agrume) Guanxi Mi You, il tubero Lixian Ma Shan Yao e l’aceto di riso fermentato Zhenjiang Xiang Cu.
«Il riconoscimento comunitario del primo prodotto cinese deve anche significare un impegno per il gigante asiatico a combattere le contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari tipici sul proprio territorio», ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini a Rimini, dove il Pastificio Ghigi, partecipato dai Consorzi agrari, ha presentato la prima pasta fatta al cento per cento con grano italiano nell’ambito del progetto per una filiera agricola tutta italiana.
In Cina purtroppo il falso Made in Italy è spesso arrivato prima di quello vero ed è possibile trovare sul mercato parmesan australiano, provolone statunitense ma anche pecorino e pomodorini di collina cinesi che tolgono spazio sugli scaffali al prodotto nostrano. Non mancano peraltro segnali incoraggianti come il fatto che le bottiglie di vino Made in Italy esportate in Cina sono più che triplicate nel corso del 2010 facendo registrare un aumento record del 242 per cento, ma a crescere sulle tavole del gigante asiatico è l’intero agroalimentare italiano che complessivamente in un anno è quasi raddoppiato in valore (+86 per cento), secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. Resta comunque necessario – continua la Coldiretti – un riequilibrio nella bilancia commerciale agroalimentare tra Cina e Italia con le importazioni dal gigante asiatico che sono state in valore pari a tre volte le esportazioni, nel primo semestre del 2010. A preoccupare sono anche – precisa la Coldiretti – le garanzie di sicurezza alimentare del prodotto proveniente dalla Cina, dopo i recenti allarmi sul latte contaminato dalla melamina. Il prodotto agroalimentare maggiormente importato dalla Cina in Italia è il concentrato di pomodoro per il quale si registra un aumento del 18 per cento degli arrivi nel primo semestre 2010. Quest’anno si stima che arriveranno in Italia 100 milioni di chili di concentrato dalla Cina destinato ad essere “spacciato” come Made in Italy perché – conclude la Coldiretti – non è ancora obbligatorio indicare in etichetta la zona di coltivazione della materia prima agricola.


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