«Avevo condotto una vita da passatore in più di un modo: dopo aver attraversato io stesso le frontiere, ho cercato di facilitarne il passaggio ad altri». Parte da qui l’autobiografia (di cui pubblichiamo uno stralcio) di uno dei più interessanti intellettuali contemporanei, da poco edita per Sellerio (Una vita da passatore, pp. 488, euro 20). Nato a Sofia nel 1939, linguista, storico e filosofo, Tzvetan Todorov ha dedicato gran parte dei suoi studi al rapporto con “l’altro” e il “diverso”.
L’uomo è un essere costitutivamente sociale, la molteplicità delle culture e i contatti tra esse sono il primo tratto distintivo dell’umanità. (?) Il punto di partenza è rappresentato dal «riconoscimento» che lo sguardo altrui ci accorda o meno. Senza la coscienza di questo sguardo, non saremmo mai certi di esistere, noi abbiamo bisogno di ricevere conferma della nostra esistenza. Questa comincia molto presto, nelle prime settimane di vita del bambino, quando egli non si accontenta di guardare il mondo, distinguendovi a poco a poco dei personaggi familiari, ma vuole captare lo sguardo dell’altro, vuole guardare lo sguardo. Non vuole soltanto vedere ma essere visto. Questa domanda è universale, non bisogna ridurla al fatto di essere riconosciuti ufficialmente, attraverso la notorietà e gli onori. Inoltre, essa non ha mai fine: si cerca lo sguardo degli altri sino all’ultimo giorno. Attraverso questa relazione con gli altri interiorizzata, noi accediamo a una sorta di definizione dell’umano.
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