Welfare

L’Italia da rifare

Carceri che scoppiano, periferie invivibili, scuole che diseducano, l’economia dei profitti.

di Riccardo Bonacina

Viviamo in un Paese in cui è esercizio quotidiano proclamare la propria innocenza rispetto alle proprie colpe. Un esercizio che qualche decennio fa si nominava semplicemente con una parola: ipocrisia. E di ipocrisia abbiamo fatto il pieno a proposito del caso Sassari: il pestaggio di massa consumato nel carcere San Sebastiano il 3 aprile scorso. Campioni di ipocrisia l?onorevole Oliviero Diliberto, responsabile sino a qualche settimana fa del ministero di Giustizia, e Gian Carlo Caselli, magistrato da un anno a capo del sistema penitenziario.
Per Diliberto: «I fatti sono di enorme gravità ma sono il frutto del nervosismo che c?è tra i detenuti» (letterale da ?Repubblica 10/5/00); per Caselli: «Non bisogna generalizzare, se i fatti saranno accertati, sono un?eccezione». E poi, via a tranquillizzare gli agenti di polizia penitenziaria, con nuove assunzioni, nuove prospettive di carriera sino alla direzione. Insomma Sassari, è un caso, comunque un?eccezione. No, non è così cari Diliberto e Caselli, Sassari è solo l?ultimo, anche se più grave, frutto della vostra politica e della vostra gestione del sistema penitenziario italiano. È stato Diliberto nel febbraio ?99 a istituire l?Ugap (Ufficio di garanzia penitenziaria), struttura di intelligence, di controllo e acquisizione di informazioni. Fu Diliberto a chiamare a dirigerla un uomo dei servizi, il generale Ragosa. Dall?Ugap dipende anche la ?Segreteria di sicurezza e le attività del Gom (gruppo operativo mobile), 400 Rambo antisommossa già protagonisti di episodi al vaglio della magistratura. Per istituire queste strutture degne di uno stato di polizia Diliberto fece una vera battaglia politica senza esclusione di colpi, sino ad allontanare (con un comunicato) l?ex direttore delle carceri, Margara, che tante speranze aveva suscitato.
Da allora, in stretta collaborazione con Caselli, è stato un vortice di crescente militarizzazione delle carceri, sempre più chiuse ai giornalisti e ai volontari, sempre più sudamericane. Per questo oggi Margara può commentare amaro: «Il verbo della sicurezza ha gelato il carcere, lo ha reso immobile. Gente chiusa in cella per 20 ore al giorno, assenza di lavoro, attività trattamentali vicino allo zero, unico personale in numero crescente quello di sicurezza. La politica di Diliberto ha esaltato la scelta della sicurezza, ha dato spazio all?immagine alla polizia penitenziaria senza preoccuparsi della costruzione reale del suo ruolo, della sua capacità di costruire rapporti con le persone detenute e non soltanto di tenerle chiuse».
Del resto per rendersi conto della regressione incivile per tutti, per detenuti e agenti, in atto nel sistema carcerario italiano bastano pochi, oggettivi dati. In un anno i semiliberi sono passati da 4000 a 1300; i carcerati sono aumentati di 4000 unità. Per capire il clima che si respira nei 250 istituti leggete qui: gli atti di autolesionismo tra ?98 e ?99 sono passati da 5700 a 6530; i tentati suicidi da 770 a 920; i decessi (alcuni dei quali misteriosi) da 67 a 83; i ferimenti da 1350 a 1770.Con gli stessi posti letto hanno ammassato 4000 detenuti in più, i detenuti al lavoro sono sempre meno, gli psicologi in organico sono solo 3 (sic!). Qualche settimana fa, a certificare quanto l?inferno sia reale e quotidiano, l?Italia ha scampato per un solo voto una condanna per tortura davanti alla Corte europea dei diritti umani.
L?associazione Antigone ha chiesto al neo ministro Fassino, che aveva subito decretato altre 1300 assunzioni di agenti di polizia e l?uso dei militari, di sciogliere i Gom e l?Ufficio di garanzia penitenziaria. Noi ci accontenteremo di molto meno: un po? di realismo in più e un po? meno di lugubre ipocrisia.

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