Cultura

La moschea a Milano conviene a tutti

L'identità serve all'integrazione

di Redazione

Il nodo delle discriminazioni verso i cristiani nei Paesi islamici
non è un’argomentazione convincente. Proprio questo relativismo
è l’ostacolo maggiore alla costruzione di chiese in Medio Orientedi Sara Ali
Ricordo che al terzo anno delle superiori, durante la lezione di storia dell’arte, l’insegnante ci parlò dell’importanza dei templi greci nell’antichità. La religione non era vista solo come qualcosa di spirituale, ma come elemento essenziale che investiva l’intera quotidianità. I greci costruivano case ai propri dei per star loro vicino, essere salvati e protetti dal male. Anche gli dei preferivano condividere la terra con gli uomini, addirittura assumendo sembianze umane. Facendo un paragone con le tre religioni monoteiste, il valore che i fedeli delle rispettive fedi attribuiscono alla casa di Dio è il medesimo.
Prima dell’arrivo dell’Islam nella penisola arabica, esisteva il nomadismo. L’Islam ribaltò la realtà araba, costruire una casa e coltivare la propria terra assunsero un valore quasi sacro per gli abitanti del deserto. La costruzione dei luoghi di culto divenne il simbolo di questa nuova fase urbana della storia araba.
Di fronte all’odierno ed intenso dibattito circa la costruzione di una moschea a Milano – la mia città natale – rimango disorientata. Studio all’Università Cattolica ormai da quattro anni, nata da un matrimonio misto cristiano-musulmano ammetto che non è facile capire le dinamiche con cui spesso mi trovo a scontrarmi. La mia formazione accademica e la mia esperienza mi hanno sempre portata a avere uno sguardo spesso critico, risultato di una lunga riflessione su me stessa. E poiché ero convinta che sarebbe stato inutile evitare il discorso, ho proposto la questione ad alcuni amici, compagni di studio: la maggior parte di loro ha espresso la propria contrarietà alla costruzione di una moschea, motivando il diniego col fatto che l’Italia non è un Paese musulmano, altri – indignati dalla cosa – mi han detto che finché i cristiani orientali saranno perseguitati non ci sarà futuro per una moschea a Milano. Insomma, una specie di «occhio per occhio, dente per dente» .
Come rispondere a simili obiezioni?
La vita universitaria mi ha dato l’opportunità di capire con profondità l’esperienza di essere minoranza e mi ha arricchito moltissimo, rendendomi più sensibile verso le minoranze cristiane nel mio Paese d’origine. Non si tratta tanto di un conflitto tra cristiani e musulmani, ma di libertà di coscienza di cui io ho pienamente goduto. Dopo pochi giorni di forte tensione interna mi son ritrovata non tanto come una musulmana che vuole la sua moschea, ma come un’italiana che non vuole vedere l’affermarsi del relativismo culturale. Sì, signore e signori, quel relativismo che ostacola la costruzione di una moschea qui è lo stesso che ostacola l’esistenza di chiese là. Quel relativismo che si proclama laico senza notare le sue vesti nichiliste. Chi afferma di appartenere a qualsiasi fede, oggi rischia automaticamente di essere percepito come anti democratico e anti liberale. Insistere sulla reciprocità mettendo credenti di tipo diverso gli uni contro gli altri premia questo tipo di relativismo: non si tratta di fare un baratto, ma di garantire i diritti di tutti. Nella maggior parte dei Paesi del Medio Oriente il problema dei cristiani discriminati è in mano alla classe politica, e io mi rifiuto di paragonare il Bel Paese a un qualsiasi Stato mediorientale.
Di fronte alle possibili derive della modernità, l’integrazione appare una soluzione immediata ed efficace mediante il reciproco rispetto delle parti coinvolte.
L’integrazione implica un’appartenenza a qualcosa, alla società o a un gruppo. Affinché il migrante possa far parte della nostra società egli dovrà sottostare alle regole e condividere valori comuni. Egli dovrà imparare la nostra lingua, interagire con l’ambiente che lo circonda. Tornando alla provocazione espressa da alcuni amici, risponderei dicendo: «Impedire al migrante di mantenere la propria identità di origine lo scoraggerà ad approfondire la cultura italiana ed integrarsi come membro della società e questo provocherà il rallentamento del processo di integrazione se non addirittura il suo fallimento».

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