Non profit

Brasile, i pro life hanno già vinto

Nella sfida fra la pupilla di Lula, Dilma Rousseff e José Serra nessuno si azzarda più a contestare l'illegalità dell'aborto. Eppure in tempi non sospetti...

di Paolo Manzo

Aborto, matrimonio omosessuale e persino ricerca sulle cellule staminali. Per incredibile che possa sembrare saranno i temi più tipicamente “pro life”, assieme ai voti dei milioni di evangelici neopentecostali, a decidere chi sarà il prossimo presidente del Brasile. Due settimane dopo il sorprendente primo turno che domenica 3 ottobre ha costretto la candidata di Lula, Dilma Rousseff, al ballottaggio, previsto il prossimo 31, sono dunque le tematiche “per la vita” a tenere banco. In un primo momento, infatti, la maggior parte degli analisti aveva spiegato la vittoria dimezzata della Rousseff con il boom della candidata dei Verdi, l’evangelica Marina Silva, 30 anni nel Partito dei lavoratori (PT) di Lula, amica fraterna di Chico Mendes e, nell’immaginario collettivo europeo, “di sinistra”, senza però spiegarne i veri motivi. Marina è passata dal 10% dei sondaggi al 20% delle urne e sicuramente è stata lei a “rubare” i 10 milioni di voti poi mancati a Dilma, consentendo così al candidato della socialdemocrazia brasiliana José Serra, di arrivare al ballottaggio di fine mese.
Il “furto” non è però stato compiuto all’interno del tradizionale elettorato “progressista” dei Verdi, in Brasile un partito irrilevante che mai in passato ha superato il 4%. No, Marina è riuscita a stoppare Dilma puntando su temi etici che in Europa sarebbero considerati “di destra” mentre non lo sono affatto in Brasile, Paese che per capire a fondo è bene analizzare come fossero gli Stati Uniti più che la Francia o la Germania. Su tutti l’aborto che in Brasile è per legge un reato e che, nonostante il PT da sempre nel suo programma ne chieda la depenalizzazione, Lula non ha mai pensato seriamente di legalizzare. Un’ambiguità tra programmi ed azioni tipica del PT, un partito con almeno tre anime – radical-guerrigliera, riformista e cattolica – e non un moloch di sinistra come molti sono portati a credere. Lula, ad esempio, non ha mai letto Marx mentre conosce bene la Bibbia, il suo consigliere personale più ascoltato è l’ex seminarista Gilberto Carvalho e il partito da lui fondato non ha mai discusso l’ingresso nell’Internazionale socialista.
Detto questo, l’evangelica Marina ha cavalcato abilmente un tema controverso – per il PT ma anche per Serra – come l’aborto, lei da sempre ferrea anti abortista – «è un crimine in ogni caso» – facendo uscire allo scoperto Dilma che in un’intervista del 2007 si era detta «assolutamente a favore della depenalizzazione». Inutili a quel punto le “giravolte” della Rousseff, costretta a ribadire in tv che era «personalmente contraria all’aborto» perché il sospetto che, una volta eletta, avrebbe cambiato la legge in vigore ha scatenato i leader anti aborto che, soprattutto nelle tante chiese evangeliche di Rio, hanno iniziato una campagna feroce contro la Rousseff, con tanto di “santini” che paragonavano Dilma al diavolo.
Il risultato è che adesso nessuno dei due candidati si sposta dalle posizioni assunte da Marina sui temi etici e, curiosamente, se un paio di anni fa un dirigente del PT era stato sospeso dal direttivo per le sue posizioni nettamente anti abortiste, da ieri lo stesso PT di Lula ha ammesso di avere tolto la depenalizzazione dell’aborto all’interno del suo programma. Lo stesso Serra, che nel 1998 quando era ministro della Sanità dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso aveva emanato una legge che consentiva l’aborto legale nelle strutture pubbliche, è oggi costretto a ribadire ogni giorno di essere «contrarissimo alla sua depenalizzazione. In ogni caso».


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